SOCIETÀ

Norvegia: le inquietudini di una società felice

E' circa mezzogiorno e mezza del 22 ottobre quando, in un tranquillo quartiere residenziale di Oslo, un ex poliziotto norvegese di 32 anni chiama un'ambulanza fingendo di sentirsi male e, quando il mezzo arriva, lo sequestra e si mette alla guida a tutta velocità ferendo alcune persone, per fortuna in modo lieve. Il capo della polizia investigativa di Oslo, Grete Lien Metlid, ha spiegato che le indagini sul movente dell'attacco sono in corso e che al momento non sono emersi elementi che colleghino l'episodio a una matrice terroristica, ma il fatto che l'autore del gesto sia considerato vicino ad ambienti di estrema destra e in particolare al Movimento di Resistenza Nordica (NMB), un'organizzazione neonazista svedese che si è diffusa anche negli altri Paesi del Nord Europa, solleva molti interrogativi ed è il punto su cui si sta concentrando l'attenzione degli investigatori.

Le immagini dell'attacco compiuto dal 32enne norvegese con l'ambulanza che aveva sequestrato

L'investimento compiuto con l'ambulanza ha riportato alla mente la strage del 22 luglio del 2011, quando il terrorista norvegese Anders Behring Breivik, dichiaratamente neonazista, mise in atto due attacchi coordinati. Alle 15:26 lo scoppio di un'autobomba, vicino all'abitazione del primo ministro norvegese nel centro di Oslo, provocò la morte di 8 persone: un'azione pensata per attirare gli uomini dell'antiterrorismo e i soldati dell'esercito nel cuore della capitale norvegese, mentre l'attentatore, vestito da poliziotto, si dirigeva sull'isola di Utøya dove era in corso un raduno estivo di giovani laburisti. Su di loro, tutti ragazze e ragazzi tra i 14 e i 20 anni, Breivik sparò raffiche di colpi di armi da fuoco per un'ora e mezzo, provocando 69 vittime e oltre 300 feriti e portando la Norvegia a vivere una delle pagine più drammatiche della sua storia. Breivik, che nel 2012 è stato condannato a 21 anni di carcere, la pena massima prevista dall'ordinamento giuridico norvegese, non si è mai pentito del massacro commesso ed è anzi arrivato a dichiarare di "chiedere perdono ai militanti neonazisti per non aver ucciso più persone". 

 


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Anche in tempi più recenti, in Norvegia si sono verificati episodi di violenza, compiuti da persone legate agli ambienti di estrema destra. Il 10 agosto 2019 un giovane norvegese di 21 anni ha fatto irruzione in una moschea alla periferia di Oslo e ha iniziato a sparare, causando il ferimento di uno dei fedeli presenti all'interno, prima che uno dei membri della comunità islamica riuscisse a bloccarlo fino all'arrivo della polizia. Sul web il giovane non faceva mistero delle sue posizioni anti-migranti e xenofobe e dichiarava di "voler seminare il terrore". 

Ma cosa può spingere alcuni abitanti di un Paese che è sempre ai primissimi posti negli indicatori della qualità della vita e che l'ultima edizione del World happiness report ha nuovamente consacrato sul podio delle nazioni più felici del mondo ad aderire a posizioni estremiste e a compiere atti violenti? Per avere una possibile interpretazione di questo apparente paradosso abbiamo intervistato Vincenzo Romania, professore associato in Sociologia dei processi culturali e comunicativi del dipartimento di Filosofia, sociologia, pedagogia e psicologia applicata dell'università di Padova. 

Secondo il professor Romania, alla base delle inquietudini che sembrano annidarsi tra le pieghe della società norvegese - e che si manifestano anche in un elevato livello di depressione, disturbi della personalità e consumo di antidepressivi - c'è l'ambivalenza legata agli elevati standard di vita e di ricchezza, un fattore che accentua una forte sensazione di disuguaglianza da parte di chi rimane escluso da una condizione di benessere. Sono dinamiche che producono "il meccanismo classico di lotta tra i nuovi e i vecchi poveri e determinano il manifestarsi di un'enfasi pubblica sul nemico, che di solito è un nemico di pelle diversa o di cultura diversa" - aggiunge Romania. Tutto questo ha portato a parlare di fallimento dei modelli interculturali in Olanda, in Svezia e in Norvegia ma - precisa il professor Romania - va considerato che gli episodi criminali che si sono verificati in Norvegia "non sono fenomeni strutturali", sebbene sia in atto una tendenza alla globalizzazione del sovranismo che ha fatto favorito il manifestarsi di azioni violente, soprattutto da parte di persone che avevano un facile accesso alle armiBisogna poi considerare anche la dimensione comunicativa del terrorismo, conclude Romania - con il "fenomeno di Erostrato che porta a ottenere visibilità chi compie un male talmente grande da diventare notiziabile e si tratta di persone che spesso avevano un'esistenza piuttosto banale, conflittuale e alienante". 

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