MONDO SALUTE

Nuovi farmaci per l'emicrania

Ne soffre circa il 12% della popolazione generale. Colpisce meno i bambini e gli anziani e raggiunge un picco nella fascia d’età compresa tra i 25 e i 39 anni. Quando si parla di emicrania si ha a che fare con una malattia che è la prima causa di disabilità al di sotto dei 50 anni, con un impatto sociale elevato sia per i costi diretti dovuti alle indagini diagnostiche e alle cure che per quelli indiretti legati a una ridotta produttività. Intanto la ricerca va avanti ed oggi è disponibile una classe di nuovi farmaci ad azione preventiva. Di “mal di testa” abbiamo parlato con il neurologo Giorgio Zanchin, presidente onorario della Società italiana per lo studio delle cefalee, già direttore della Clinica neurologica dell’Azienda ospedaliera di Padova.

Spesso si parla indistintamente di mal di testa, cefalea o emicrania. I termini hanno lo stesso significato o si riferiscono a sintomatologie differenti?

Questa è una delle domande che più frequentemente vengono poste dai pazienti. Il termine cefalea fa riferimento genericamente ai dolori del capo. È come se si trattasse di una corposa enciclopedia al cui interno sono raccolte due serie di volumi: quelli sulle cefalee secondarie e quelli sulle cefalee primarie. Nel primo caso il mal di testa costituisce un sintomo di altre condizioni patologiche, che possono essere più o meno gravi, come una sinusite o nei casi peggiori un tumore cerebrale. È evidente che per guarire da questo tipo di dolori al capo serve eliminare la causa che ne è all’origine. Al contrario le cefalee primarie non sono sintomo di altre cause sono esse stesse malattie che vanno curate come tali. Le tre forme più frequenti sono l’emicrania, la cefalea di tipo tensivo e la cefalea a grappolo. Tra queste, la più diffusa dal punto di vista epidemiologico è la cefalea di tipo tensivo, che tuttavia difficilmente raggiunge l’intensità invalidante dell’emicrania. Dei pazienti che si rivolgono al medico, circa il 10% soffre di cefalea secondaria, il restante 90% di cefalea primaria e in gran parte di emicrania.

Il mio consiglio è di rivolgersi al medico se il mal di testa diviene frequente o invalidante; se compare per la prima volta dopo l’età di 40 anni; se, pur presente da tempo, peggiora progressivamente o modifica le sue caratteristiche e se è provocato da sforzo. È importante inoltre evitare il “fai da te” e comunque l’uso quotidiano prolungato di farmaci per interrompere l’attacco, cosa che può paradossalmente rendere cronica la cefalea. 

La neurologa pediatra Irene Toldo, del Centro per la diagnosi e la terapia delle cefalee in età evolutiva di Padova, parla di cefalee nei bambini e negli adolescenti, illustrandone cause e terapie. Riprese e montaggio di E. Speronello

Quali sono i sintomi che caratterizzano le tre forme di cefalea più diffuse?

L’emicrania è un dolore di tipo pulsante che colpisce preferibilmente metà capo per volta, anche se talora può essere distribuito su tutta la testa. Durante gli attacchi, il paziente presenta sintomi come la nausea o addirittura il vomito, fastidio alla luce (fotofobia), fastidio ai rumori (fonofobia). Elemento discriminante per la diagnosi è l’intolleranza agli odori (osmofobia) che normalmente al di fuori dell’attacco non danno fastidio o addirittura sono percepiti come gradevoli, come ad esempio i profumi e in particolare quelli femminili. Gli attacchi emicranici sono altamente invalidanti: se non intervengono i farmaci, il paziente non è in grado di svolgere il proprio lavoro o di partecipare ad attività ludiche e relazionale; è costretto a letto, al buio.  

La cefalea di tipo tensivo invece non presenta sintomi di questo tipo, è una forma più blanda seppur fastidiosa, ma non è tale da impedire di svolgere il proprio lavoro. Si presenta come un dolore diffuso su tutto il capo e viene descritto dal paziente come un “casco”.

La cefalea a grappolo non è frequente, ma è un problema gravissimo per chi ne è effetto. È una malattia cronobiologica, che tende cioè a seguire dei ritmi ben precisi: raffiche di mal di testa colpiscono il paziente in primavera e in autunno per un periodo che può andare dai 20 giorni ai due, tre mesi. Negli altri mesi il paziente sta bene. In un anno possono manifestarsi uno o due di questi “grappoli”, ma può anche trascorrere qualche anno prima dell’episodio successivo. Durante il “grappolo” il paziente può avere da uno a otto attacchi al giorno, più frequentemente due, tre, in genere a ore fisse, prevalentemente dopo pranzo, dopo cena o la notte.  Si tratta di attacchi di cefalea devastante e molto intensi: spesso il paziente paragona il dolore a quello provocato da un ferro rovente nell’occhio.  È un mal di testa unilaterale che colpisce il quadrante anteriore del capo: l’occhio, l’orbita, la fronte, la tempia. Il dolore ha una durata che va dai 15 minuti alle tre ore (in genere dura un’ora) e si accompagna anche a lacrimazione, arrossamento dell’occhio, sudorazione della zona periorbitaria della guancia, senso di tappamento nasale, rinorrea, aptosi (palpebra che tende ad abbassarsi o a chiudersi) e miosi (pupilla che si restringe). Caratteristica è l’irrequietezza motoria: il paziente non riesce a stare fermo a causa della insopportabilità del dolore.

A livello terapeutico qual è lo stato dell’arte?

Le tre forme di cefalea primaria hanno ovviamente trattamenti diversi: le terapie dell’emicrania, ad esempio, non funzionano sulle cefalee a grappolo. Oggi abbiamo a disposizione una nuova classe di farmaci, degli anticorpi monoclonali elaborati come antagonisti del CGRP, acronimo inglese del peptide correlato con il gene della calcitonina. Il CGRP è una sostanza che viene liberata durante gli attacchi di emicrania e che questi nuovi medicinali (in modi diversi) vanno a inibire. Il trattamento ha lo scopo di prevenire lo scatenarsi dell’emicrania e consiste in un’iniezione sottocutanea da effettuare una volta al mese. Complessivamente, al momento saranno tre i farmaci a essere messi in commercio e due di questi, che hanno come principio attivo rispettivamente l’erenumab e il galcanezumab, sono già disponibili.

Il problema purtroppo sta nel costo, dato che una singola fiala costa al pubblico 700 Euro ed evidentemente il sistema sanitario non può garantire a tutti questo tipo di trattamento. Per tale ragione sono in fase di definizione regionale le priorità di accesso al farmaco. A poterne beneficiare potrebbe essere chi ha più di quattro attacchi di emicrania al mese e non risponde a farmaci di prevenzione normali.

I dati sono recenti e devono essere confermati dalla pratica clinica, anche se sono incoraggianti: si è calcolato infatti che almeno nella metà dei casi ci sia stato un miglioramento superiore al 50%, una percentuale non disprezzabile, e nel 15% addirittura una remissione dell’emicrania. Al momento, non si sa di preciso per quanto tempo somministrare il farmaco. Si suggerisce di insistere con tre iniezioni prima di giudicarlo inefficace; se invece il medicinale fa effetto, si consiglia di continuare almeno per un anno. Ma questo – va detto – è basato sul consenso degli esperti e non ancora sull’ analisi di dati clinici derivanti da un utilizzo prolungato del farmaco.

Alimentazione e stili di vita possono influire?

Gli stili di vita assolutamente sì. L’emicrania è una predisposizione familiare, di natura genetica, che però può risentire moltissimo dell’ambiente. Dunque la prima cosa che deve fare un paziente che soffre di emicrania è cercare di individuare le situazioni che possono favorire/scatenare l’attacco ed evitarle.

Bisogna innanzitutto cercare di eliminare i fattori di stress. Il più frequente è lo stress da eccessiva concentrazione intellettiva o anche da eccessiva fatica fisica. Il suggerimento (pur banale ma efficace) è di interrompersi per cinque minuti ogni una, due ore: è questo il tempo spesso sufficiente a disinnescare l’accumulo di tensione che causa l’attacco emicranico.  Poi è necessario osservare abitudini regolari. È bene ad esempio andare a letto alla solita ora, non dormire poco ma neanche troppo.

Anche l’alimentazione è importante, si deve evitare il digiuno da un lato e l’abbuffata dall’altro. Per quanto riguarda i singoli cibi, bisogna sfatare pregiudizi errati. Spesso vengono evitati cioccolata, agrumi, banane, insaccati, formaggi stagionati. In realtà, i pazienti che riconoscono in uno o più cibi lo scatenamento degli attacchi sono pochissimi ed è inutile infliggere al paziente una lista di proscrizione che riduce la sua qualità di vita: anziché rinunciare a priori, il paziente deve prestare attenzione se gli alimenti elencati, entro ore dalla loro assunzione, causano cefalea e in questo caso eliminare l’alimento specifico, non l’intero elenco.

Si tratta di una malattia che colpisce in ugual misura uomini e donne?

Tra le malattie di genere possiamo tranquillamente inserire l’emicrania. Secondo i dati della International Headache Society, mentre nei bambini ne soffre circa il 6% nell’uno e nell’altro sesso, con la pubertà la percentuale si differenzia: ne è colpito complessivamente il 12% della popolazione, il 6-8% degli uomini e il 18-20% delle donne. Quindi, in età fertile quasi una donna su cinque soffre di emicrania. Il motivo è legato alla variazione periodica degli ormoni femminili, in particolare degli estrogeni, che caratterizza la funzione riproduttiva: sono proprio questi ormoni che, nelle donne emicraniche favoriscono gli attacchi di emicrania. Non a caso esiste una sottoforma di emicrania detta catameniale o mestruale che è in relazione al ciclo. Circa il 10% delle donne emicraniche hanno attacchi esclusivamente durante il ciclo, ma circa la metà hanno attacchi che coinvolgono in ogni caso il ciclo.

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012