SOCIETÀ
Poche donne nel settore ICT: necessari più stimoli fin dalle scuole primarie
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“Certi pedanti ci vanno ripetendo da duemila anni che le donne hanno l’intelligenza più vivace e gli uomini una maggiore solidità, che le donne hanno più delicatezza nelle idee e gli uomini una maggiore forza di attenzione. Uno scemo di Parigi passeggiando una volta nei giardini di Versailles concluse, da quel che vedeva, che gli alberi nascono tagliati”. Con queste parole, taglienti e ironiche, nel saggio Dell’amore pubblicato nel 1822 Stendhal invitava a non confondere la potatura con la crescita naturale. Si appropria di queste stesse parole Valeria De Antonellis che aggiunge: “Esistono senza dubbio naturali differenze tra tipicità maschili e femminili, ma esistono anche tante potature condizionanti”.
A De Antonellis, professoressa emerita di sistemi informativi all'università di Brescia e nel corso della sua carriera direttrice dell'istituto di Informatica nell'ateneo di Ancona e membro del consiglio direttivo del Consorzio interuniversitario nazionale per l’informatica, ci siamo rivolti per discutere i recenti dati Ocse che vedono persistere il divario di genere nel settore professionale delle Information and Communication Technologies (ICT): si tratta, nello specifico, di tecnologie che permettono di creare, immagazzinare e scambiare informazioni, come i sistemi integrati di telecomunicazione, i computer, le tecnologie audio-video e i relativi software. Ebbene, nei Paesi Ocse la percentuale di uomini che lavorano in questo ambito è da tre a otto volte superiore alla percentuale di donne che occupano tali posizioni. Nel 2021 gli Stati con la più alta percentuale di lavoratori nell’ambito delle ICT sul totale della forza lavoro, come Israele, la Svezia e la Finlandia, sono anche quelli con il numero più elevato di donne impiegate nel settore, sebbene con un persistente divario di genere: nei tre Paesi citati, il 3-4% delle donne occupa queste posizioni rispetto all'11% circa degli uomini.
Tra il 2011 e il 2021 sono stati quasi 3 milioni i posti di lavoro in più nel campo delle ICT; negli ultimi anni, in particolare, la pandemia da Covid-19 ha reso evidente la necessità di competenze di questo tipo, che potrebbe costituire un’opportunità per le professioniste. Dei nuovi posti di lavoro però solo uno su cinque, secondo quanto riporta l’Ocse, è stato occupato da donne e negli ultimi dieci anni la quota di donne che lavorano in questo ambito è aumentata solo di un punto percentuale.
La presenza femminile in questa categoria professionale è dunque significativamente inferiore a quella maschile, e la spiegazione va cercata anche a monte: in ambito universitario, le studentesse che scelgono questo percorso di studi sono in numero inferiore rispetto agli studenti. Si tratta di una tendenza di lungo corso, se consideriamo più in generale le discipline Stem (Science, technology, engineering and mathematics) e i possibili sbocchi occupazionali. Le donne – che, lo ricordiamo, hanno potuto iscriversi all’università solo sul finire dell’Ottocento – iniziano a fare il loro ingresso massiccio negli atenei a partire dagli anni Sessanta e Settanta del Novecento; si iscrivono in maniera più significativa non solo a Lettere e Filosofia e Scienze matematiche, fisiche e naturali, com’era in principio, ma anche a corsi di laurea come Medicina, Economia e Commercio, Scienze politiche, senza tuttavia trovare impieghi alternativi a quelli tradizionali. “La trasformazione dell’università in una realtà di massa e la maggiore presenza del genere femminile – scrive Andrea Martini ne L’Università delle donne – non comportò l’automatica messa in discussione di un immaginario che vedeva le donne votate quasi esclusivamente all’insegnamento o all’assistenza”.
Nel campo dell’istruzione e dell’apprendimento permanente, le donne sono dunque sottorappresentate nei settori Stem, con un divario di genere evidente in particolare in due ambiti, secondo i dati riportati dal Global Gender Gap Report 2022 del World Economic Forum: considerando i laureati di tutte le discipline, nei 146 Paesi presi in esame, la percentuale di donne laureate in ICT è dell'1,7%, rispetto all'8,2% degli uomini; nel campo dell’ingegneria a ottenere il diploma sono circa il 7% delle donne e il 25% degli uomini. Il rapporto aggiunge però che molte donne si qualificano e aggiornano online: i divari di genere sono inferiori nelle iscrizioni online rispetto all'istruzione tradizionale. Nel settore ICT, in particolare, la parità di genere è aumentata nella formazione online tra il 2019 e il 2021.
“Siamo in un momento di grande trasformazione digitale – osserva Valeria De Antonellis –, un cambiamento della società veicolato dall’innovazione tecnologica, che ha molteplici applicazioni e implicazioni sulle diverse dimensioni culturali, economiche, tecniche, politiche, etiche e sociali. L’offerta di lavoro più numerosa e significativa è rivolta a competenze informatiche in svariati settori”. Eppure, in questo contesto, le donne nel settore ICT sono ancora molto poche. I motivi sono più d’uno, secondo la docente, e sono di carattere generale.
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“Una prima ragione sta nella mancanza di familiarità con la materia informatica. Nel nostro sistema scolastico, prima degli studi universitari, l’informatica si studia in istituti tecnici e licei scientifici delle scienze applicate, generalmente con frequenza prettamente maschile. Nel percorso formativo dei licei più tradizionali, le principali materie con cui si genera maggiore familiarità sono italiano, matematica, fisica, filosofia, lingua straniera, e da queste spesso discende la scelta degli studi universitari”.
De Antonellis si sofferma poi su un secondo aspetto: “Nelle scuole non c’è sempre un’adeguata presenza di laboratori per stimolare l’aspetto progettuale e creativo proprio della materia. Progettare applicazioni e procedure che insegnino a un automa i passi da eseguire per arrivare a una soluzione voluta o per analizzare dati raccolti ed estrarne informazioni nascoste è sicuramente un modo efficace per appassionare e avvicinare studentesse e studenti alla materia”.
Osserva infine: “La materia informatica, nella divulgazione generica effettuata dai media, viene ridotta a conoscenza e uso delle tecnologie informatiche, minimizzando l’aspetto culturale legato alle metodologie e alla logica di progettazione di algoritmi per la risoluzione di problemi, alla individuazione e strutturazione dei dati rilevanti per affrontare un problema, all’analisi dei dati e delle relazioni tra loro per produrre conoscenza a supporto di decisioni”.
A fronte di questa situazione, secondo De Antonellis, è auspicabile innanzitutto un maggiore investimento nell’istruzione per consentire l’introduzione della materia informatica nel percorso formativo di tutte le scuole superiori. “In questo modo, studentesse e studenti sarebbero formati alla cultura informatica della risoluzione dei problemi mediante automi e potrebbero affrontare lo sviluppo di applicazioni informatiche in laboratori adeguati. La conoscenza e l’approfondimento della materia consentirebbe a studentesse e studenti la scelta consapevole di un percorso universitario nel settore ICT, rilevante per lo sviluppo del Paese in tutti gli ambiti. Infine, in ottica sempre più proiettata verso la next generation, l’introduzione delle basi della conoscenza algoritmica potrebbe essere promossa, nelle forme opportune, anche in tutte le scuole medie ed elementari. Il Piano Scuola 4.0 previsto dal PNRR, se ben utilizzato, segna un passo importante in questa direzione”. Adottato nel giugno del 2022, il piano finanzia progetti per la realizzazione di ambienti di apprendimento innovativi negli spazi, negli arredi e nelle attrezzature (Next Generation Classroom) e di laboratori per le professioni digitali del futuro (Next Generation Labs), dunque per l’acquisizione di competenze – a seconda del tipo di istituto – nei settori della robotica, dell’intelligenza artificiale, del cloud computing, della cybersicurezza, della comunicazione digitale, dell’analisi dei big data, dell’economia digitale, solo per fare qualche esempio. In un contesto di questo tipo, secondo De Antonellis, è fondamentale poter avere docenti preparati ai vari livelli per i vari percorsi formativi.