SCIENZA E RICERCA

Possiamo convivere con le specie selvatiche salvate dall'estinzione?

Quello del rischio di estinzione delle specie animali è un problema che ci sta a cuore, quindi siamo felici di sapere che in qualche zona del mondo la situazione sta migliorando. Il Nepal, per esempio, è vicino a raddoppiare il numero di tigri rispetto al 2010, tanto da trattare questo successo in chiave nazionalista. Se da una parte è un buon segno, questo però potrebbe portare anche a conseguenze poco simpatiche nei confronti di quelle tigri che cercano di passare il confine con l'India: la libertà di movimento delle tigri è infatti minacciata, perché rischia di ridimensionare il successo della strategia di ripopolamento in Nepal, oltre al fatto che ricorda anche il percorso di tutti quei nepalesi che si trasferiscono in India per trovare condizioni economiche migliori. Un vero smacco per il governo del Nepal, anche se non si può dire che abbia fatto il possibile per motivare le tigri a rimanere sui propri territori. Anche qui, infatti, la mano dell'uomo ha portato alla costruzione di infrastrutture che hanno limitato l'habitat a disposizione dei grandi felini e, come se non bastasse, la costruzione di nuove strade ostacola il movimento di questi animali, esponendoli al rischio di incidenti con auto e altri mezzi e dimostrando quanto sia problematica la convivenza degli animali selvatici con il progresso umano, anche quando è il Governo stesso a caldeggiarla. Per ora sono state stilate una serie di regole per creare delle infrastrutture compatibili con la presenza e gli spostamenti delle tigri, ma non c'è di fatto alcun controllo perché vengano rispettate.

E poi ci sono le tensioni sociali: in India, per esempio, gli individui che lottano a favore del ripopolamento delle tigri vivono per la maggior parte in aree urbane, e il problema di trovarsi un felino affamato lungo il cammino non li tocca più di tanto. Nelle aree più rurali e nelle foreste, invece, il discorso cambia, ed è abbastanza frequente che ci siano persone che vengono sbranate vive da quelle tigri che non riescono a trovare alternative gastronomiche o da quelle che vengono sorprese, per esempio, quando stanno dormendo. Questo mette e rischio i residenti, e non parliamo di casi isolati: più di 300 persone in cinque anni, con picchi anche molto più alti. Il numero, tra l'altro, potrebbe essere anche molto sottostimato, perché alcune persone vengono probabilmente sorprese da questi felini durante l'attività di bracconaggio e quindi le famiglie si guardano bene dal denunciarne la scomparsa, quindi non vengono fatte ricerche né indagini.

Oltre alla difficoltà di reperire il dato, risulta anche complicata la differenziazione, necessaria, tra le persone uccise dalle tigri e quelle mangiate dalle tigri che infatti, solitamente, non attaccano gli uomini, ma in mancanza di selvaggina di altro tipo non vanno troppo per il sottile. L'impressione è che alcuni non si rendano conto del problema: è necessario separare le tigri più portate a mangiare l'uomo da quelle più pacifiche, che attaccano solo se si sentono in pericolo, per evitare che la frustrazione della popolazione porti a una battuta d'arresto nel processo di ripopolamento. Di contro, come dicevamo, gli esseri umani coltivano e costruiscono sui territori di questi animali, limitando l'habitat che possono occupare. Il conflitto sembra di non facile risoluzione, e ha assunto ormai connotati politici, perché da una parte si utilizza il ripopolamento di specie in via d'estinzione per ottenere consensi, dall'altra le popolazioni rurali sono sempre più spaventate dall'avvicinamento dei grandi felini: mantenersi in equilibrio politicamente tra questi due estremi è diventata una vera sfida. Tra le linee guida stilate dalla National Tiger Conservation Authority per salvaguardare questi animali c'è la creazione di zone cuscinetto tra quelle abitate dagli umani e quelle abitate dalle tigri, ma naturalmente questo implica una diminuzione delle aree edificabili. È stata anche cambiata la terminologia ufficiale: da tigre mangiatrice di uomini si è passati a un più generico tigre pericolosa per l'uomo, decisione che ha generato malcontento perché sembra ridimensionare quello che è a tutti gli effetti un problema serio. Molti animali possono essere pericolosi per l'uomo, ma essere sbranati in effetti è più cruento che morire, per esempio, per il morso di un serpente.

Viene da pensare di essere tornati alle lotte all'ultimo sangue tra l'essere umano e le fiere, solo che all'epoca gli esseri umani non sapevano ancora costruire strade e edifici. È evidente che si debba andare in una direzione di compromesso tra quegli enti che si occupano di benessere animale e aziende e governi. Questi ultimi ricordano volentieri di aver messo in atto una strategia per il ripopolamento delle tigri, salvo dimenticarsene subito quando un cittadino viene ucciso.

In ogni caso, su scala molto più piccola, quello del ripopolamento non è un problema solo asiatico: in Italia, per esempio, abbiamo gli orsi e i lupi, specie che aveva rischiato di scomparire e che invece sta tornando sulle nostre montagne (è da poco stato completato il primo monitoraggio sulla presenza dei lupi). Anche in   questo caso, il ripopolamento può diventare un problema: pur non raggiungendo neanche lontanamente il numero di vittime delle tigri, lupi e orsi possono diventare pericolosi per l'uomo, ma soprattutto per il bestiame. Ne abbiamo parlato con l'etologo Enrico Alleva, socio corrispondente dell’Accademia dei Lincei.

Servizio di Anna Cortelazzo e montaggio di Barbara Paknazar

Nel caso delle tigri, spiega Alleva, bisogna rilevare che ognuna si specializza su una data preda. Procedendo per prove ed errori, questi animali individuano quelle che possono cacciare più agevolmente, quindi è assolutamente necessario individuare le tigri che si specializzano sull'essere umano. Purtroppo questo avviene solo a posteriori, cioè quando gli esseri umani cominciano a morire. E siccome spesso, come dicevamo, non vengono fatte denunce, il processo rischia di rallentare molto. Nel caso dei lupi e degli orsi il problema sarebbe più facilmente risolvibile: questi animali attaccano per paura e non per fame, perché le persone si avvicinano cercando di scattare una foto o si frappongono tra le madri e i cuccioli.

Anche qui si tratta di trovare un equilibrio: i lupi sono aumentati (si possono trovare tutti i dati nel Rapporto sui grandi carnivori 2021) ed è stata una buona notizia anche perché così è diminuito il numero delle loro prede naturali, come i cervi, che portavano problemi ai raccolti e alla vegetazione. Certo, questo equilibrio va presidiato, perché un aumento ulteriore di lupi e orsi potrebbe portare a un nuovo squilibrio di tipo diverso. Nel frattempo, però, la convivenza con questi animali selvatici è nelle mani dell'uomo: "La soluzione - spiega Alleva - è tanto semplice quanto complessa: l'attuale popolazione italiana, che ha spopolato le Alpi e gli Appennini, non conosce più l'ambiente dove vive, perché altrimenti saprebbe anche come gestire i rapporti con questi animali. Una volta si conoscevano i rischi a cui si andava incontro con la presenza di lupi e orsi e si evitava di visitare determinate zone nel periodo in cui questi animali si riproducevano, non si raccoglievano determinati frutti e, in generale, c'era un rispetto che riduceva molto le possibilità di scontro con questi animali".

Per quanto riguarda invece l'impatto che può avere la presenza dei predatori sugli altri animali,secondo Alleva basta ascoltare gli esperti: c'è un continuo monitoraggio volto a evitare il sovrappopolamento, e nella peggiore delle ipotesi i predatori possono essere traslocati dove c'è più carenza, per tutelare quell'equilibrio necessario in tutti gli spazi ad uso promiscuo di diverse specie.

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