SOCIETÀ

La Russia di Putin, tra sogno imperiale e rimpianti sovietici

“Un tale accentramento del potere in una sola persona non si vedeva dai tempi di Stalin. Questo ovviamente non significa che Putin sia come Stalin, il livello di repressione non è comparabile, tuttavia nell’Urss post staliniana c’era un esercizio collegiale del potere, che Gorbaciov tentò addirittura di democratizzare. Neppure Eltsin fu propriamente un dittatore, anche se promulgò il presidenzialismo di cui poi Putin si è servito”. Non spingono all’ottimismo le parole di Niccolò Pianciola, docente dell’università di Padova specializzato in storia dell’Urss e dell’Asia Centrale, nonché membro del direttivo Memorial Italia, filiale italiana della storica Ong russa dedicata alla memoria delle vittime del totalitarismo e alla difesa dei diritti umani.

Professor Pianciola, come possiamo inquadrare quello che sta accadendo in Ucraina?

“Come una conseguenza del fatto che in molti Paesi ex sovietici il crollo dell’Urss non ha portato a un vero ricambio della classe dirigente. In Russia soprattutto all’interno dei servizi di sicurezza e degli apparati militari, ma anche nel mondo politico, molti ambiscono a riprendere il controllo su parte almeno del territorio sovietico per una politica di potenza, in un’ottica dichiaratamente revanchista”.

Quello di Putin è un sogno neoimperiale o pseudosovietico?

“L’Urss era un progetto con caratteristiche molto determinate e specifiche dal punto di vista politico ed economico, si basava ad esempio sulla proprietà statale di tutte le industrie più importanti: dire semplicisticamente che Putin vuole ricostituirla è superficiale. Il suo è un progetto nazionalista, giustificato con le parole d’ordine e l’ideologia del nazionalismo russo tra Otto e Novecento, che tra le altre cose postula che il popolo russo sia diviso in tre parti, tra cui i bielorussi e gli stessi ucraini, chiamati anche piccoli russi. Fin dal 2014 Putin afferma che non c’è distinzione tra questi popoli, che quindi devono secondo la sua visione essere anche sottoposti allo stesso potere: il suo”.

Però in questo momento sta mandando in Ucraina le milizie cecene.

“La Russia è uno Stato multietnico anche se in misura minore rispetto all’Urss, dove russi e ucraini erano all’incirca rispettivamente il 50% e il 20% della popolazione totale. Rimangono comunque cospicue minoranze di lingua turcica e di religione musulmana, assieme a popoli non caucasici che non parlano neppure lingue indoeuropee. Questo tuttavia non impedisce che essa porti attualmente avanti un’ideologia nazionalista russa”.

Russi e Ucraini un tempo venivano definiti ‘popoli fratelli’, anche se soprattutto durante il Novecento il loro rapporto è stato conflittuale, spesso sanguinoso.

“Non credo si possa parlare in questo modo dei rapporti tra i popoli. Se ci stiamo riferendo alla Grande Carestia del ’32-’33, durante la quale morì circa il 20% della popolazione ucraina, va ricordato che essa fu provocata da politiche sovietiche piuttosto che russe, che colpirono soprattutto gli ucraini perché questi erano i maggiori produttori di grano: l’obiettivo non era sterminare gli ucraini, anche se lo sterminio era considerato un prezzo accettabile. Poi effettivamente Stalin – che era georgiano – interpretò la resistenza contro il potere sovietico come una forma di nazionalismo, quindi a un certo punto usò la carestia anche per colpire la popolazione”.

Oggi l’Holodomor è un elemento essenziale della memoria storica ucraina.

“Le notizie iniziarono a uscire subito, grazie anche alla diaspora ucraina presente soprattutto in Canada e negli Stati Uniti. In seguito, mentre l’Urss si avvicinava alla fine, si iniziò a cercare di far riconoscere la Grande Carestia come un vero e proprio genocidio, tentativo ripreso dal presidente Juščenko dopo la rivoluzione arancione del 2004 e coronato dal riconoscimento di diversi governi stranieri. Si trattò di una rilettura della storia, legittima, portata avanti soprattutto per rafforzare le rivendicazioni di autonomia dello Stato ucraino rispetto a Mosca, considerata sotto molti aspetti erede dell’Unione Sovietica”.

Mosca risponde bollando il governo di Kiev come “nazista” e sottolineando il ritorno in auge di figure come quella di Stepan Bandera.

“Chiariamo che accanto al collaborazionismo ucraino ci fu anche quello russo, come nel caso dell’Esercito russo di liberazione guidato dal generale Vlasov. Bandera era uno dei leader dell'Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini (OUN), fondata in esilio nel 1929 e vicina ideologicamente più al fascismo che al nazismo. Durante la seconda guerra mondiale cercò di sfruttare l’avanzata della Wehrmacht per ritagliare uno Stato autonomo ucraino: i tedeschi all’inizio non furono d’accordo e lo mandarono per due anni in un lager, salvo tirarlo fuori per servirsene verso la fine del conflitto. Successivamente andò in esilio a Monaco, dove fu raggiunto e ucciso dal Kgb nel 1959. Ai tempi dell’Urss Bandera veniva presentato come il volto del nazionalismo e del collaborazionismo ucraino; dopo il 1991, con il rifiuto generale della precedente storiografia ufficiale, la sua figura venne reinterpretata o piuttosto risemantizzata come quella di un eroe antisovietico. Questo per dire che non tutti quelli che inneggiano a Bandera sono fascisti o nazisti, anche se l’uso di questa figura nello spazio pubblico ucraino non è sicuramente corretto”.

Lei è nel direttivo italiano di Memorial Italia, la cui capofila è stata chiusa lo scorso dicembre. Cosa sta accadendo alla Russia di Putin?

“Alla guerra in Ucraina fa oggi da contraltare all’interno del Paese la chiusura degli spazi di libertà rimasti e dei pochi media indipendenti come il canale televisivo Dozhd (in russo “pioggia”) e la radio Ekho Moskvy (“Eco di Mosca”). Quanto a Memorial, si tratta della più antica e importante associazione per la memoria delle vittime della violenza staliniana, riconosciuta già nel 1989 dal potere sovietico e con più di 80 filiali anche al di fuori della Russia. Dagli anni ‘90 accanto alle attività originarie, come la ricerca delle fosse comuni e la raccolta di testimonianze orali, si è affiancato anche il supporto legale gratuito per le vittime di violazioni dei diritti umani, ad esempio da parte dell’esercito russo in Cecenia. Per questo l’Associazione è sempre stata scomoda per potere, come dimostra la barbara uccisione di Natal'ja Ėstemirova nel 2009. Il fatto che la più antica e prestigiosa Ong del Paese sia stata liquidata proprio alla vigilia dell’invasione dell’Ucraina da una parte induce al sospetto che l’attacco fosse già pianificato, dall’altra è un segnale molto preciso e inquietante da parte del regime alla società russa”.

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