MONDO SALUTE

In Salute in movimento. L'impatto di Covid-19 sulla pratica sportiva e l'esercizio fisico

A partire dal marzo del 2020, su tutto il territorio nazionale sono state adottate misure restrittive di vario tipo per contenere la diffusione del virus Sars-CoV-2 che hanno interessato anche le attività sportive e motorie. Nel corso del primo lockdown sono stati chiusi gli impianti nei comprensori sciistici e sospese le competizioni sportive di ogni ordine e disciplina, oltre alle attività di palestre, piscine, centri sportivi. Dopo una prima diminuzione dei contagi, sono gradualmente riprese le attività, da parte di professionisti e non, ma la seconda ondata a partire dal mese di ottobre del 2020 ha imposto di nuovo ulteriori limitazioni, via via più stringenti. Nel corso dell’ultimo anno ci sono stati momenti e zone in cui l’attività motoria era consentita solo nei pressi dell’abitazione. Le prime riaperture sono state introdotte in zona gialla con il decreto-legge del 22 aprile 2021 che ha previsto la possibilità di svolgere attività sportiva, anche di squadra e di contatto, all’aperto. Ciò vale anche per le zone all’aperto di centri e circoli sportivi, di palestre, parchi e aree attrezzate. Dal 15 maggio, inoltre, sono consentite le attività all’aperto delle piscine. Ulteriori riaperture sono state stabilite nella riunione del Consiglio dei ministri di lunedì 17 maggio. Considerando l’andamento della curva epidemiologica e lo stato di attuazione del piano vaccinale, infatti, è stato approvato un ulteriore decreto-legge che anticipa (sempre in zona gialla) al 24 maggio, rispetto al 1° giugno come stabilito in precedenza, la riapertura delle palestre, mentre dal 1° luglio potranno riaprire le piscine al chiuso. 

Va da sé l’impatto che possono aver avuto le misure adottate nell'ultimo anno: stando a un’indagine di Sport e salute, il 97% delle organizzazioni sportive (su un campione rappresentativo di 8.470) nel 2020 ha riscontrato perdite di ricavi rispetto al 2019 e il 61% di queste ha avuto una perdita di oltre il 50%. Nel 32% delle organizzazioni, prima della pandemia il numero di persone che frequentavano mensilmente il centro sportivo – tra iscritti e frequentatori saltuari – era compreso tra 101 e 250; in altri casi il numero di persone che mensilmente svolgevano attività fisico-sportiva era anche maggiore e si collocava tra 251 e 500 nel 14% delle associazioni sportive considerate e al di sopra di 500 nel 10% di queste. Ebbene, nel periodo tra maggio 2020 e febbraio 2021, in generale più di 9 organizzazioni su 10 (il 91%) hanno riscontrato una perdita di utenza e, tra queste, il 40% dichiara di aver perso oltre la metà dei propri praticanti.

Le restrizioni necessarie a contenere la diffusione del virus Sars-CoV-2 hanno dunque limitato – in modo più o meno stringente e con evidenti conseguenze sul piano economico – la possibilità di svolgere attività fisica. Per capire in che modo questo possa aver influito e influire sul benessere psico-fisico delle persone e sulla loro salute, Il Bo Live si è rivolto ad Andrea Ermolao, direttore dell’unità operativa complessa di Medicina dello sport dell’azienda Ospedale – università di Padova e della scuola di specializzazione in Medicina dello sport e dell'esercizio fisico dello stesso ateneo.

Intervista completa ad Andrea Ermolao, direttore dell’unità operativa complessa di Medicina dello sport dell’azienda Ospedale – università di Padova. Montaggio di Barbara Paknazar

Si dirà innanzitutto che le nuove linee guida dell’Organizzazione mondiale della Sanità pubblicate nel novembre del 2020 (WHO Guidelines on physical activity and sedentary behaviour) indirizzano gli adulti a svolgere 150-300 minuti di attività fisica aerobica (camminata, bicicletta, nuoto, corsa) di intensità moderata alla settimana, o 75-150 minuti di attività di intensità vigorosa, o ancora una combinazione equivalente delle due modalità. Le linee guida raccomandano inoltre esercizi di rafforzamento muscolare almeno due giorni a settimana. A tutti gli anziani si indica poi di svolgere almeno tre giorni a settimana anche attività fisica multicomponente (una combinazione di attività aerobica, rafforzamento muscolare e allenamento dell’equilibrio svolti in un’unica sessione) per aumentare la capacità funzionale e ridurre il rischio di cadute accidentali. Si consiglia, inoltre, di limitare il tempo di sedentarietà, sostituendolo con attività fisica di qualsiasi intensità. I bambini e gli adolescenti, infine, dovrebbero praticare una media di 60 minuti al giorno di attività fisica aerobica di intensità moderata-vigorosa. Per questo gruppo di età sono previsti esercizi di potenziamento muscolare almeno 3 volte a settimana.

Su queste buone pratiche, però, le restrizioni imposte nell’ultimo anno non sono state prive di conseguenze. “I dati che provengono dalla letteratura scientifica – sottolinea Andrea Ermolao – ci parlano in generale di una riduzione significativa del livello di attività fisica. In generale sono molto variabili, ma almeno il 50% delle persone, secondo molti studi, dichiara di aver ridotto il livello di attività fisica, di non aver raggiunto i livelli raccomandati. È aumentato inoltre il tempo di sedentarietà, che è dipeso dal periodo di lockdown, dal fatto che il lavoro è stato svolto da casa, che abbiamo più spesso trascorso il nostro tempo davanti al telefono, al computer, alla televisione”.

Sebbene, secondo il docente, sia ancora presto per dire quali siano state le ricadute sulla salute della popolazione, che probabilmente si vedranno nel medio e lungo termine, si può certamente fare qualche considerazione. “Il fatto di aver dovuto ridurre forzatamente l'attività fisica, di aver dovuto chiudere le palestre, per esempio, per un periodo così prolungato ha comportato sicuramente un incremento ponderale che sembra essere maggiore nei soggetti che già avevano problemi di sovrappeso o obesità, dunque nei soggetti più a rischio. In secondo luogo si può avere perdita di massa muscolare: il ridotto esercizio fisico e la maggiore sedentarietà può non ripercuotersi magari su una grande variazione di peso, ma determinare una conversione della massa muscolare in massa grassa”.

Ermolao accenna anche a un possibile abbassamento del tono dell’umore: diversi studi hanno dimostrato un aumento dei livelli di ansia e depressione che si correlano anche a una minore attività fisica. “Sicuramente si è avuto un peggioramento nel profilo metabolico: meno attività fisica e più sedentarietà comportano in tutti quanti, anche nei soggetti sani, una tendenza all'incremento della glicemia, un peggioramento del profilo lipidico, tutte condizioni che a lungo termine potrebbero avere un impatto sullo stato di salute generale. E purtroppo l'effetto sarà sicuramente maggiore nei soggetti che hanno già dei fattori di rischio, o delle patologie conclamate, perché chiaramente queste sono spesso aggravate”.

Anche nei più piccoli la chiusura di palestre e centri sportivi ha portato in media a una riduzione del livello di attività fisica. Ermolao riferisce tuttavia una situazione disomogenea, che tendenzialmente ha visto le bambine e i bambini più sedentari accentuare questa inclinazione e quelli più attivi mantenere invece le buone abitudini. Una variabile importante è poi la famiglia: i genitori che prestano più attenzione allo stile di vita, hanno cercato comunque di mantenere una dieta sana e di svolgere esercizio fisico trovando soluzioni anche all’interno della propria abitazione. “Questo potrebbe aver penalizzato le famiglie con genitori lavoratori, con livelli culturali o livelli sociali più bassi, che magari dal punto di vista economico hanno avuto meno possibilità di seguire i propri figli”. Va poi tenuto conto che le buone pratiche, un corretto stile di vita, si apprendono in età giovanile e trascorrere molto tempo nella propria casa, davanti alla televisione o allo smartphone, può creare abitudini difficili da eliminare.

“In situazioni di forzata riduzione della mobilità, la prima cosa da fare è contrastare la sedentarietà, interrompendo i periodi prolungati trascorsi davanti al computer più volte durante la giornata”. In molti nell’ultimo anno hanno svolto, e continuano a svolgere, il lavoro agile e questo ha sensibilmente ridotto la necessità di recarsi sul posto di lavoro, magari a piedi o in bicicletta. “Il secondo aspetto importante – sottolinea Ermolao – è svolgere attività fisica anche all'interno della propria abitazione, oppure all’esterno”. Anche in casa le possibilità di fare movimento non mancano, servendosi di piccoli attrezzi per esempio (anche semplici bottiglie d’acqua) o sfruttando scale e sedie. Esistono poi moltissime applicazioni per smartphone che forniscono indicazioni su qualsiasi tipo di attività fisica o filmati su YouTube da cui poter attingere.

Negli ultimi mesi molte palestre si sono attrezzate anche per svolgere attività a distanza, personalizzate o a piccoli gruppi (in collegamento). Tutti aspetti, questi, su cui è intervenuta anche l’Organizzazione mondiale della Sanità fornendo suggerimenti. “Con tutte queste soluzioni non abbiamo scuse, se vogliamo, per non fare attività fisica. Dobbiamo saper superare le barriere, che spesso sono psicologiche”. E non dovrebbero esserci nemmeno questioni di tempo: “L'attività fisica dovrebbe far parte della nostra quotidianità, delle attività che dobbiamo includere nella nostra giornata, obbligatoriamente in qualche modo”.

Andrea Ermolao sottolinea che la letteratura scientifica già da diversi anni ha dimostrato come l'attività fisica abbia degli effetti molto importanti sul sistema immunitario: soggetti regolarmente attivi hanno un sistema immunitario più efficiente che li protegge potenzialmente da infezioni e anche da alcuni tipi di neoplasie.  “Ci sono diversi studi, poi, che hanno dimostrato una correlazione inversa tra il livello di attività fisica e il rischio di contrarre una forma grave di Covid-19”. Il docente riferisce in particolare di uno studio recentemente pubblicato sul British Journal of Sport Medicine condotto su una popolazione di quasi 50.000 persone da cui è emerso che i soggetti con Covid-19 particolarmente inattivi, che facevano cioè meno di dieci minuti di attività fisica di intensità moderata o più intensa a settimana, e quelli invece che raggiungevano il livello di attività fisica raccomandato di almeno 150 minuti a settimana, avevano un profilo di rischio completamente diverso: i primi avevano un rischio di andare incontro alla forma severa della malattia, di essere ricoverati in terapia intensiva, circa due volte superiore rispetto ai secondi e anche un rischio di mortalità maggiore di due volte e mezzo.

Secondo Ermolao sebbene si tratti di uno studio osservazionale, non di un trial clinico quindi, è verosimile che esista una correlazione di causa-effetto. “Un altro aspetto interessante che emerge dallo studio è che il livello di attività fisica, dopo l'età e il trapianto d'organo, è il più importante determinante del rischio anche superiore ad altri fattori noti, come il fumo, la presenza di cardiopatia o di neoplasie, l'ipertensione, l'obesità”.  

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