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Se di febbre del Nilo occidentale ormai si legge con una certa frequenza, soprattutto sui media nel periodo estivo – ma anche Dengue, Zika, Chikungunya salgono agli onori della cronaca più di un tempo –, di virus Toscana e della patologia a cui può dare origine si parla poco o nulla. Eppure il ministero della Salute ne raccomanda la segnalazione in caso di diagnosi già a partire dal 2016 e oggi la sorveglianza delle infezioni è stata inclusa nel Piano Nazionale di prevenzione, sorveglianza e risposta alle Arbovirosi 2020-2025. Nel 2022 i casi confermati sono stati 152, tutti autoctoni, con un’età mediana di 53 anni e per il 69% maschi. Tra questi è stato segnalato anche un decesso.
Per saperne di più, ci siamo rivolti a Maria Grazia Cusi che da anni si occupa dell’infezione nell’uomo. Maria Grazia Cusi è professoressa di microbiologia e microbiologia clinica all’università di Siena, direttrice dell’unità operativa complessa di Microbiologia e virologia dell’Azienda ospedaliero-universitaria senese, e delegata della Regione Toscana della Società Italiana di microbiologia.
Intervista completa alla microbiologa Maria Grazia Cusi. Servizio di Monica Panetto, montaggio di Barbara Paknazar
“Il virus Toscana è presente nel nostro Paese sin dagli anni Settanta, forse anche prima. Nel 1971 fu isolato da un pipistrello nella zona dell’Amiata in Toscana da Paola Verani dell'Istituto superiore di Sanità e soltanto nel 1980 è stato diagnosticato il primo caso di meningite da virus Toscana a Firenze. Oggi è considerato emergente dall’Organizzazione mondiale della Sanità, sebbene sia poco noto. È più conosciuto nell'area del bacino Mediterraneo, perché in tutti i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo sono stati riscontrati casi di patologia associata al sistema nervoso, dovuta a infezione da virus Toscana. L’infezione è stata riscontrata anche in seguito a indagini epidemiologiche di sieroprevalenza”.
Si tratta di un arbovirus a RNA appartenente al genere Phlebovirus, famiglia Bunyaviridae e all’ordine dei Bunyavirales, trasmesso da flebotomi, i pappataci. Poiché la circolazione del virus è correlata a quella del vettore, i casi di infezione sono più frequenti nel periodo da maggio a ottobre, novembre. In Italia, la specie di vettore predominante è Phlebotomus perniciosus, presente in particolare nelle aree rurali e periurbane delle regioni tirreniche e meridionali, seguita da Phlebotomous perfiliewi che raggiunge la densità più alta sul versante adriatico degli Appennini, dall’Abruzzo all’Emilia-Romagna, anche se focolai ad alta densità si trovano in Toscana, Calabria e Sicilia.
È ormai noto che i cambiamenti climatici possono aumentare la diffusione e la circolazione dei vettori. “Nel caso specifico, i flebotomi a differenza della zanzara, non utilizzano ristagni d’acqua per deporre le uova e quindi le larve. La temperatura elevata può essere un elemento favorevole per la loro diffusione, la presenza di pioggia un po' meno perché elimina le larve che vanno a deporsi sui terreni asciutti. L'andamento delle infezioni nel corso degli ultimi dieci anni è cambiato anche a seconda del clima: più rimane asciutto e con temperature elevate, maggiore è il numero di casi di infezione che noi riscontriamo”.
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Dal punto di vista epidemiologico e di sieroprevalenza il virus è altamente presente nella popolazione italiana. “La percentuale di sieropositività in Toscana, per esempio, raggiunge anche più del 30%; se poi esaminiamo classi di popolazione che trascorrono molto tempo nell'area rurale e forestale si raggiunge una sieropositività addirittura del 77%”. Oltre che nell’essere umano sono stati trovati anticorpi anche in cavalli, gatti, cani, pecore, maiali, bovini e pipistrelli.
Il periodo di incubazione della malattia è solitamente di 3-7 giorni, ma può arrivare a due settimane, probabilmente influenzato dalla carica virale della puntura infettante. Cusi spiega che la patologia non è grave come quella causata da West Nile virus. “Anche in questo caso come nel precedente si possono avere forme simil-influenzali o asintomatiche con stato febbrile, dolori muscolari, mialgie e così via. Tuttavia, in una percentuale per fortuna limitata di casi si può avere meningite, meningo-encefalite, encefalite ma anche altre manifestazioni cliniche particolari, un po' meno usuali, come idrocefalo, sordità, esantema, dolore all'apparato genitale maschile. In un paio di casi l’infezione da virus Toscana è stata associata a un cambiamento della personalità. La malattia ha un decorso benigno, la mortalità è molto molto rara, se non in soggetti particolari che hanno comorbidità, e si risolve nell'arco di solito di 7-10 giorni”. Al momento non esistono terapie specifiche nè vaccini. Sebbene sia una delle cause preminenti di meningiti e meningo-encefaliti estive nei Paesi del Mediterraneo e una malattia emergente, il virus Toscana viene tuttavia considerato di rado nella diagnosi differenziale delle infezioni del sistema nervoso centrale, con una conseguente sottodiagnosi della patologia.
“In caso di infezione meningea oppure di forme ancora più gravi come l’encefalite, è necessario fare un prelievo del liquido cefalorachidiano (rachicentesi) e un'indagine molecolare sia sul liquor, sia a livello di sangue o siero, andando a cercare il genoma virale direttamente nel campione biologico. Inoltre, può essere associata la diagnosi indiretta con la ricerca di anticorpi specifici IgM e IgG nel siero del paziente. Qualora siano presenti le IgM possiamo altamente sospettare un'infezione recente da virus Toscana”.
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Maria Grazia Cusi e il suo gruppo da tempo studiano l’infezione trasmessa dal virus Toscana. Dopo essersi inizialmente concentrati sulla patogenesi della malattia, i ricercatori stanno ora cercando di capire la ragione per cui il virus provoca malattia grave e quindi patologie a livello del sistema nervoso solo in una percentuale limitata di casi, mentre nella maggior parte causa soltanto sintomi simil-influenzali. Hanno rilevato innanzitutto che il virus pur inducendo interferone, che l'individuo sviluppa con l'immunità innata per far fronte alla malattia, produce una proteina che parzialmente lo antagonizza. In secondo luogo gli scienziati hanno rilevato che un altro fattore importante è la carica virale: quanto più è elevata, tanto più è facile che il virus possa raggiungere anche il sistema nervoso centrale.
Cusi e colleghi, inoltre, da tempo stanno lavorando allo sviluppo di un vaccino che attualmente non esiste: finora gli studi sono stati condotti nel modello murino, ma l’obiettivo è di ottenere presto un farmaco che possa prevenire la malattia da virus Toscana nell’uomo.