MONDO SALUTE
In Salute. West Nile virus: sintomi, prevenzione e approccio One Health
La comune zanzara notturna, Culex pipiens, trasmette l'infezione da West Nile virus. Foto: Adobe Stock
È iniziata precocemente quest'anno la circolazione di West Nile virus in Italia. Nel mese di maggio l’Istituto superiore di Sanità ha rilevato positività al virus nelle province di Varese e Catania, sebbene al momento solo in un gruppo di zanzare e in una cornacchia. Rispetto agli anni precedenti il 2022 ha registrato un picco di infezioni nell’uomo, con 588 casi confermati e 37 decessi: tra il 2019 e il 2021 i casi segnalati sono stati molti meno, rispettivamente 56, 68 e 55, le morti notificate 5 nel 2019 e nel 2020 e nessuna nel 2021. Nel 2018 invece si è osservata una situazione simile a quella dello scorso anno, con 577 casi e 42 decessi.
La trasmissione del virus avviene principalmente da aprile a novembre in Europa: la ragione per cui l’estate è il periodo più insidioso, anche in relazione ai cambiamenti climatici in atto, è presto detta. Gli uccelli selvatici costituiscono il serbatoio naturale del virus, mentre le zanzare fungono da vettore e possono infettare l’uomo, ma anche altri mammiferi, specie i cavalli, e in alcuni casi cani, gatti e conigli. In Italia il vettore principale è la comune zanzara notturna (Culex pipiens), particolarmente abbondante nelle aree del nord. La maggior parte delle infezioni viene contratta in questo modo, ma la trasmissione può avvenire anche attraverso trasfusione di sangue, trapianto di organi, in ambienti di laboratorio e da madre a feto durante la gravidanza.
West Nile è un arbovirus che appartiene alla famiglia Flaviviridae, genere Flavivirus, responsabile come vedremo di infezioni asintomatiche, simil-influenzali e neurologiche. Nel nostro Paese, le arbovirosi soggette a sorveglianza sono West Nile, Usutu, Chikungunya, Dengue, Zika, encefalite da zecca (Tbe) e le infezioni neuro-invasive da virus Toscana (di alcune di queste parleremo nei prossimi servizi della serie "In Salute"). A coordinare le attività – regolate dal Piano Nazionale di prevenzione, sorveglianza e risposta alle Arbovirosi (PNA) 2020-2025” – è l’Istituto superiore di Sanità, insieme all’Istituto Zooprofilattico dell’Abruzzo e del Molise nel caso dei virus West Nile e Usutu, in collaborazione con il ministero della Salute che trasmette i dati alla Commissione europea e all’European Centre for Disease Prevention and Control (Ecdc).
Per approfondire l’argomento ci siamo rivolti ad Annamaria Cattelan, direttrice dell’unità operativa complessa Malattie infettive e tropicali dell’azienda ospedale-università di Padova, professoressa di malattie infettive nell’ateneo padovano e segretaria della sezione Triveneto della Società italiana di Malattie infettive e tropicali.
Intervista completa ad Annamaria Cattelan, infettivologa dell'università di Padova. Montaggio di Barbara Paknazar
Come si manifesta la malattia
Il periodo di incubazione dell’infezione da West Nile virus dal momento della puntura della zanzara infetta varia dai 2 ai 14 giorni, ma può arrivare anche a 21 in caso di individui con deficit del sistema immunitario. La malattia non si trasmette attraverso il contatto con persone infette. “Nel 60-80% dei casi – sottolinea Cattelan – l'infezione decorre asintomatica; nel 20-40% dei casi si manifesta la cosiddetta febbre da virus West Nile che è la forma più frequente, caratterizzata da sintomi simil-influenzali come febbre, mialgie, cefalea, ingrossamento dei linfonodi, talvolta anche eruzioni cutanee, eritemi maculo-papulosi che interessano il tronco, gli arti e di norma non pruriginosi. La forma più grave invece interessa fortunatamente meno dell'1% dei casi e porta a una vera e propria malattia neurologica: si tratta di una forma neuro-invasiva da West Nile virus che ha una mortalità intorno di circa il 5-10%. Colpisce soprattutto le persone immunodepresse e anziane, che sviluppano meningite, encefalite, paralisi flaccida. Può dare inoltre debolezza muscolare, disorientamento, tremori, disturbi della vista, torpore, convulsioni fino alla paralisi e al coma”.
Non è sempre facile distinguere la malattia da una comune influenza, sebbene esistano alcune lievi differenze. L’influenza per esempio non è tipicamente presente nella stagione estiva, quindi in caso di sintomi simili l’epidemiologia potrebbe far pensare a una febbre da West Nile, specie se il paziente presenta anche punture di zanzara. Cattelan sottolinea che nel periodo che va da maggio a novembre è necessario orientarsi verso una diagnosi differenziale nei confronti delle febbri estive. La sindrome da raffreddamento inoltre è tipica dell’influenza e non dell’infezione da West Nile, mentre il contrario avviene per l’eruzione cutanea (a meno che il malato non assuma altri farmaci che possono provocare eritemi di natura allergica).
Diagnosi, trattamento e prevenzione
La diagnosi di infezione da West Nile virus viene effettuata con la ricerca degli anticorpi o direttamente del virus nel sangue, nelle forme più gravi anche nel liquido cefalorachidiano. “Purtroppo – sottolinea l’infettivologa – non esiste una cura specifica, una terapia antivirale diretta, pertanto vengono usate soltanto terapie di supporto per superare la fase della febbre, dell'infiammazione. Lo strumento principale è la prevenzione primaria, ma anche in questo caso non esistono vaccini. Ce ne sono soltanto per gli animali, per i cavalli sostanzialmente, mentre per l’uomo sono in corso studi di fase uno e due. Non è ancora così vicino il momento in cui potremo contare sulla vaccinazione”.
È fondamentale dunque evitare di essere punti dalle zanzare attraverso una serie di misure come l’uso di repellenti, di pantaloni lunghi e camicie a maniche lunghe quando si è all’aperto nelle ore serali e notturne, ed è preferibile evitare i campi e i giardini erbosi; all’interno è utile avere zanzariere alle finestre. Si deve prestare attenzione all’acqua stagnante nei sottovasi, perché agevola la proliferazione delle zanzare, e per la stessa ragione si dovrebbe cambiare frequentemente l’acqua nelle ciotole dei cani e dei gatti.
Fonte: Adobe Stock
Aree interessate da West Nile virus in Italia
In Italia ci sono regioni più interessate di altre dalla patologia. “Il Veneto è una di queste purtroppo, insieme all'Emilia Romagna, alla Lombardia, ma anche alla Sardegna e probabilmente queste aree sono destinate ad allargarsi. Teniamo presente che ormai l'infezione è endemica in molte aree del Mediterraneo, ma anche nell'Europa dell'est e nell'Europa centrale. Purtroppo i cambiamenti climatici che comportano una tropicalizzazione delle nostre aree non fanno che favorire lo sviluppo e la diffusione di questo virus e della zanzara, cioè il vettore che lo trasmette”.
I primi casi umani sono stati registrati nel 2008, si ricordano in particolare gli episodi del 2013 e del 2018. “Rispetto agli anni precedenti, nel 2022 si è riscontrato un numero maggiore di casi nella forma neuro-invasiva e questo ci ha preoccupato: nella provincia di Padova abbiamo avuto complessivamente più di 120 pazienti con West Nile Virus, e almeno la metà con una forma neuro-invasiva che invece dovrebbe rappresentare soltanto una piccola percentuale del totale”. Le valutazioni sulle ragioni di questo andamento sono tuttora in corso.
Discorso di altro tipo va fatto invece per i territori alluvionati dell’Emilia Romagna che, con la presenza di acqua stagnante e la possibile proliferazione di zanzare, potrebbero essere maggiormente a rischio. “In queste zone si deve monitorare in maniera molto attenta la diffusione del West Nile virus negli animali, soprattutto nei cavalli che sono gli ospiti finali come l'uomo, e non reservoir naturali del virus, come lo sono invece gli uccelli, specie i corvi: sono più di 300 le specie aviarie che possono essere reservoir naturali e dunque permettere la circolazione del virus in natura”.
West Nile virus e approccio One Health
Il virus del Nilo occidentale rappresenta un problema di salute pubblica non trascurabile nel nostro continente, e questo ha indotto l'Ecdc, in collaborazione con l’Istituto superiore di Sanità, a riunire quasi una cinquantina di esperti del settore a Roma lo scorso marzo, per discutere di preparazione e risposta alle infezioni da West Nile virus. Flavia Riccardo, specialista in malattie infettive e ricercatrice senior presso il dipartimento di Malattie infettive dell'Iss, a margine dell’evento ha sottolineato che l’approccio One Health è l’unica via da seguire. Ciò significa “controllo mirato dei vettori, monitoraggio della resistenza agli insetticidi, sorveglianza integrata uomo-animale-insetti, comunicazione del rischio sulla malattia e sua prevenzione, sviluppo delle capacità diagnostiche di laboratorio, misure di sicurezza per trasfusioni e trapianti e conduzione di revisioni post-azione ed esercizi di simulazione”.
Come abbiamo approfondito in un precedente servizio, la salute dell’uomo è strettamente correlata a quella dell’intero pianeta, inclusi piante e animali e questa consapevolezza ha assunto nel tempo un peso sempre maggiore, dando origine a un nuovo modello sanitario multisettoriale e transdisciplinare: One Health guarda alla medicina attraverso uno studio complessivo degli ecosistemi umani, animali e vegetali e dei loro contesti sociali e/o ambientali. Con evidenti ricadute positive.
Foto: Adobe Stock
Facciamo qualche esempio: la sorveglianza secondo questo tipo di approccio nel 2018 ha consentito di rilevare la circolazione di West Nile virus nove giorni prima dell'insorgenza dei sintomi del primo caso umano confermato, innescando l'attuazione tempestiva delle misure di sicurezza per le trasfusioni e i trapianti. Ancora, uno studio condotto in Emilia Romagna qualche anno fa ha quantificato i benefici economici che derivano da una sorveglianza epidemiologica di tipo One Health, confrontandoli con un approccio che invece non integra le informazioni sulla salute umana, animale ed entomologica. I benefici sono stati quantificati in termini di costi evitati per potenziali casi umani di malattia neuro-invasiva da West Nile virus associati a trasfusioni di sangue infetto. Ebbene, tra il 2009 e il 2015 l’approccio One Health ha consentito di risparmiare 160.921 Euro rispetto alla linea adottata in precedenza dalla Regione. In entrambi i casi, lo screening delle donazioni di sangue è stato il costo principale. L’approccio One Health ha permesso di ridurre il numero di test eseguiti sulle unità di sangue con un risparmio stimato di 1,21 milioni di Euro. Ammontano invece a una cifra compresa tra 0 e 2,98 milioni di Euro (valutando lo scenario peggiore, intermedio e migliore) i costi di ospedalizzazione a breve termine e i risarcimenti evitati in relazione alla probabilità di sviluppare la malattia neuro-invasiva da West Nile virus dopo aver ricevuto una trasfusione di sangue infetto.
Su questa linea, nei mesi scorsi è stato avviato in Italia un progetto nazionale, coordinato dall’università di Pavia, che ha portato alla costituzione del consorzio Inf-Act, composto da 25 enti pubblici e privati con l’obiettivo dichiarato di affrontare il problema di possibili epidemie adottando proprio un approccio One Health.