SCIENZA E RICERCA

SARS-CoV-2: Rt, un indice da monitorare ma non incondizionatamente

A questo numero, durante il difficile periodo del lockdown, abbiamo affidato le nostre verifiche che le misure di contenimento del SARS-CoV-2 si traducessero nei risultati sperati. Allo stesso modo quando le restrizioni sono state allentate lo abbiamo sorvegliato quotidianamente con il timore di vederlo nuovamente superare il fatidico livello di 1, quello sopra il quale un’infezione tende a crescere. Nella pandemia provocata dal nuovo coronavirus - sottolinea un articolo del giornalista scientifico David Adam pubblicato su Nature - l’indice di R, più propriamente Rt quando un’infezione non è più lasciata al suo corso ma si cerca di arginarla attraverso l’introduzione di specifiche misure - è uscito dalle pagine delle riviste accademiche per entrare nelle discussioni regolari da parte dei decisori politici e dei media, finendo per diventare una figura ormai totemica e incorniciato come un numero che modellerà la vita di tutti.

Ma quali sono le origini di R? L’articolo ricorda che questo valore è stato utilizzato per la prima volta quasi un secolo fa in demografia e vi si misurava la riproduzione delle persone, indipendentemente dal fatto che la popolazione stesse crescendo o meno. In epidemiologia, si applica lo stesso principio, ma misura la diffusione dell'infezione in una popolazione. Se R è pari a due, vuol dire che due persone infette in media ne infettano altre quattro, che ne infettano altre otto e così via. Per ottenere una riduzione dei contagi occore, come efficacemente spiegato ad aprile in un video anche dalla cancelliera tedesca Angela Merkel, che il valore di R scenda al di sotto della soglia di uno.

All’inizio di un’epidemia l’indice chiave è R0 e viene calcolato con il presupposto che tutti gli individui di una popolazione siano sensibili all'infezione. Questo - precisa David Adam - di solito non è vero, ma potrebbe accadere quando emerge un nuovo virus, come SARS-CoV-2. Nella prima fase la valutazione di R0 e di altri indicatori era cruciale per gli epidemiologi che costruivano modelli su come la malattia potesse diffondersi. Il 30 marzo un report dell’Imperial College di Londra aveva stimato un valore di R0 su scala globale pari a 3,8 ma aveva anche precisato che le misure di contenimento avrebbero portato a un significativo cambiamento. Per l’Italia un lavoro realizzato da esperti dell’Istituto superiore di sanità, pubblicato in preprint, aveva rilevato un R0 tra 2,5 e 3. 

Un valore che, per fare qualche paragone, è superiore a quello dell’influenza stagionale, stimato in 1,3 e di molto inferiore a quello del morbillo che, con un valore tra 12 e 17, è tra i coefficenti i più alti. R0 indica però solo il potenziale della trasmissibilità di una malattia e non considera la presenza o meno di una copertura vaccinale tra la popolazione o l’acquisizione dell’immunità ad un determinato virus. Inoltre anche un virus che tende a trasmettersi facilmente avrà maggiori difficoltà a diffondersi in un territorio in cui le persone si incontrano raramente rispetto a un’area densamente abitata.

Nella fase succesiva all’inizio di un’epidemia l’indice che viene tenuto monitorato è Rt ma, fa notare l’articolo di Nature, questo coefficiente non è esente da limiti e problemi. Alcune difficoltà sono a livello temporale e riguardano il ritardo significativo, tra i dieci giorni e le due settimane, con cui è possibile aggiornare questo indicatore sulla base dei dati sul numero totale delle infezioni. Un aspetto importante di Rt è poi insito nel fatto che rappresenta solo una media in una regione con il risultato che si rischia di non dare la giusta importanza a specifici cluster locali di infezione. Al contrario, elevate incidenze di infezione tra una sottosezione più piccola, spazialmente distinta, di una popolazione possono influenzare il valore Rt di una regione più ampia. E questo accade in maniera ancora più evidente quando i casi totali di contagio sono limitati.

In Italia durante la fase di discussione che ha preceduto la riapertura degli spostamenti tra le Regioni c’era stato un momento in cui l’utilizzo di Rt come parametro decisionale avrebbe rischiato di portato a risultati paradossali: per qualche giorno, tra il 4 e il 10 maggio, il valore Rt di Umbria e Molise, regioni in cui durante il corso dell’epidemia il numero di contagi è sempre rimasto particolarmente basso, era salito a causa della scoperta di alcuni focolai e improvvisamente questi due territori si erano trovati catalogati nella fascia definita a “rischio moderato”, insieme alla Lombardia. E, come noto, prima che prevalesse la scelta di autorizzare gli spostamenti tra tutte le parti d’Italia a partire dal 3 giugno, era stata paventata l’ipotesi di consentire una circolazione interregionale suddivisa per fasce di rischio.

In Germania era accaduto qualcosa di simile a fine giugno quando il valore di Rt nazionale era balzato da poco più di 1 a 2,88 (successivamente rivisto a 2,17) principalmente a causa di un focolaio in un impianto di lavorazione della carne a Gütersloh nella Renania settentrionale-Vestfalia. Una situazione che aveva portato a nuovi lockdown, estesi anche al vicino distretto di Warendorf.

E adesso, per tornare nel nostro Paese, a preoccupare è il Veneto il cui Rt, dopo essere rimasto per lungo tempo su valori bassi, con il suo attuale 1,61 provocato da alcuni specifici focolai è diventato la maglia nera d’Italia.

Un altro limite di questo coefficiente, continua David Adam nella sua analisi, è che non permette di cogliere il ruolo dei superdiffusori, persone che trasmettono la malattia molte volte più della media, anche a causa di specifiche situazioni contestuali come la partecipazione a eventi affollati che si svolgono in ambienti interni in cui il virus si diffonde più facilmente. Nel caso di SARS-CoV-2 solo il 10-20% delle persone infette sembra causare l'80% dei nuovi contagi e il parametro che misura questa tendenza dei virus a raggrupparsi in cluster di infezione è il fattore di dispersione k. Sulla base di questa osservazione, segnala l’articolo di Nature, i divieti mirati, incentrati su determinate attività indoor affollate, potrebbero avere più benefici rispetto a una strategia che si basi su restrizioni generalizzate introdotte ogni volta che il valore Rt raggiunge uno.

Gli esperti intervistati da David Adam sono concordi nel ritenere che ci si stia affidando all’analisi delle oscillazioni di Rt in modo eccessivo con il risultato che questo numero tende ad essere utilizzato per scopi per i quali non era mai stato progettato. Jeremy Rossman, un virologo dell'Università del Kent, nel Regno Unito sottolinea che R è in realtà una stima imprecisa che si basa su ipotesi. Non rileva lo stato corrente di un'epidemia e può aumentare o diminuire quando il numero di casi è basso. È anche una media per una popolazione e quindi può nascondere la variazioni locali. Dedicare troppa attenzione a questo parametro, sostiene Rossman, potrebbe oscurare l'importanza di altre misure, come l'analisi dell'andamento nel numero di nuove infezioni, decessi e ricoveri ospedalieri, e l’utilizzo di sondaggi di coorte che possono aiutare a capire quante persone hanno la malattia o l’hanno avuta in passato. E, soprattutto, i ricercatori affermano che per i Paesi che si stanno riprendendo dalla prima ondata della pandemia è molto più importante focalizzarsi sui singoli gruppi di casi e istituire sistemi completi per testare le persone, rintracciare i loro contatti e isolare quelli che risultano contagiati, più che analizzare le oscillazioni di Rt, come se fosse un ago su quadrante colorato.

Abbiamo ragionato sul ruolo di Rt insieme all’immunologa Antonella Viola, docente del dipartimento di Scienze biomediche dell’università di Padova e direttrice dell’Istituto di ricerca pediatrica Fondazione Città della speranza anche per cercare di capire come interpretare l’attuale situazione del Veneto.

Intervista all'immunologa Antonella Viola sul ruolo di Rt come indicatore per l'andamento di un'epidemia. Servizio e montaggio di Barbara Paknazar

"R0 ce lo possiamo dimenticare - introduce la professoressa Antonella Viola - perché è quell’indice di contagiosità che si ha all’inizio di una pandemia, quando ancora non sono state messe in atto le misure per combatterla. Quindi è quel famoso indicatore, che si posizionava tra il 2 e il 3 e che avevamo considerato all’inizio e che adesso non ci interessa più molto perché nel momento in cui nei diversi Paesi vengono messe in atto delle procedure per bloccare un’infezione si passa a considerare il parametro Rt. Questo Rt ci dice che se è inferiore a 1 stiamo controllando la pandemia e l’infezione tenderà ad estinguersi, se invece è superiore a 1 la pandemia continuerà a crescere e a farlo rapidamente perché sappiamo che si tratta di crescite esponenziali e se il contagio aumenta può rapidamente dei livelli pericolosi". 

Rilevazioni che sono però importanti in momenti e contesti particolari, "vale a dire - chiarisce l'immunologa dell'università di Padova - quando abbiamo una certa diffusione del virus con un numero di contagi moderato o alto. Quando invece il numero è estremamente basso questo valore ha poco significato perché basta un aumento di positivi di dieci unità ed ecco che l’Rt schizza, ma questo non vuol dire che siamo in una situazione di pericolo. Oppure non ha senso valutarlo per periodi brevi: cioè l’Rt che cambia in un determinato giorno non ci dice come sta andando effettivamente l’infezione sul territorio. Quindi, quando valutiamo l’Rt, dobbiamo prima di tutto non considerare un territorio troppo piccolo ma un’area abbastanza estesa. Dobbiamo considerare un arco di tempo di almeno una o due settimane per vedere quale è l’andamento. E non dobbiamo spaventarci quando si registra un’impennata dovuta al fatto che è stato identificato un focolaio: per esempio il focolaio di Jesolo con 43 persone contagiate è ovvio che fa schizzare verso l’alto l’Rt del Veneto perché il numero complessivo di casi sul territorio è basso. Però dobbiamo monitorare questo valore per vedere cosa succede nel tempo perché naturalmente se l’Rt del Veneto si mantenesse superiore a 1 per un periodo lungo questo vorrebbe dire che effettivamente le cose non stanno andando bene. Questo numero - conclude la professoressa Viola - deve essere valutato facendo queste considerazioni: non ci deve spaventare una variazione rapida ma se nel tempo si mantiene alto dobbiamo cominciare a preoccuparci".

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