CULTURA

Saturno divoratore e la tragedia del vivere. Umberto Curi racconta “La morte del tempo”

La morte del tempo è il nuovo libro di Umberto Curi pubblicato da Il Mulino. Si tratta di un viaggio che va alla ricerca del tempo, della sua concettualizzazione filosofica fin dai tempi dell'antica Grecia e della sua rappresentazione artistica nelle opere di alcuni importanti pittori, primo fra tutti, Francisco Goya.

Il “protagonista” di questo breve saggio è il dio Saturno, o Kronos, secondo la mitologia greca. Egli è un dio terribile, crudele, che ha ucciso suo padre Urano e ha mangiato i suoi figli per cercare di non essere detronizzato. Allo stesso tempo, però, è anche una vittima. Vittima del suo stesso figlio, Zeus, che in certo senso ne ripercorre anche le orme. Kronos, quindi, è un parricida e figlicida, ma anche uno sprovveduto, uno sconfitto. La sua, scrive Curi, è una “saggezza ricurva”.
Questo temibile dio è rappresentato con attributi specifici nelle raffigurazioni rinascimentali e barocche e la sua immagine finisce gradualmente per confondersi con quella del tempo che si consuma e che consuma.

“È un processo storico e concettuale lungo e non rettilineo quello che porta gradualmente all'identificazione tra Kronos e il quasi identico termine greco chronos, usato per indicare una delle accezioni del tempo: quella del divenire, del tempo inteso come dimensione quantitativa della successione”, spiega il professor Curi a Il Bo Live.
“Poco a poco, quindi, si realizza una sovrapposizione tra queste due entità tale per cui il tempo in quanto chronos, che misura il divenire, viene rappresentato nelle immagini che raffigurano la divinità olimpica di Kronos.
Le conseguenze di questo apparentemente innocuo processo di identificazione linguistica sono particolarmente rilevanti. Infatti, la modalità tradizionale di rappresentazione del tempo chronos prevede l'immagine di un vecchio alato, calvo e sempre provvisto di alcuni attributi come la clessidra, il dragone e sopratutto la falce. E poiché si dice che il tempo chronos sia anche edax, cioè divoratore, poco alla volta questa immagine del tempo che divora e consuma viene riferita anche a quella divinità olimpica che porta un nome molto simile a quello di chronos.

È in questo modo che si compie un primo processo di identificazione tra Saturno e l'immagine del tempo, che verrà completato tra Medioevo e Rinascimento, quando con le stesse immagini, accompagnate dagli stessi simboli, viene raffigurato non il tempo chronos, e neanche l'immagine del dio, ma la morte. Anche la morte, quindi, inizia ad essere rappresentata con l'immagine di un vecchio alato calvo e rinsecchito, che tutto divora fino al punto di divorare anche sé stesso.
Si tratta, insomma, dell'evoluzione di un'immagine che innesca anche l'evoluzione di un concetto: quello del tempo, che viene sempre più associato alla morte”.

Lo scorrere inesorabile del tempo, che conduce al deterioramento e quindi alla morte di ogni cosa, continua finché alla fine non si arriva anche alla morte del tempo stesso. Che cos'è, allora, la morte del tempo?

“È il culmine di questo processo”, risponde il professor Curi. “Dopo che per secoli è prevalsa la rappresentazione del tempo come Kronos divoratore, che mangia e rompe ogni cosa che incontra, proprio come accade con il tempo che demolisce tutto ciò che trova sulla sua strada, poco alla volta questa immagine del tempo divoratore diventa anche un'immagine riflessiva.
Nel mio libro, ho preso in considerazione una straordinaria immagine: l'acquaforte di William Hogarth intitolata The Bathos, al centro della quale troviamo la figura di un vecchio rinsecchito e sdraiato che sta esalando l'ultimo respiro. È evidente, da tutto ciò che lo circonda, che il tempo ha fatto giustizia, con la sua furia devastatrice, di tutto ciò che era vivo.

Non vi è nessun dettaglio nell'acquaforte di Hogarth che non parli di morte. Tutti gli elementi che compaiono in questa immagine sono simboli di un'immane rovina. Possiamo individuare l'aspetto più innovativo di quest'opera nella figura del tempo reclinato, oramai abbandonato su se stesso, che tiene in mano una falce rotta. Ecco che il tempo stesso è diventato morente.
Questo è un punto di svolta, e in un certo senso anche di approdo, di quella tradizione iconografica che comincia con l'immagine originaria di Kronos e culmina alla fine del Settecento con la morte stessa del tempo”.

Torniamo allora a concentrarci proprio su questo dio olimpico. Nel libro La morte del tempo è dedicata un'attenzione particolare al Saturno che divora suo figlio di Francisco Goya, che ritroviamo anche sulla copertina.
Per commentare questo dipinto, il professor Curi riprende l'affermazione di Baudelarie, che l'ha definito “un incubo denso di misteri”.

Infatti, racconta Curi, “quando ci si accosta a questo dipinto senza la necessaria conoscenza dei dettagli storici che riguardano la sua composizione, si ignora che quasi tutto di questo dipinto ci è ignoto.
Tanto per cominciare, non sappiamo con sicurezza quale sia l'anno in cui è stato realizzato, in un arco di tempo che va dal 1820 al 1824. Inoltre, dato che Goya non ha apposto il titolo a questa come alle altre tredici Pinturas negras, non siamo sicuri che quella figura così sconvolgente, con un corpo giovane che vi esce dalla bocca, sia proprio la rappresentazione della divinità olimpica di Kronos.
Infine, non si può essere neanche certi che Francisco Goya sia l'autore di questo dipinto, né nelle altre Pinturas negras. In un documento dell'epoca che parla della Quinta del Sordo, la dimora di campagna nella quale Goya avrebbe abitato dal 1820 al 1824 e sulle cui pareti avrebbe realizzato le Pinturas, viene descritta una casa di un unico piano. Mentre invece queste 14 opere sono distribuite tra il pianto terra e il primo piano.
Ci troviamo perciò in presenza di un interrogativo davvero imbarazzante: se quel documento è fededegno, allora dovremmo dedurre che Goya non ha potuto dipingere le Pinturas del primo piano, poiché la sua casa era al piano terra. E inoltre, se non è l'autore dei dipinti del primo piano, per l'omogeneità dello stile e dei motivi tematici, non lo è neanche di quelle del piano terra. Ne conseguirebbe una conclusione devastante e cioè che Francisco Goya non è l'autore delle Pinturas negras”.

Nel libro, il professor Curi riporta i vari argomenti pro o contro questa ipotesi, evidenziando questo enorme interrogativo di fondo per quello che resta davvero un incubo denso di mistero. Ma in che modo questo inquietante dipinto trova posto nella nostra riflessione sul tempo?

Per Goya, Saturno è il dio cannibale, è il padre che divora il figlio, è il vecchio laido e consunto che si accanisce sulle carni candide di una vittima innocente, è insomma il tempo che tutto divora e consuma Umberto Curi, “La morte del tempo”, Il Mulino 2021

“Volendo condividere l'opinione maggioritaria, cioè che Goya abbia voluto raffigurare Saturno che mangia uno dei suoi figli, allora potremmo dire che egli ha portato all'estremo compimento quella intuizione che già abbiamo colto nell'acquaforte di Hogarth: un processo di consumazione che non riguarda solo tutto ciò in cui il tempo si è imbattuto, ma che ha assunto anche una forma riflessiva”, spiega il professor Curi. “Per questo, l'immagine dipinta da Goya è quella di un vecchio che disperatamente cerca di sopravvivere divorando il figlio giovane, cercando di impossessarsi della sua vita e di impadronirsi della sua giovinezza.
È un'immagine tragica che segna, in un certo senso, il compimento del percorso che ho delineato. Non sarà un caso che dopo la realizzazione di quest'opera siano diventate numericamente molto scarse le raffigurazioni iconografiche del tempo, quasi a voler assumere il quadro di Goya come la parola fine a una tradizione iconografica che è durata quasi tre millenni”.

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