SCIENZA E RICERCA

Antichi genomi smentiscono l’ecocidio dell’isola di Pasqua

Fin dalla sua scoperta da parte degli esploratori europei nel ’700, l’isola di Pasqua (che, in realtà, era stata scoperta e colonizzata per la prima volta circa 500 anni prima, da piccoli gruppi di esploratori provenienti dalla Polinesia) ha incuriosito il mondo occidentale per la sua collocazione remota, la sua storia misteriosa e la peculiarità della cultura delle popolazioni umane che, da quasi mille anni, abitano quel fazzoletto di terra nell’Oceano Pacifico.

È molto nota, in particolare, la teoria secondo cui i Rapanui (gli abitanti di Rapa Nui, il nome che i nativi attribuiscono all’isola) avrebbero messo in atto, intorno al XVII secolo, un “suicidio ecologico”: per sostentare una società economicamente e culturalmente ricca, avrebbero sfruttato le risorse naturali dell’isola ben oltre la capacità di rigenerazione degli ecosistemi locali. Questo avrebbe portato a un collasso ecologico e, di conseguenza, alla drastica riduzione della popolazione e al crollo della cultura che aveva realizzato i famosi moai, grandi statue di pietra antropomorfe.

Questa teoria, però, è stata oggetto, negli ultimi anni, di critiche sempre più numerose e circostanziate. Di recente, su questo giornale, abbiamo dato conto di un articolo scientifico, pubblicato sulla rivista Science Advances, in cui si analizza la capacità portante dell’isola, calcolata sulla base dell’estensione delle antiche aree coltivate, e si dimostra che la popolazione locale di Rapa Nui si è probabilmente mantenuta stabile nel tempo (tra le 2.000 e le 3.000 persone). Questi risultati hanno inflitto un duro colpo all’idea secondo cui, nel momento di maggior splendore della civiltà Rapanui, l’isola ospitasse fino a 17.000 individui e che i soli 3.000 abitanti censiti dagli Europei nel Settecento fossero i sopravvissuti del presunto ecocidio di un secolo prima.

Una nuova ricerca comparsa da poco sulla rivista scientifica Nature offre ulteriore supporto ai detrattori della teoria del suicidio ecologico, e lo fa attraverso un’analisi genetica condotta su abitanti dell’isola di Pasqua antichi e contemporanei.

Attraverso un’analisi dei genomi estratti dai resti di 15 individui prelevati sull’isola di Pasqua nella prima metà dell’Ottocento e conservati al Museo Nazionale di Storia Naturale di Parigi, il gruppo di ricercatori firmatari dell’articolo, composto da archeologi e genetisti europei e rapanui, ha potuto dare una risposta a due quesiti sulla storia del popolo dell’Isola di Pasqua rimasti finora aperti: se si sia effettivamente verificato l’ecocidio e il conseguente crollo demografico, come vuole la teoria del collasso; e se, dopo lo stanziamento sull’Isola di Pasqua, gli esploratori polinesiani siano rimasti isolati nel mezzo del Pacifico oppure abbiano continuato le loro esplorazioni marittime, incontrandosi con popolazioni native americane o con popolazioni europee.


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Contro la teoria dell’ecocidio

Attraverso una tecnica di analisi genetica che permette di ricostruire la dimensione della popolazione nel corso delle ultime 100 generazioni, gli studiosi hanno individuato i segni genetici di due “colli di bottiglia”, termine che, nel gergo evoluzionistico, indica un evento di drastica riduzione della variabilità genetica di una popolazione, solitamente associato a fenomeni migratori. La datazione dei due colli di bottiglia è eloquente: il primo sembra risalire circa al 1200, in corrispondenza con la prima colonizzazione dell’isola, mentre il secondo non risulta precedente al 1860, quando si aprì per i Rapanui un periodo di grave crisi causato non da una miope gestione delle risorse, ma da minacce esterne. Questi dati mostrano che, dopo l’iniziale riduzione della variabilità genetica dovuta alla colonizzazione intorno al 1200 d.C., nel genoma dei nativi dell’isola di Pasqua non si riscontra alcuna evidenza biologica di una rapida crescita e un’altrettanto rapida riduzione demografica intorno al 1600. L’unico crollo demografico che i dati genetici confermano viene datato dopo gli anni Sessanta del 1800, quando gli schiavisti peruviani deportarono un terzo della popolazione e, poco dopo, un’epidemia di vaiolo decimò – letteralmente – la popolazione dell’isola, lasciando solo poco più di cento sopravvissuti.

Incontri e mescolanze con i nativi Americani

Un’altra risposta interessante che emerge dall’analisi genetica riguarda l’ipotizzato isolamento degli abitanti di Rapa Nui dopo la colonizzazione dell’isola. Anche questa ipotesi sembra essere smentita: nei 15 genomi di antichi Rapanui sequenziati, così come nei genomi degli attuali abitanti dell’isola, sono presenti chiare tracce di un antico mescolamento genetico non solo con altre popolazioni polinesiane, ma anche con popolazioni sudamericane. I risultati sono molto chiari: come scrivono gli studiosi nell’articolo scientifico, «le analisi hanno assegnato un’ampia proporzione di ascendenza polinesiana (in media il 90%) agli antichi Rapanui. Inoltre, tutti i genomi di Rapanui antichi e contemporanei portano traccia di un’ascendenza nativo-americana (10% gli antichi, 8% i contemporanei). Al contrario, un’ascendenza europea è stata identificata solo nei Rapanui moderni, e non in quelli antichi».

La presenza di un’ascendenza nativo-americana piuttosto alta nel patrimonio genetico dei Rapanui, e molto più alta rispetto a quanto riscontrato in altre popolazioni polinesiane, suggerisce sia che, con ogni probabilità, il contatto con l’America e il conseguente flusso genico sarebbe avvenuto dopo la colonizzazione dell’isola, sia che potrebbero esservi stati molteplici scambi – e dunque, molteplici viaggi transoceanici – con il continente americano e le sue popolazioni locali ben prima della “scoperta” dell’isola da parte degli europei e perfino prima della “scoperta” dell’America da parte di Cristoforo Colombo.

D’altra parte, gli autori – che, nel realizzare questa ricerca, hanno strettamente collaborato con l’amministrazione locale e la comunità Rapanui – spiegano che «sia i dati archeologici sia la storia locale tramandata oralmente attestano che i popoli polinesiani mantennero la tecnologia e le conoscenze necessarie per imbarcarsi in viaggi di andata e ritorno verso le Americhe prima che gli europei raggiungessero il Sud America».

Ulteriori analisi genetiche su altre popolazioni polinesiane potranno contribuire ad ampliare le conoscenze sulle dinamiche di contatti e mescolamenti avvenuti in passato tra gli umani di questa parte del mondo.

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