SOCIETÀ

Scorie a riposo, una serie su come gestiamo i rifiuti nucleari

Dovremmo completare il processo di selezione della località definitiva nella quale dovrà sorgere il deposito nazionale per la gestione delle scorie nucleari entro il 2023. Per arrivare a completare la costruzione del deposito entro il 2029. Il tempo è ormai davvero pochissimo, e se, come dice Antonio Massariolo in un articolo precedentemente pubblicato qui su Il Bo Live, la scelta definitiva deve avvenire dopo un ulteriore passaggio che prevede un processo partecipativo con la cittadinanza delle località individuate, di tempo pare non ce ne sia praticamente più.

Aggiungiamo, per contesto, che se la scelta deve essere fatta, come indicato dal Ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani alla Camera durante un question time del marzo scorso, verso la fine del 2023, questo ci porta al fatto che il periodo più delicato del percorso, quello che va dalla pubblicazione della mappa definitiva delle aree idonee, ancora non resa pubblica, alla scelta definitiva dell’area, della località che ospiterà il deposito, si sovrappone anche al periodo dove probabilmente andremo a elezioni, nella primavera del prossimo anno, e dunque alla formazione di un nuovo governo.

Un'inchiesta cross border

Ma, nonostante i ritardi, stiamo forse correndo troppo. Facciamo un passo indietro. Il nostro giornale ha iniziato a lavorare sul tema delle scorie nucleare e della loro gestione, anche grazie a un finanziamento arrivato da una grant accordata a chi scrive da Journalism Fund, una organizzazione indipendente no profit, con sede a Bruxelles, che finanzia il lavoro giornalistico di inchiesta per promuovere la democrazia e servire il pubblico interesse. La grant, finalizzata a sostenere un'inchiesta cross border, e dunque all’interno di una collaborazione internazionale, è stata assegnata a un progetto presentato in collaborazione con la collega Vedrana Simicevic, giornalista scientifica croata, che ci ha proposto di lavorare insieme per mettere a confronto i processi di selezione dei depositi nucleari nei nostri due paesi, Italia e Croazia. In particolare, il progetto “Nuclear waste on the shaky ground” partiva dalla necessità di capire se la selezione di un deposito nazionale, come previsto dalle direttive europee e nel caso dell’Italia da una legge del 2010, stesse avvenendo in rispetto soprattutto delle valutazioni più recenti a aggiornate di vulnerabilità sismica. Ma poi, entrando nel tema, ci siamo accorti che la storia da raccontare è molto più articolata, complessa, ricca di percorsi che si possono sviluppare. 

A scanso di equivoci, alla base del processo di selezione della località prescelta, per l’Italia fa riferimento un rapporto ISPRA del 2014, in cui vengono indicati una serie di criteri molto stringenti di primo e secondo livello per l’esclusione di tutte le zone non adatte. In un territorio come quello italiano, in gran parte collinare e montano, bagnato dal mare lungo quasi tutto il perimetro, con alta vulnerabilità sismica nella gran parte delle regioni, non è facile individuare un luogo con il grado di sicurezza accettabile. Mettiamoci anche altre considerazioni: territori ricchi di valore archeologico, luoghi turistici, zone ad alta vocazione agricola pregiata e via dicendo. La selezione è tutt’altro che semplice. Ma i criteri sono stati selezionati sulla base di una mole di dati e di letteratura scientifica, non sono stati estratti a caso e perlomeno su questo punto possiamo dire che uno sforzo di grande accuratezza è stato fatto

Quattro linee di ricerca

Però. Poi, quando parliamo di questioni così complesse e che si spalmano su tempi così lunghi, i però ci sono sempre. Allora, iniziando a ragionare sul lavoro da fare, ci siamo accorti che le strade dell’inchiesta si diramavano e prendevano vita propria. Per questo abbiamo deciso di aprire una nuova serie, che sarà lunga e ci accompagnerà per un po’, Scorie a riposo. E di farlo seguendo per ora almeno quattro linee di ricerca:

  • la linea socio-politica: il processo di selezione del deposito nazionale è in corso, ed è anzi entrato nei mesi scorsi nella sua fase più difficile e più interessante. Abbiamo ora una carta nazionale delle aree idonee (CNAI), nelle mani del Ministero della transizione ecologica dal 15 marzo di quest’anno, che dovrebbe essere resa pubblica quanto prima. Per ora sul sito del deposito nazionale, che contiene tutti i vari documenti e atti del processo in corso, si trova solo la mappa delle CNAPI, le aree potenzialmente idonee, e quel potenzialmente fa la differenza. Dalla CNAI, che di aree ne ha decine (non sappiamo se tutte le 67 CNAPI siano confermate o meno) all’una, a quella che sarà sede fisica del deposito e del parco tecnologico che dovrebbe accompagnarlo, ci sono altri passaggi, un processo partecipativo con le popolazioni coinvolte, una serie di consultazioni con gli enti locali. E poi, naturalmente, l’assegnazione dei lavori a chi dovrà materialmente costruire il deposito. Insomma, tutta la parte più interessante e concreta inizia ora. 
  • la linea della gestione attuale: ci sono in Italia oltre 20 aziende, private, che gestiscono attualmente gran parte dei rifiuti a bassa e media radioattività risultanti dai processi di ricerca, da quelli industriali e nell'utilizzo per diverse finalità, ad esempio nel campo biomedicale. Non dimentichiamo, ad esempio, che esiste una medicina nucleare e che sostanze radioattive sono usate sia a scopo diagnostico che terapeutico. Chi gestisce questi rifiuti oggi? Dove sono e come sono trattati? Già a un primo sguardo capiamo che non si tratta sempre di aziende ultraspecializzate e dunque vedere chi sono questi soggetti e dove e come sono tenuti i rifiuti radioattivi al momento ci sembra molto importante.
  • la linea della valutazione del rischio ambientale: l’abbiamo detto, ISPRA ha pubblicato un rapporto che contiene diversi criteri nel 2014. Intanto, però, dopo il terremoto dell’Emilia del 2012 è stata avviata una mappatura della vulnerabilità sismica con microzonazione. Un sistema molto più raffinato, accurato, di analisi del rischio. E non sappiamo se i risultati di questo lavoro, ancora in corso per alcuni territori del nostro paese, abbia un effetto sulla valutazione di idoneità di una zona ad accogliere il deposito. Ma, soprattutto, nel frattempo abbiamo iniziato a valutare sempre meglio anche altri tipi di rischio, come quello idro-geologico e quelli associati al cambiamento climatico in atto. La frequenza degli eventi estremi, tra cui le inondazioni e i cosiddetti uragani mediterranei, è in aumento. Come entrano questi nuovi dati scientifici nella valutazione dell’idoneità? La scienza non è rimasta ferma al 2014, e data la lunga resistenza che questo deposito deve avere è utile capire come quello che nel frattempo abbiamo imparato finirà con l’essere incorporato o meno nella decisione finale, prima di avviare la costruzione.
  • la linea della comunicazione: questa è forse la più difficile. Perché è anche la più sfuggente. Abbiamo due diversi livelli di indagine, qui. Il primo è quanto il processo in corso riesca davvero ad incorporare quei criteri di partecipazione e inclusività tanto auspicati a livello europeo quando decisioni così complicate e potenzialmente controverse devono essere prese sulla gestione di un territorio. I cittadini saranno davvero coinvolti dall’inizio? E avranno modo di essere non solo informati correttamente ma di poter esprimere fino in fondo il proprio punto di vista, in un processo che deve essere non solo apparentemente aperto ma realmente e onestamente deliberativo? E poi, anche così, che strategie si stanno prendendo in considerazione per formare, tramandare, consegnare alle generazioni future la gestione di un deposito che è destinato a durare ben oltre la generazione che l’ha costruito? Quali precauzioni, quali ragionamenti si fanno per mantenere alta l’attenzione sul bisogno di una cura che si deve protrarre per secoli? Come si fa a proiettare e prevedere quale sarà la gestione di un territorio, oggi parte di una regione italiana, tra 300 anni? Che conformazione, che struttura avrà il nostro paese in 300 anni, considerato che l’Italia è un unico paese da poco più di 160 anni, e la nostra repubblica ne ha poco più di 70? Questo vale anche per altri paesi, naturalmente. La Germania, che ha fatto una scelta di unificazione dopo il 1989; la Croazia coinvolta nelle guerre balcaniche solo 30 anni fa e che ora punta a costruire un deposito praticamente al confine con la Bosnia… 

Come vediamo, i temi sono molti. E a noi non resta dunque che iniziare ad affrontarli.

Seguiteci e se avete informazioni che ritenete utili per questo nostro lavoro scriveteci alla mail di redazione, ilbolive@unipd.it

La serie Scorie a riposo è sviluppata in parte con il supporto di Journalismfund.eu

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