CULTURA

Da sempre l’esilio con o senza diritto d’asilo fa purtroppo scrivere bene

Il grande scrittore Bertold Brecht (1898-1956) visse sulla propria pelle l’esperienza dell’esilio, per quindici anni in vari paesi europei e negli Stati Uniti (da dove peraltro se ne dovette andare dopo essere stato interrogato dalla Commissione per le attività antiamericane in incipiente acuminato maccartismo), anche se aveva iniziato a parlare del tema in generale e dell’estraniazione nella propria patria già prima di dover fuggire dalla Germania nel 1933. Brecht, insieme con la moglie, il figlio Stefan e alcuni amici, abbandonò Berlino d’improvviso. Capendo d’essere in pericolo immediato, pur ricoverato in ospedale, senza neanche passare da casa, con poche valigie e tanti rimpianti, fuggirono prima a Praga e, successivamente, a ViennaZurigoParigi, infine da un’amica a Skovsbostrand. In Danimarca nel 1937, sull’isola di Fyn nei pressi di Svendborg e Vindeby (Sund è il locale canale fra terraferma e isola), scrisse i seguenti versi sotto il significativo titolo Della qualifica di emigrante, pensieri molto attuali che confermano la necessità di distinguere sempre fra i migranti, quelli con qualche grado di libertà e quelli forzati dall’esterno, persecuzioni guerre o sconvolgimenti climatici che siano a determinare la fuga e a imporre di varcare i confini istituzionali:

"Sempre mi è parso erroneo il nome che ci hanno dato: emigranti.

Questo significa: espatriati. Ma noi

non siamo espatriati volontariamente

altro paese scegliendo. E nemmeno siamo espatriati

in un paese, per restarvi, possibilmente per sempre.

Siamo fuggiti, invece. Espulsi noi siamo, banditi.

E non casa, ma esilio dev’essere il paese che ci ha accolti.

Così, inquieti, prendiamo stanza, se possibile presso ai confini,

aspettando il giorno del ritorno, qualsiasi minimo cambiamento

oltre il confine spiando, ogni nuovo venuto

febbrilmente interrogando, nulla dimenticando e a nulla rinunciando

e neanche perdonando nulla di quel che è successo, nulla perdonando.

Ah, il silenzio del Sund non ci inganna! Noi udiamo le grida,

fin qui, dai loro campi di concentramento. Noi stessi siamo

quasi come voci dei misfatti, che varchino

i confini. Ognuno di noi

che va attraverso la folla con le sue scarpe consunte

testimonia della vergogna che ora macchia il nostro paese.

Ma nessuno di noi

rimarrà qui. L’ultima parola

non è stata ancora detta."

 

L’esilio è imposto dalle circostanze, il diritto d’asilo è incerto ed eventuale, comunque un’infausta sconfitta

Nello stesso anno Brecht approfondì liricamente la voglia e il diritto di non restare a lungo banditi dal proprio paese. L’esilio è imposto dalle circostanze, il diritto d’asilo è incerto ed eventuale, comunque un’infausta sconfitta. Come è noto, Brecht tornò effettivamente in Germania solo nel 1948 (da Zurigo). Insieme alla moglie Helene Weigel andarono a vivere in uno dei quattro settori di occupazione dei vincitori, quello sovietico a Berlino Est, prima della dichiarazione di capitale della Repubblica Democratica Tedesca (1949) e molto prima della costruzione del muro (1961); lì fondò una delle più importanti compagnie teatrali europee, il Berliner Ensemble, e soprattutto si dedicò all’attività di regista. Ecco alcuni Pensieri sulla durata dell’esilio (sempre del 1937):

Non piantar chiodi nel muro,

butta la giacca sulla sedia.

Perché prendersela per quattro giorni?

Domani sarai ritornato

Una grammatica straniera, perché sfogliarla?

La notizia che ti richiamerà

È scritta in una lingua che conosci.

Come la calcina dell’assito si sfoglia

(lasciala, non far nulla!)

Marcirà lo steccato di violenza

Che hanno innalzato alla frontiera

Contro la giustizia.

Entrambe le liriche furono pubblicate nella raccolta Poesie e canzoni del 1959, dopo il ritorno e la morte di Brecht; in Italia nel 1967 con traduzione di Ruth Leiser e Franco Fortini. Le cita Tatti, docente universitaria di Letteratura italiana alla Sapienza di Roma, che da decenni si occupa della presenza del tema dell’esilio nella letteratura antica e moderna, italiana ed europea, e ha colto l’occasione della casalinghitudine forzata durante la pandemia per sistematizzare in modo più organico le proprie ricerche in un bel volume: Tatti Maria Silvia, Esuli: scrittori e scrittrici dall’antichità a oggi, Carocci Roma 2021, pag. 182 euro 19. L’autrice sottolinea che Brecht dedica all’esilio moltissimi componimenti in versi e prosa, già prima di fuggire, per esempio con liriche scritte tra il 1926 e il 1927 e in parte pubblicate a Berlino. Il punto sostanziale è il legame con la terra dove si è nati, che può cominciare a strapparsi quando ancora vi si risiede, e diventa integralmente straniante quando si rischia di perdere la memoria (collocati altrove) e di subire l’oblio in patria (nome impronunciabile in pubblico, opere messe al rogo), annullandosi così non solo la vita futura, bensì anche quella passata.

Tatti osserva che l’esilio è un antico tema storico connesso a innumerevoli geografie (ecosistemi) e scritture (lingue). Utilizzato, già nelle civiltà del passato, come strumento punitivo, inflitto a chi era colpevole di crimini politici o di omicidi, per lo più in alternativa alla condanna a morte, ricorre fin dalla cultura greca e dalle sacre scritture. Il termine rinvia all’esclusione da un territorio (in latino ex-solum) e ha implicito in sé il motivo dell’espulsione e della partenza; le lingue occidentali hanno coniato sinonimi che cercano di rappresentare la molteplicità delle condizioni di allontanamento dalla patria; nella modernità può diventare anche una scelta personale volta a evitare costrizioni, una reazione individuale di protesta contro i condizionamenti sociali, culturali, di genere del luogo di appartenenza. Se ne scrive, inevitabilmente, spinti dalla necessità di lasciare testimonianza di un evento esistenziale cruciale, talora proprio per elaborare la tragedia, sempre suscitando universali interesse e curiosità nei lettori (qui per esempio ne abbiamo già parlato).

L’esilio è un tema autobiografico di enormi potenzialità, esplora generi diversi e diventa, fin dalla Bibbia e dalle letterature antiche, un elemento narrativo di implicazioni allegoriche: i nessi esilio - morte ed esilio - rinascita rinviano a dimensioni emotive e culturali che travalicano le esperienze dei singoli e assumono un rilievo emblematico. Il linguaggio non può che dar voce a ogni condizione di disagio e di esclusione. La catena di citazioni e rinvii dell’interessante volume è straordinariamente vitale, seppur discontinua: una prima genealogia dell’esilio è stabilita alla fine del I secolo d.C. da Plutarco, rinnovata da autori successivi con un passaggio cruciale e formidabile in Dante, ricorrendo infine di continuo negli ultimi due secoli (pure nello stesso Brecht), anche e sempre più con una marcata specificità femminile.

Qualche considerazione assestante avrebbe meritato l’esilio nelle isole, la storia specifica della fuga e dell’isolamento di individui esuli in luoghi ed ecosistemi isolati per definizione e geografia. Anch’esso è tema antichissimo e, spesso, provoca le dinamiche sociali ed emotive dell’espatrio anche se si svolge all’interno dei confini patri; una sorta di spoliazione della con-cittadinanza; non solo una detenzione ma anche l’isolamento in un contesto separato, circondato da acque, praticamente non contiguo; detenuti o confinati in un luogo dove il confine è ovunque il mare (o il lago). Vi è tutta una letteratura antica, moderna e contemporanea di esuli nelle isole carcere, soprattutto di prigionieri e confinati politici, come nell’ultimo secolo Gramsci (a Ustica) e gli antifascisti (in decine di isole italiane diverse), come Mandela a Robben Island, come Öcalan a Imrali, in piccola parte citata anche nel volume di Tatti.

L’autrice ricorda comunque, opportunamente, vari esempi letterari elaborati da esuli su isole: la tragedia Filottete di Sofocle, dove il protagonista è abbandonato dai compagni sull’isola deserta di Lemno per una piaga causatagli dal morso di un serpente; la lettera Consolatio rivolta da Seneca alla madre Elvia mentre si trova in Corsica in esilio, imposto dall’imperatore Claudio, per contrasti politici probabilmente aggravati dai rapporti del filosofo con Giulia Livilla, sorella di Caligola, scritta dieci mesi dopo essere arrivato nell’isola (rimane lì poi complessivamente 8 anni, dal 41 al 49 d.C.), nell’intento di riuscire a rassicurare il potere imperiale relativamente al suo distacco dalla politica; l’Apocalisse di San Giovanni, che viene relegato sull’isola di Patmos, punito per la perseveranza nella predicazione cristiana; il sonetto Né più mai toccherò le sacre sponde di Foscolo, dedicato all’isola natale di Zacinto, un poeta moderno che, prima ancora di vivere l’esilio come esperienza biografica, la declina come tema letterario, come condizione esistenziale e culturale che trova poi una risonanza e un radicamento nel contesto storico e in una condizione politica specifica che coincide con la lotta per l’indipendenza e per la patria; infine le Contemplations del grande poeta francese Victor Hugo, stese nel corso dei lunghi anni di esilio trascorsi nell’isola di Jersey e in Belgio, rivendicando la facoltà di dire la verità come risarcimento che il destino avverso conferisce all’individuo esule.

Tatti in parte sceglie un percorso cronologico, in parte individua connessioni oltre le epoche storiche. Il primo capitolo ricostruisce il linguaggio narrativo dell’esilio dalla Bibbia ad alcuni classici come Sofocle, Cicerone, Virgilio, Ovidio, Seneca e Plutarco. Il secondo capitolo è dedicato al paradigmatico Dante, al deposito memoriale e alla polifonia della Commedia. Il terzo capitolo si concentra sul nostro paese e affronta la cultura dell’esilio tra Rinascimento e Risorgimento. Il quarto capitolo è trasversale e individua assi permanenti: tre termini cruciali di un vocabolario minimo (partenza, viaggio, confine); i generi letterari ricorrenti (lettere, diari, memorie, biografie); gli elementi permanenti dello stile sia nella lingua che nella retorica; l’eterna questione del ritorno (impossibile o eventuale che sia). Il quinto capitolo è dedicato alle scrittrici esuli, non solo italiane, non solo recenti. Il sesto e ultimo capitolo aggiorna la trattazione al Novecento e all’inizio del terzo millennio. Ricca la bibliografia finale, utile l’elenco dei nomi propri.

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