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Sfiducia nei vaccini: le trappole di Dr. Google

Quando arriva il momento di sottoporre i propri figli alla vaccinazione, i genitori vogliono saperne di più. Non basta leggere che i vaccini sono una delle più importanti scoperte dell’epoca moderna e che sono una pratica efficace, sicura e utile. Si vuole andare a fondo. Un tempo ci si confrontava con gli altri. Oggi, complice un maggior grado di istruzione e le possibilità offerte dalle nuove tecnologie, ci si mette davanti al computer (o allo smartphone), si inserisce una termine nel motore di ricerca e si schiaccia invio. Certo, saper discernere tra i moltissimi risultati che “Dr. Google” mette a disposizione non è così semplice: recenti studi dimostrano addirittura che più i genitori cercano informazioni online, meno vaccinano i propri figli. Sono questi i risultati a cui è giunto un gruppo di ricercatori composto da Caterina Suitner del dipartimento di Psicologia dello sviluppo e della socializzazione dell’università di Padova, Bruno Gabriel Salvador Casara sempre dell’università di Padova e Maria Luisa Bettinsoli della New York University Abu Dhabi, pubblicati sul Journal of Experimental Psychology: Applied con il titolo Viral Suspicions: Vaccine Hesitancy in the Web 2.0.

“Abbiamo messo in relazione le coperture vaccinali tra il 2004 e il 2015 in Italia, regione per regione, e l’attività di ricerca su Google – spiega Caterina Suitner –. Ebbene, se inizialmente si nota un trend positivo per cui più la popolazione cerca informazioni in rete, maggiori sono le coperture vaccinali, la tendenza successivamente si inverte e diventa negativa: più le persone fanno ricerche online, minori sono le copertura vaccinali”. Perché questo accade?

Riprese e montaggio di Elisa Speronello

I ricercatori hanno provato a dare delle risposte a questo fenomeno. Innanzitutto, va considerato che la rete propone diverse prospettive: da un lato informazioni con un solido fondamento scientifico, dall’altro opinioni del tutto personali di utenti non esperti della materia. Questo fa cadere i naviganti nella trappola della “errata par condicio”, secondo cui l’opinione di una persona qualsiasi viene di fatto equiparata all’evidenza di dati scientifici. E questo, hanno dimostrato i ricercatori, riduce la fiducia nei vaccini. Più ancora che se venisse prospettata solo la linea antivaccinista.     

In secondo luogo, il padre o la madre che cercano informazioni online non sono passivi, ma proiettano eventuali preoccupazioni nella stringa di ricerca. Qui probabilmente, se nutrono qualche preoccupazione, digitano “vaccini”, “rischi”, “autismo”, “effetti collaterali”, indirizzando di fatto i risultati. E questo atteggiamento (noto come “bias di conferma”) tende a polarizzare e autoalimentare l’opinione iniziale dei genitori.   

Infine, non va tralasciata l’influenza esercitata sugli utenti del web dai commenti online che possono andare a screditare contenuti scientificamente fondati, influenzando l’opinione di chi legge. Ne è prova uno studio condotto sul papilloma virus. A un gruppo di donne non vaccinate il gruppo di ricerca ha fornito un articolo scientifico molto puntuale sull’argomento, a un altro gruppo è stato dato lo stesso articolo seguito però da commenti negativi. Ebbene, nel secondo caso le donne si sono dimostrate meno propense alla vaccinazione. “Google – conclude Caterina Suitner – è una macchina molto potente, ma come tutte le macchine potenti vanno guidate con cautela”.

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