CULTURA

Siamo tutti un po' creduloni: Massimo Polidoro ci spiega perché

Per alcune persone i pranzi di famiglia sono un incubo: tra zii complottisti, cugini negazionisti del Covid, zie che grazie alla lettura della mano ti sveleranno perché alla tua veneranda età non hai ancora messo la testa a posto trovandoti un partner, genitori che "sì, belli gli effetti speciali, ma sulla Luna in realtà non ci siamo mica andati…", le lasagne potrebbero magicamente assumere un sapore peggiore ("sarà colpa della farina di grillo" suggerirà la cugina). Del resto in questi casi ci si può occasionalmente affidare alla massima evangelica e concludere: "Chi è senza peccato scagli la prima pietra". Perché, volendo essere sinceri, chi di noi può dire di non aver creduto nemmeno una volta a qualcosa di irrazionale? Volendo essere ottimisti, pochi possono vantare questo primato, e non è detto che una fantasiosa credenza non li colpisca in futuro per qualche strano giro del destino. Per metterci in guardia, ma soprattutto per spiegarci per quali motivi a volte crediamo alle cose più assurde e per fornirci degli spunti per risolvere il problema, Massimo Polidoro ha scritto il suo nuovo libro, La scienza dell'incredibile edito da Feltrinelli con la prefazione di Telmo Pievani.

Si potrebbe pensare che le persone impegnate in qualche ramo della scienza siano immuni alla tendenza di affidarsi all'irrazionale, ma così non è. E non serve nemmeno scomodare quel premio Nobel convinto che il Covid fosse stato creato in laboratorio (e diventato in breve un eroe per tutti quelli che diffondevano ipotesi di complotto mai verificate in nome del principio di autorità), perché abbiamo altri illustri esempi, come Marie Curie ma anche Kary Mullis, premio Nobel per la chimica convinto di aver incontrato un procione alieno luminescente, che educatamente gli si era rivolto così: "Buonasera, professor Mullis". E senza andare sul caso singolo, c'è stato un tempo in cui c'era un consenso scientifico ante litteram sul fatto che alcuni animali crescessero sugli alberi. Proprio così: Polidoro fa l'esempio degli agnelli e delle oche. Il secondo è molto interessante, perché si basa su una serie di coincidenze che, per le conoscenze dell'epoca, rendeva questa falsa credenza perfettamente logica. Immaginate per un attimo di non sapere nulla sulle migrazioni animali, e immaginate di trovare, attaccati ai tronchi e ai rami degli alberi che si trovano vicino all'acqua, delle piccole sacche pendule, di colore bianco e nero, la cui forma ricorda in parte delle piume.

Entenmuscheol

Michel Estermann, CC BY-SA 3.0, attraverso Wikimedia Commons

Caso vuole che di recente abbiate visto anche un'oca facciabianca, che come suggerisce il nome ha il muso bianco e le penne fra il nero e il marrone.

Non avete mai visto nidi e uova di queste oche, che sembrano nascere dal nulla. Siccome sapete perfettamente che questo tipo di animale non nasce dal nulla (per anni, in compenso, penserete che gli scarafaggi nascano da polvere e sporco), la conclusione ovvia è che, quando il frutto di questi alberi marini arriva a maturazione si trasforma in un'oca. Certo, ora sappiamo che l'oca facciabianca per riprodursi migra verso le regioni artiche, e che quei frutti in realtà sono Lepas, cioè dei cirripedi, che vivono vicino ai fiumi. Ma all'epoca non si sapeva nulla delle migrazioni, quindi una credenza come questa, che oggi ci pare assurda, era assolutamente ragionevole.

La brutta notizia è che non è solo la mancanza di informazioni che può renderci ignoranti agli occhi dei posteri o del nipotino saccente al pranzo di Pasqua. Perché purtroppo il nostro cervello è in qualche modo programmato per credere a quello che ci viene detto. Proprio così: forse pensiamo di essere persone diffidenti (sicuramente lo pensa chi vede complotti dappertutto), eppure spesso non è così, per vari motivi. Per prima cosa è più economico a livello di energia dare per buona un'informazione piuttosto che verificarla, si fa meno fatica. Inoltre entra in gioco quello che Cialdini aveva definito il principio della riprova sociale, che può spiegare anche il suicidio di massa di Jonestown. Perché, infatti, più di 900 persone si dovrebbero suicidare, quando un leader carismatico gli dice di farlo? Certo, quando parliamo di sette siamo di fronte a livelli di manipolazione estremi, ma l'istinto che porta al desiderio di vivere non dovrebbe essere facilmente sopprimibile, non per così tante persone, almeno.

Se però queste persone vivevano in America e si sono trovate catapultate in Guyana, in perfetto isolamento, senza conoscere la lingua né altri abitanti non legati al culto del leader, il loro mondo e i loro riferimenti etici non sono più quelli degli altri esseri umani. Queste persone si guardano intorno, e vedono che molti dei loro compagni stanno bevendo il veleno distribuito da altri, con una serenità a dir poco invidiabile, se non portasse alla morte. L'atmosfera ricorda quella di un grottesco banchetto: attorno ai convenuti non ci sono persone ansiose, solo qualcuno che si guarda intorno un po' spaesato per capire quale dovrebbe essere il comportamento più adatto. In pochissimi mostrano paura, tentano di scappare e vengono uccisi: è la riprova sociale che sta agendo, perché quando non sappiamo cosa fare ci viene naturale prendere esempio dagli altri: se molte persone fanno la stessa cosa sarà quella giusta, no?

Ovviamente no. Quante volte i nostri genitori o la figura parentale di riferimento ci ha apostrofati dicendoci: "Ma se il tuo amico si butta da un ponte che fai, gli vai dietro?"? Naturalmente hanno ragione, ma forse non sanno che si stanno mettendo in competizione con un meccanismo che ha reso possibile l'esistenza dei nostri antenati. Chi non studia l'evoluzione, pensa che la selezione naturale sia più o meno la "legge del più forte". In realtà chi riesce a trasmettere i propri geni non è necessariamente il più forte, ma quello che si adatta meglio all'ambiente  alle circostanze. Nello specifico, si è rivelata molto più importante la capacità di andare d'accordo con gli altri.

Nel libro Polidoro spiega tutti i vantaggi che hanno avuto i nostri antenati dall'organizzazione della società in gruppi, cosa significasse l'ostracismo di una persona (spesso la morte, e quindi l'impossibilità di trasmettere il proprio patrimonio genetico di maschio alpha) e del perché il nostro cervello continua a suggerirci che ciò che gli altri pensano di noi sia fondamentale. Dopo averlo letto, ci stupiamo un po' meno di ciò che è accaduto a Jonestown (anche se per fortuna molto più spesso ci si limita a non esprimere la propria opinione per non inimicarsi gli altri componenti del gruppo). Ma ci sono molti altri motivi per cui crediamo a cose improbabili, e nel libro sono tutte analizzate con un linguaggio semplice e diretto, e vengono suggerite anche possibili soluzioni, sia per non rimanere vittime a nostra vota di queste credenze, sia per aiutare le persone che ci stanno a cuore ad uscire dalla cosiddetta tana del Bianconiglio. "La scienza dell'incredibile" è un viaggio attraverso le ragioni che hanno dato vita al nostro modo di pensare e soprattutto di credere, che alla fine porterà alla conclusione che sì, può capitare a tutti di avere pensieri irrazionali e che

quella persona di cui stiamo parlando, a un compleanno o a una festa di Natale, potreste essere voi, potrei essere io Massimo Polidoro

Ma come, si dirà, persino Polidoro ha avuto le sue credenze irrazionali? Ebbene sì, ma non facciamo spoiler!

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012