SOCIETÀ

Ghana, le sfide scaccia crisi economica e sociale per il nuovo presidente

È ancora una volta l’economia a dominare le campagne elettorali, a dettare i ritmi della politica, a decretare vincitori e vinti. Il Ghana, una delle democrazie più solide in Africa, che può tra l’altro vantare un sistema giudiziario indipendente e una eccellente libertà di stampa (è stabilmente sul podio delle nazioni più virtuose del continente africano, mentre Reporters sans frontières la colloca al 50° posto su 180 nella sua classifica globale 2024), ha deciso di voltare nuovamente pagina e di affidare la presidenza della Repubblica al progressista John Dramani Mahama, 66 anni, leader del National Democratic Congress (NDC), che già aveva ricoperto la carica dal 2012 al 2016. Il partito che per 8 anni era rimasto al potere, il liberal conservatore New Patriotic Party (NPP), ha pagato alle urne un paio di passaggi cruciali che non è riuscito a gestire al meglio. A partire dalla profonda crisi del debito che ha spinto la nazione in default nel 2022, costringendola a negoziare con il Fondo Monetario Internazionale un pacchetto di aiuti triennale per tre miliardi di dollari (la terza trance da 360 milioni di dollari è stata erogata appena prima delle elezioni, segno che gli indicatori sono stati giudicati positivi) e il conseguente innalzamento dell’inflazione, arrivata a toccare il record del 54% su base annua proprio nel 2022, all’apice della crisi economica. Oggi va meglio, siamo attorno al 23%, ma comunque la popolazione, anche a causa della pandemia e della guerra in Ucraina, ha dovuto affrontare un forte aumento del costo della vita, il che si è tradotto in maggiore, e a volte nuova, povertà. Tuttavia, a monte, ci sono anche le conseguenze provocate da una delle prime azioni del passato governo che nell’agosto 2017, con il proposito di “ripulire dall’instabilità” il sistema bancario, ha determinato la chiusura di centinaia di istituzioni finanziarie collegate alla Bank of Ghana ritenute, all’epoca, “non redditizie”. Due anni più tardi l’ong iWatch Africa pubblicava un report che certificava, come “costo vivo” dell’operazione, la perdita secca di oltre seimila posti di lavoro: «L’operazione di pulizia - si legge nella sintesi del documento - ha portato alla revoca delle licenze di 9 banche universali, 347 società di microfinanza, 39 società di microcredito, 15 società di risparmio e prestiti, 8 società finanziarie e 2 istituzioni non bancarie, con un costo per i contribuenti in Ghana di oltre 20 miliardi di Cedi» (la valuta ghanese, pari a circa 1,3 miliardi di euro). «L’approccio del governo, anche se fondato e propositivo, mancava delle sfumature necessarie per prevenire disordini diffusi», scriveva pochi mesi fa CitiNewsroom, il principale sito web di notizie del Ghana. «Molte delle chiusure e dei consolidamenti sono stati condotti in modo frettoloso e senza criteri trasparenti, portando a percepire interferenze politiche e prese di mira».

Le “galamsey” e il disastro ambientale

Il neoeletto presidente Mahama, che per la prima volta nella storia del paese potrà contare su una vicepresidente donna, Jane Naana Opoku Agyemang (ex ministra dell’istruzione, insegnante e attivista per i diritti umani), ha deciso di ripartire proprio da qui: promettendo il ripristino delle licenze revocate alle banche fallite. Con l’obiettivo non soltanto di restituire fiducia al settore bancario, ma di creare nuove opportunità di lavoro e dare un nuovo slancio alle attività economiche, soprattutto nelle realtà rurali e semi-urbane, con l’impegno ad aprire nuove filiali. Ma i ghanesi hanno voluto punire alle urne i conservatori anche per un’altra questione che, nella migliore delle ipotesi, non sono stati in grado di arginare: il drammatico degrado ambientale causato dall’estrazione mineraria illegale delle migliaia di cercatori d’oro più o meno improvvisati, senza alcuna licenza, che stanno avvelenando i grandi fiumi e distruggendo le foreste.

Le “galamsey” (così vengono chiamate le miniere d’oro illegali in Ghana) sono tutt’altro che un fenomeno isolato. Il quotidiano svizzero Neue Zürcher Zeitung (NZZ) ha pubblicato pochi giorni fa un dettagliato reportage che fotografa con precisione la gravità della situazione: «L’estrazione illegale dell’oro rappresenta circa il 40% del totale e avviene in quasi tutte le parti del Ghana», scrive NZZ, che per descrivere il business ha scelto di raccontare quel che accade in un piccolo villaggio nel sud del paese, Nyenase. «Il Ghana è il paese che produce più oro in Africa e l’Africa è il continente che produce più oro al mondo. Centinaia di migliaia di ghanesi lavorano oggi nelle miniere illegali, perché l’oro è un business fenomenale. Il prezzo del metallo prezioso è raddoppiato solo negli ultimi cinque anni. Ma la corsa all’oro sta anche esigendo un prezzo elevato. A ottobre, migliaia di persone hanno manifestato nella capitale del Ghana, Accra. Hanno accusato il governo di aver consentito che l’estrazione illegale dell’oro crescesse fuori controllo (senza porre limiti, o regole). L’autorità statale per l’acqua riferisce che due terzi delle fonti d’acqua del paese sono state contaminate da metalli pesanti e rimarranno così per dozzine o addirittura centinaia di anni. Queste sostanze, tra cui mercurio, piombo e cianuro, sono utilizzate nei processi illegali di estrazione dell’oro. Entro il 2030, il paese potrebbe essere costretto a importare acqua potabile». Alla fine di ottobre una troupe di Multimedia Group Limited, il più grande gruppo ghanese che gestisce stazioni radio, tv e siti di informazioni online, guidata da Erastus Asare Donkor, un cronista noto per il suo attivismo contro l’estrazione mineraria illegale e il degrado ambientale, è stata aggredita mentre stavano realizzando un reportage sulle estrazioni dannose nel sito minerario ad Asumenya, nella regione di Ashanti, anche questa nel sud del Ghana (i corsi d’acqua che alimentano il fiume Ankobra sono stati pesantemente inquinati da queste pratiche). Il giornalista, il cameraman, un pilota di droni e un autista sono stati minacciati da una decina di uomini armati, portati a forza in un luogo appartato e lì minacciati e picchiati con violenza. «I giornalisti - come riporta una nota di Reporters sans Frontières - stavano indagando sulla distruzione dei terreni agricoli e sull’inquinamento delle acque causato dalla società mineraria Edelmetallum Mining Resources Limited ad Asumenya. Le loro attrezzature, compresi i tablet e le schede SD, sono state sequestrate. Gli assalitori hanno poi scattato foto ai giornalisti e hanno minacciato di “occuparsi di loro”, prima di andarsene».

La profonda crisi del cacao

Il compito del nuovo presidente del Ghana (il suo insediamento è previsto il prossimo 7 gennaio) appare comunque tutt’altro che semplice: dovrà portare risposte concrete ed efficaci a questioni di non facile soluzione, come il contenimento del debito pubblico, che è passato dal 24,6% del 2008 all’attuale 75%, stando al rapporto pubblicato pochi mesi fa dalla Bank of Ghana. La nazione, secondo il parere della World Bank, resta solido, con prospettive di crescita a medio termine stimate al 5% nel 2026. E il Ghana, primo Stato dell’Africa occidentale a ottenere l’indipendenza nel 1957, dopo oltre 80 anni di dominio britannico, può contare su risorse non da poco: non soltanto primo produttore di oro del continente africano, ma anche ricco di petrolio, con la produzione che nella prima metà del 2024 è aumentata di oltre il 10%, con ricavi che per 840 milioni di dollari (e anche l’estrazione di gas è in crescita, con un +7,5%). Eppure c’è un altro pilastro fondamentale dell’economia ghanese che si trova in profonda crisi, l’industria del cacao, con i proventi delle esportazioni che sono più che dimezzati (1,45 miliardi di dollari nella prima metà del 2023 contro 760 miliardi di dollari nello stesso periodo di quest’anno).

Spiega l’Africa Center for Democracy and Socioeconomic Development (CDS Africa): «Le esportazioni e la produzione di cacao in Ghana sono influenzate da una serie di fattori sociali, economici e ambientali. Uno dei problemi principali è rappresentato proprio dagli effetti dannosi delle attività di galamsey che causano un significativo degrado del suolo, diminuendo la disponibilità di terreno fertile per la coltivazione del cacao. L’uso di composti tossici come il mercurio nell’estrazione mineraria inquina le fonti d’acqua, che sono fondamentali per l’irrigazione e la salute del suolo. Inoltre, la deforestazione causata dalle estrazioni illegali cambia il microclima necessario per la crescita del cacao, riducendo ulteriormente la produzione». E di certo non aiuta il cambiamento climatico, con l’aumento delle temperature e l’alterazione dell’andamento delle precipitazioni. E quando un settore va in crisi, a farne le spese è l’occupazione, che si contrae di pari passo. Generando malcontento sociale e un aumento esponenziale delle attività illecite, che a loro volta provocano un peggioramento degli equilibri ambientali.

L’infiltrazione nel nord dei gruppi jihadisti

Ma c’è un’altra emergenza che il nuovo presidente è chiamato ad affrontare: le crescenti infiltrazioni di formazioni jihadiste nel nord del paese. Secondo l’agenzia di stampa britannica Reuters, che cita sette diverse fonti, tra funzionari della sicurezza ghanese e diplomatici regionali, «i militanti islamici che combattono in Burkina Faso stanno utilizzando il nord del Ghana come base logistica e medica per sostenere la loro insurrezione, una mossa che potrebbe aiutarli ad espandere la loro presenza in Africa occidentale». La notizia è particolarmente preoccupante, dal momento che in Burkina Faso si sta combattendo dal 2015, tra colpi di stato tentati e riusciti, un drammatico conflitto tra i gruppi armati jihadisti e le forze di sicurezza nazionali (con migliaia di vittime e milioni di sfollati). E a farne le spese sono spesso i civili, com’è accaduto ad esempio lo scorso 24 agosto nella cittadina di Barsalogho, a 80 km dalla capitale, Ouagadougou, quando i militanti di Jama'at Nusrat al-Islam wal-Muslimin (JNIM), un gruppo affiliato ad al Qaeda con sede in Mali e attivo in Burkina Faso, hanno aperto il fuoco contro gli abitanti del villaggio (le ultime stime indicano il bilancio in 600 vittime). Appena pochi giorni fa, per dire dell’instabilità del Burkina Faso e del Sahel (tormentato da una serie di colpi di stato), la giunta militare al potere ha destituito il primo ministro, Apollinaire Kyélem de Tambèla, e ha sciolto il governo su decisione del presidente ad interim Ibrahim Traoré.

L’infiltrazione dei ribelli islamici nel nord del paese è quindi una grande preoccupazione per il Ghana, che con il Burkina Faso condivide 600 km di confine. Come riassume l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (Ispi): «La spirale fra degrado sociale e adesione alle attività di milizie armate, già testimoniato da quanto succede nella regione del Sahel, è quindi un rischio che non risparmia il Ghana». Il presidente Mahama ha già garantito massimo impegno nel riportare sollievo all’economia (con il suo piano “h24”) e alle fasce più fragili della popolazione, promettendo posti di lavoro e anche di rinegoziare il piano di salvataggio con il Fondo Monetario Internazionale, così da renderlo meno gravoso per i cittadini e per “liberare programmi di intervento sociale”, in un paese di 34 milioni di abitanti, 7 dei quali vivono in povertà. L’economista ghanese Godfred Bokpin, interpellato dalla Bbc, si è detto scettico: «Le sfide che il prossimo governo dovrà affrontare sono enormi. Ciò di cui il Ghana ha bisogno in questo momento è una leadership credibile, un governo snello ed efficienza nella fornitura di servizi pubblici. Senza questo, non ci potrà essere un futuro».

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