SCIENZA E RICERCA

Sperimentazione animale e proteste: facciamo un po’ di chiarezza

Lo scorso 23 gennaio il Consiglio di Stato ha emesso l’ordinanza 230, che decreta la sospensione del progetto LightUp, guidato dal professor Marco Tamietto dell’università di Torino in collaborazione con l’università di Parma. Tale progetto giunse alla cronaca italiana già nel giugno 2019, a seguito delle contestazioni (e anche minacce) da parte di associazioni animaliste come la LAV (Lega anti vivisezione). Fulcro della protesta fu, ed è tutt’ora, l’utilizzo previsto di sei macachi, da sottoporre a delle operazioni chirurgiche, in cui viene provocata una lesione alla corteccia visiva, al fine di provocare una zona d’ombra nel loro campo visivo. Lo scopo della ricerca è sviluppare delle cure per le persone affette da cecità a seguito di un danno cerebrale, ad esempio un ictus.

Nell’ordinanza si può leggere che “il ministero della Salute deve, con massima urgenza, fornire tale prova sull’impossibilità di trovare alternativa ad una sperimentazione invasiva sugli animali” ribaltando la sentenza del Tar del Lazio, che, a novembre 2019, aveva respinto la prima richiesta di sospensione del progetto.

Per fare chiarezza in merito alla delicata questione della sperimentazione animale abbiamo contattato Giuliano Grignaschi, segretario generale di Research4Life e responsabile del benessere animale degli stabulari dell’Università Statale di Milano.

Qual è la prassi per poter procedere con la sperimentazione animale in Italia?

La prassi è regolamentata dalla direttiva europea 63/2010, la quale prevede che per poter utilizzare anche un solo animale, è necessario superare una serie di autorizzazioni. La prima da parte dell’Organismo Preposto al Benessere Animale (OPBA). Si tratta di un comitato, interno all’ente di ricerca stesso, che deve essere composto da membri scientifici, tra cui il responsabile del benessere animale e il veterinario designato, figure previste per legge in tutti gli istituti. Successivamente bisogna inviare l’effettiva richiesta di autorizzazione al Ministero della Salute, il quale ne fa una prima valutazione e inoltra la richiesta al Consiglio Superiore di Sanita se la ricerca riguarda primati, cani e gatti, oppure all’Istituto Superiore di Sanità per le altre specie. Questi due organismi tecnico scientifici fanno la valutazione definitiva del progetto. Se lo ritengono valido e reputano che non esistano alternative all’utilizzo del modello animale, rilasciano l’autorizzazione, che viene emessa dal Ministero della Salute sottoforma di vero e proprio decreto autorizzativo.

Come mai primati, cani e gatti hanno un diverso ente volto alla valutazione definitiva rispetto ad altre specie animali?

Queste specie hanno il sistema nervoso centrale molto sviluppato, perciò è riservato loro il più alto grado di sensibilità. Sappiamo infatti che sono animali dotati di senzienza, cioè hanno la capacità, non solo di provare dolore fisico, ma anche di elaborare una sensazione di dolore a livello psicologico, come lo stress.

Il progetto LightUp ha rispettato tutte le regole per ricevere l’autorizzazione a procedere?

Come già verificato dal Tar del Lazio a novembre, il progetto ha sostenuto tutte le valutazioni previste per legge. Inoltre ha ricevuto un finanziamento dall’European Research Council (Erc), quindi, oltre all’aver seguito tutto l’iter già descritto per i permessi, è stato valutato anche da una commissione europea, che l’ha premiato per la rigorosità scientifica. La recente sentenza del Consiglio di Stato, che chiede al Ministero della Salute di dimostrare che non esistono metodi alternativi, va contro qualunque logica, sia perché, se esistessero delle alternative, il progetto non sarebbe mai partito, sia perché viene capovolto il concetto scientifico secondo cui l’onere della prova è a carico di chi sostiene la validità di un metodo. Deve essere colui che pretende un’alternativa a dimostrare che questa può sostituire il metodo finora utilizzato, non chi usa un metodo che deve dimostrare l’invalidità di un’alternativa.

In Italia la situazione è diversa rispetto al resto d’Europa?

In Italia è appena stato rilasciato il decreto Milleproroghe, che contiene la proroga di alcuni divieti, riguardanti la sperimentazione animale, che esistono solamente in Italia, per i quali stiamo andando in infrazione in Europa. Non è un caso che questa polemica scoppi proprio in questi giorni, sommandosi alle discussioni che avvengono in Parlamento sul corretto recepimento della direttiva europea, quindi sull’eliminazione di questi divieti. Un disegno preciso di stampo ideologico-animalista che, facendo leva sull’emotività delle persone, senza spiegare correttamente le cose, ha come obiettivo bloccare questo tipo di ricerche. E ricordiamo che il professor Tamietto può decidere di prendere i fondi europei assegnatigli e portarli all’estero, dove può svolgere la sua ricerca. Una situazione tipicamente italiana, come abbiamo già visto in molti altri casi.

In che modo si può far leva sull’emotività?

È evidente che chi vuole dare una connotazione negativa equipara la sperimentazione animale al concetto di vivisezione. Una pratica in uso molti decenni fa, quando non c’erano ancora le tecnologie per fare un’anestesia o un’analgesia efficace all’animale da laboratorio, causando quindi estremo dolore. Oggi tutto questo è assolutamente vietato dalla normativa vigente. Il Ministero della Salute non avrebbe mai potuto autorizzare un progetto che provoca sofferenza agli animali.

Esiste oggi una valida alternativa alla sperimentazione animale?

Bisogna chiarire alcune cose. Se parliamo di test di tossicologia acuta, ad esempio del derma o dell’occhio, ci sono già dei buoni modelli in vitro che permettono di non passare più per l’animale. Come ad esempio nel campo della tossicologia dei cosmetici, dove non solo non è più necessario il modello animale, ma è vietato. Se parliamo invece di tossicologia cronica, non esiste alcun test in vitro che possa sostituire l’utilizzo dell’animale, purtroppo. Tantissimi casi possiamo studiarli in vitro, possiamo simularli in silico attraverso metodi statistici, ma arriva un momento in cui dobbiamo verificare l’oggetto di studio in un organismo complesso, che in una prima fase può essere un invertebrato, ma poi si deve avvicinare sempre di più all’obiettivo finale cioè l’uomo.

Il caso LightUp mostra come, in Italia, sia percepita in maniera distorta la realtà della ricerca. Un complesso sistema di regole, autorizzazioni e rigorosità scientifica volte al progresso del benessere umano. Poca chiarezza, poche spiegazioni, a volte sostituite da vere e proprie Fake News, con termini inappropriati e false immagini dal forte impatto emotivo, possono influenzare negativamente l’opinione pubblica, fino ad arrivare alla sospensione di un progetto autorizzato secondo tutte le norme.

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