SCIENZA E RICERCA
Svante Pääbo: il Nobel per la Fisiologia alle scoperte sulla storia evolutiva dell'umanità
Molto spesso i premiati di Stoccolma vengono indicati come pionieri e rivoluzionari, usando forse una retorica anche esagerata. Nessuna esagerazione, però, nel caso di Svante Pääbo che è riuscito in un’impresa che sembrava impossibile e, così facendo, ha aperto la strada di una nuova disciplina scientifica, la paleogenomica. Lo scienziato, che per coincidenza è nato proprio a Stoccolma il 20 aprile del 1955, è stato insignito dall’Accademia delle Scienze svedese “per le sue scoperte riguardanti i genomi degli ominidi estinti e l'evoluzione umana”, come recita la motivazione ufficiale.
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— The Nobel Prize (@NobelPrize) October 3, 2022
The 2022 #NobelPrize in Physiology or Medicine has been awarded to Svante Pääbo “for his discoveries concerning the genomes of extinct hominins and human evolution.” pic.twitter.com/fGFYYnCO6J
Capire meglio la nostra storia
Nel 1856 sono stati trovati i primi resti di una specie del genere Homo diversa dalla nostra. Il sito si trovava nella valle di Neander, in Germania, da cui il nome della specie: Homo neanderthalensis. Da allora, la curiosità per la ricostruzione della storia dell’evoluzione umana non si è mai sopita e, anzi, è andata crescendo con l’aumento dei ritrovamenti paleoantropologici. Giovane studente di dottorato all’Università di Uppsala negli anni Ottanta del secolo scorso comincia a elaborare un sogno. All’epoca gli studi di genetica erano una grandissima novità e l’avanzamento tecnologico del settore davvero straordinario. Allora, si chiede Pääbo, perché non provare a usare queste nuove tecniche di indagine della biologia molecolare per studiare i resti delle specie di Homo di cui si sono ritrovati i resti? Non sarebbe possibile, così facendo, capire di più la storia evolutiva dell’umanità? Il sogno assomiglia molto a un programma di ricerca. E viene messo in pratica molto presto, già a partire dal 1990, quando Pääbo passa all’Università di Monaco, in Germania.
Qui, novello professore, pensa di utilizzare il DNA mitocondriale dei Neanderthal e non quello del nucleo. Ritiene, a ragione, che nonostante il DNA mitocondriale contenga solo una frazione dell’informazione genetica delle cellule, presenta il vantaggio di presentarsi in migliaia di copie, permettendo di aumentare di molto la possibilità di successo del suo tentativo. Con metodi sempre più raffinati, attenti soprattutto a evitare le contaminazioni, Pääbo e il suo team riescono a sequenziare una regione di DNA mitocondriale da un pezzo di osso risalente a 40.000 anni fa. È la prima volta che la scienza ha accesso a una sequenza di un nostro parente estinto. La sequenza ricavata viene messa a confronto con il genoma di Homo sapiens e degli scimpanzé contemporanei, dimostrando che i Neanderthal erano geneticamente distinti da entrambi.
Il DNA è localizzato in due diversi compartimenti della cellula. Il DNA nucleare ospita la maggior parte delle informazioni genetiche, mentre il genoma mitocondriale molto più piccolo è presente in migliaia di copie (Immagine: Nobel Prize Foundation).
Le sue ricerche proseguono al Max Planck Institute di Lipsia (Germania), dove mette a punto un procedimento sempre più preciso e sviluppa un vero e proprio studio comparato di tutte le sequenze di DNA che riesce a ricavare. Il risultato più importante è che Pääbo e il suo gruppo sono in grado di individuare il momento in cui è apparso l’ultimo l’antenato comune di sapiens e neanderthalensis: circa 800 mila anni fa. Oggi sappiamo che i Neanderthal popolavano l’Europa e il Medio Oriente. 70 mila anni fa, invece, Homo sapiens, la nostra specie ha cominciato a migrare fuori dal suo luogo d’origine, l’Africa orientale. Attraverso le scoperte di Pääbo , però, oggi sappiamo che nonostante i Neanderthal si siano estinti circa 30 mila anni fa, gli Homo sapiens europei possiedono una piccola percentuale di DNA neanderthaliano, tra l’1 e il 2%.
Le scoperte di Pääbo hanno fornito importanti informazioni su come era popolato il mondo all'epoca in cui l'Homo sapiens emigrò dall'Africa e si diffuse nel resto del mondo (Immagine: Nobel Prize Foundation).
Denisova: un nuovo membro della famiglia
Nel 2008, in una grotta sui monti Altaj, nella Siberia meridionale, è stato trovato un frammento di un osso di un dito di circa 40.000 anni fa. L'osso conteneva DNA eccezionalmente ben conservato, che il team di Pääbo ha potuto sequenziarlo. I risultati hanno fatto scalpore: la sequenza del DNA era unica rispetto a tutte le sequenze conosciute dei Neanderthal e degli esseri umani di oggi. Pääbo aveva scoperto un ominide precedentemente sconosciuto, a cui è stato dato il nome Denisova. I suoi studi hanno mostrato che in alcuni gruppi umani di oggi, specialmente tra le popolazioni asiatiche, sono rimaste tracce fino al 6% del DNA di questo ominide oggi estinto.
Le scoperte di Pääbo sono state determinanti per meglio comprendere la storia evolutiva dell’umanità. Grazie a esse, oggi sappiamo che all’atto di fuoriuscita dall’Africa della nostra specie, almeno due popolazioni di ominidi oggi estinti abitavano Europa e Asia. Sappiamo anche che negli incontri tra le diverse specie ci furono scontri, ma anche che individui dell’una si incrociarono con l’altra, lasciando all’unica sopravvissuta, Homo sapiens, tracce di questo antico passato. Tutto questo, grazie al sogno di un biologo di Stoccolma e alla nuova disciplina che ha aperto con le sue scoperte: la paleogenomica.