SCIENZA E RICERCA

Alle terme attenzione agli anelli: ogni gemma racconta una storia

Torniamo indietro di alcuni secoli – fermiamoci al III d.C per l’esattezza – e proviamo a immaginare la scena: Inghilterra, Carlisle, antico impianto termale nei pressi del Vallo di Adriano. Prima di entrare in acqua, i bagnanti si fermano nell’apodyterium, lo spogliatoio con nicchie e cabine aperte in cui si depongono vestiti e oggetti personali, a eccezione dei sandali utili a proteggere i piedi dal pavimento riscaldato. Lasciare incustoditi in quel luogo i propri averi è un rischio, dato che i frequentatori più comuni delle terme pare siano i ladri. Per questo, i più abbienti hanno schiavi che custodiscono i loro averi, alcuni magari pagano degli inservienti, ma altri tengono con sé i loro gioielli per evitare i furti. Ed entrano nelle acque termali. Il caldo, il vapore e l’umidità non sempre però sono buoni alleati, perché possono facilmente deteriorare i collanti naturali usati nella manifattura dei gioielli e causare l'espansione e la contrazione delle incastonature metalliche. Così può accadere che durante il percorso termale le pietre preziose si stacchino dai castoni degli anelli di ignari avventori, che magari solo una volta rincasati si accorgono della perdita. 

Secondo la ricostruzione degli archeologi, coordinati da Frank Giecco della Wardell Armstrong, molto plausibilmente potrebbe essere questa la spiegazione al rinvenimento dei mesi scorsi: proprio nelle condutture fognarie dell’impianto termale romano di Carlisle, i cui resti sono stati riportati alla luce negli ultimi anni, sono state trovate più di 30 gemme preziose, delicati intagli con un diametro che va dai 5 ai 16 millimetri. C’è chi ha perso un’ametista che raffigura Venere con un fiore o uno specchio, chi un diaspro con un satiro seduto su una roccia accanto a una colonna, e altri ancora gemme che simboleggiano la guerra, la fortuna, la fertilità attraverso le immagini di Marte, Mercurio, Cerere.

Alcune delle pietre in diaspro rosso presentano uno stile particolare che potrebbe far pensare a un laboratorio di gioielli che riforniva la zona del Vallo di Adriano, con sede a Carlisle. Insieme alle gemme sono stati trovati più di 700 oggetti, tra cui oltre 100 perle di vetro, vasellame, armi, monete, figure di argilla, ossa di animali, tegole con il marchio imperiale e un centinaio di fermacapelli. Proprio la presenza di forcine suggerirebbe che i proprietari delle gemme erano presumibilmente donne. 

“Il ritrovamento è interessante – argomenta Monica Salvadori, professoressa di archeologia classica all’università di Padova –. La categoria delle gemme da anello è molto nota, e nel nostro Paese esistono straordinarie collezioni, come quella di Aquileia, composte da oggetti che in genere provengono da campagne di scavo”. La raccolta glittica conservata nel museo di Aquileia raccoglie infatti più di 5.000 pezzi, a cui si devono aggiungere le gemme conservate in altri musei come Udine, Trieste, Vienna: la città era sede dei più importanti laboratori dell’impero romano e i suoi prodotti erano commerciati in tutto l’Occidente. 

“Spesso – continua la docente – il rinvenimento delle pietre preziose avviene in contesti funerari, nelle tombe, poiché gioielli e pietre preziose fanno parte del corredo del defunto. Oppure vengono ritrovate nelle canalette, negli immondezzai, nelle condutture fognarie com’è accaduto a Carlisle.  O ancora nelle domus, nelle case”. Le città di Altino e Concordia, per esempio, hanno restituito un gran numero di gemme sia in necropoli che nell’abitato, sebbene qui in numero molto minore. Non è raro dunque rinvenire oggetti di questo tipo durante le campagne di scavo, meno frequente invece scoprire veri e propri “tesoretti”, come nelle terme inglesi dove si sono depositate nel tempo.  

“Le gemme rinvenute in Britannia sono di età severiana, dunque abbastanza tarde e non così raffinate, e provengono da un contesto provinciale. In Italia gli scavi archeologici hanno portato alla luce gemme molto più antiche e di qualità certamente superiore, come quelle di Aquileia. Ciò che è interessante è la storia di questi oggetti. Ognuna di queste gemme è legata a una storia personale. Gli anelli, in particolare, erano usati sia come sigilli che come simboli protettivi, e venivano indossati sia da donne che da uomini che sceglievano determinate immagini proprio perché rappresentative del loro modo di essere, o perché li consideravano dei portafortuna. Nell’età romana era molto sentito il concetto di autorappresentazione”. 

Storicamente, sugli anelli venivano incastonati due tipi di gemme: gli intagli, che presentano figure incise sulla superficie, e i cammei, con immagini in rilievo. Poteva trattarsi di pietre naturali dure, oppure di gemme di pasta vitrea, più economiche, che nel colore imitavano la pietra dura. “È un tipo di materiale che si presta molto bene al collezionismo già dal Cinquecento – osserva Salvadori –, come nel caso della famosa collezione Medici di cui fanno parte gemme straordinarie, anche di altissima qualità”. Rimanendo in Italia, al tema l’archeologa Gemma Sena Chiesa qualche anno fa ha dedicato un articolo, in cui cita numerose raccolte di pietre preziose tra cui per esempio gli intagli rinvenuti nella città romana di Luna in Liguria fin dai primi scavi nel 1837, o quelle trovate in area urbana ad Aosta, per lo più gemme e paste vitree della prima età imperiale  verosimilmente perse in modo casuale.

POTREBBE INTERESSARTI

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012