SOCIETÀ

La dimensione eco-sociale della transizione verde: questioni aperte

La questione ambientale è stata a lungo trascurata e molte politiche pubbliche sono state disegnate senza considerare con attenzione il loro impatto ‘verde’, nonostante a partire dagli anni ’80 del secolo scorso i governi abbiano più volte annunciato il loro impegno in tal senso. I negoziati nell’ambito dei recenti appuntamenti internazionali del G20 e della COP26 testimoniano quanto oggi il tema sia al centro dell’agenda politica di numerosi paesi del Nord e del Sud del mondo: anche se l’accordo raggiunto a Glasgow appare complessivamente deludente, l’emergenza climatica e i relativi impatti ambientali risultano evidenti al mondo della politica e della società civile, come pure sono noti i costi economici e sociali legati alla transizione ecologica.

Le proteste dei Gilets Jaunes in Francia tra il 2018 e il 2019 hanno messo in luce come scelte a favore dell’ambiente (come ad esempio l’incremento del prezzo del carburante) possano ricadere in modo asimmetrico sulla cittadinanza. Nel caso francese, a scendere in piazza sono stati soprattutto i rappresentanti delle fasce meno abbienti della popolazione, che hanno percepito il provvedimento governativo come un tentativo da parte dell’élite politica di avvantaggiare ‘i ricchi’ che vivono principalmente nell’area parigina, in cui grazie a servizi pubblici efficienti il ricorso a mezzi di trasporto privati non è così indispensabile come nella periferia francese.

A tal riguardo, l’impatto sociale delle scelte ecologiste e il costo sociale delle politiche ambientali sono temi ancora poco esplorati, seppure siano sempre più al centro del dibattito politico e accademico. In ambito accademico si sta facendo strada una riflessione intorno alla relazione tra stato sociale e tutela per l’ambiente: in un recente articolo apparso sulla rivista Sustainability nel 2019, Katharina Zimmermann e Paolo Graziano mettono in luce come il gruppo (cluster) di paesi europei più avanzato in termini di protezione sociale e tutela dell’ambiente sia rappresentato dal Nord Europa – più in particolare Svezia, Finlandia, Danimarca e Norvegia. Inoltre anche le modalità di bilanciamento degli obiettivi ecologici e sociali all’interno delle politiche settoriali (si pensi, per esempio, alla transizione energetica), unitamente agli indicatori che si possono utilizzare per misurare l’efficacia degli interventi, stanno attirando un interesse crescente da parte del mondo della ricerca. 

Ma quali sono le configurazioni politiche che possono dare vita a relazioni virtuose tra politiche sociali e ambientali e tenere in considerazione l’impatto asimmetrico della transizione ecologica? Queste sono due tra le varie domande di ricerca che si pone il neo-istituito Osservatorio sulla Sostenibilità, Uguaglianza e Giustizia Sociale (OSES) presso il Centro Levi Cases dell’Università di Padova, a partire dalla giornata di studi organizzata per il 3 dicembre presso la Sala della Carità. Sebbene le ricerche sul tema siano ancora agli inizi, sono già emersi alcuni elementi di fondo che guideranno le riflessioni di studiosi e costituiranno dei dilemmi per i decisori politici.

Oltre al già menzionato impatto differenziale delle politiche ambientali sulla popolazione, altri elementi sono da considerare con attenzione. Il primo – sopra evocato riguardo caso francese – concerne l’esistenza o meno di un consenso nei confronti di provvedimenti ambientali gravosi in termini fiscali e, più in generale, la questione chi dovrebbe far fronte ai costi derivanti da politiche più stringenti volte alla transizione ecologica. Tale aspetto chiama in causa la leva fiscale come elemento centrale di una qualsiasi politica pubblica che voglia essere realmente redistributiva. Tuttavia, provvedimenti che andassero in tal senso potrebbero determinare una reazione negativa da parte di settori economici, aziende e lavoratori che sarebbero penalizzati. Pertanto, anche sotto tale profilo, verrebbe a pesare l’asimmetria dell’impatto, da mitigarsi con politiche di ‘transizione fiscale’ volte a ripartire in modo più equilibrato i costi della transizione energetica e a incrementare il consenso verso ambiziose politiche a tutela dell’ambiente.

Inoltre, vista la centralità della domanda pubblica di beni e servizi, andrebbe rafforzata la natura stringente dei capitolati al fine di rendere ancora più efficaci i cosiddetti ‘appalti verdi’ che già valgono il 14% circa del Prodotto interno lordo dell’Unione europea. Già a livello locale abbiamo ad esempio esempi virtuosi di amministrazioni comunali: secondo i dati contenuti nel quarto rapporto dell’Osservatorio Appalti Verdi, nel corso dell’ultimo anno oltre il 30% dei comuni capoluogo ha adottato – nell’80% dei casi – i cosiddetti Criteri Ambientali Minimi nelle procedure di gara. Si tratta di un dato molto promettente, che mostra quanto ‘dal basso’ si possa contribuire al raggiungimento di obiettivi ambiziosi sotto il profilo della tutela ambientale. A tali ‘criteri ambientali minimi’ andrebbero affiancati ‘criteri sociali minimi’ che potrebbero estendere le esistenti ‘clausole sociali’ al fine di renderle ancora più stringenti in modo da evitare effetti sociali collaterali connessi alla mera applicazione rigorosa dei ‘criteri ambientali’.

Su una scala più ampia, avendo fatto propri gli obiettivi dell’Agenda 2030, il Green Deal europeo (2019) ha tracciato un ambizioso percorso verso la neutralità climatica, dichiarando chiaramente l’obiettivo di rispondere in maniera bilanciata alle sfide economiche, ambientali e sociali della transizione ecologica. Prevedendo interventi trasversali ai molteplici settori, tale percorso si prefigge di promuovere riforme legislative nonché investimenti innovativi nell’ottica della complementarità, garantendo che ‘nessuna persona e nessun luogo siano trascurati’. Affinché le dichiarazioni di principio contenute in tale iniziativa diventino realizzabili, occorre un’azione coordinata e responsabile dei governi e delle amministrazioni ai diversi livelli territoriali, che traduca le strategie europee per l’energia e la mobilità sostenibile, l’economia circolare, la competitività e la nuova politica industriale in azioni concrete, rispettando gli indispensabili equilibri all’interno della dimensione eco-sociale delle politiche.

Infine, e più in generale, è indispensabile che si faccia crescere la consapevolezza tra le cittadine e i cittadini della necessità di considerare sempre più seriamente entrambe le sfide (ambientali e sociali), considerandole come le due facce di una stessa medaglia e tenendo ben in conto quali sono le interconnessioni tra le due.

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