SOCIETÀ

Francia: "I gilet gialli figli di una rabbia sociale mai ascoltata"

Alla fine Emmanuel Macron ha compiuto il passo forse per lui più duro. Nel suo discorso alla Nazione del 10 dicembre non ci sono solo l’aumento di 100 euro dal 2019 del salario minino (lo Smic), la detassazione degli straordinari e l’aumento dei contributi sociali (lo CSG) per i pensionati – provvedimenti che potrebbero ben figurare nel programma del governo giallo-verde italiano – ma anche l’ammissione di responsabilità di chi, in un primo momento, aveva completamente sottovalutato la protesta. “Sono riemersi 40 anni di malcontento… – ha dichiarato il Presidente francese – e io prendo la mia parte di responsabilità”.

“I Gilets Jaunes sono il frutto di una rabbia sociale accumulata da lunghissimo tempo alla quale i governi non hanno mai dato risposta, la stessa che aveva trovato una prima forma di espressione nei successi del Front National”. A parlare è Fabrizio Tonello, docente di scienza politica all’università di Padova con una lunga frequentazione professionale e accademica con la Francia, dove ha anche vissuto per diversi anni.

Per i manifestanti le difficoltà economiche sono solo una parte del problema

Innanzitutto chi sono questi ‘giubbotti gialli’? Come nascono?

“Il movimento è espressione di una base sociale simile a quella di Trump: si tratta soprattutto di persone che si sentono abbandonate e ignorate, in cui le difficoltà economiche vere e proprie sono solo una parte del problema. In maggioranza non sono poveri ma temono di diventarlo, una ex classe media che si sente mancare il terreno sotto i piedi e che soprattutto non vede prospettive per sé e per i figli. Provengono soprattutto da aree rurali e anche questo è un punto importante in comune con il movimento che sta dietro Trump. La scintilla è stato l’aumento delle tasse sui carburanti spacciato come misura ecologica: per un agricoltore, un autotrasportatore o un pendolare 50 euro in più o in meno a fine mese si fanno sentire sul bilancio familiare. Poi come tutte le imposte indirette è sentita come particolarmente ingiusta: del resto fa parte dei canoni del neoliberismo defiscalizzare patrimoni e gli alti redditi per puntare sulle tasse indirette, che colpiscono soprattutto i consumi”.

Rappresentano una novità per la Francia?

Sul piano storico oltralpe c’è una lunga tradizione di rivolte improvvise e violente. Mentre ad esempio in Italia c’erano sindacati e partiti relativamente forti, la Francia ha sempre avuto un basso tasso di sindacalizzazione e formazioni politiche molto deboli al di fuori delle elezioni. Forse per questo, a differenza dell’Italia, ogni tanto nascono movimenti che si rivelano all’improvviso e inaspettatamente irresistibili, come ad esempio quello che nel 1995 si oppose al tentativo di riforma delle pensioni da parte del governo di centrodestra”.

Che caratteristiche hanno queste sollevazioni?

Come per le jacquerie contadine del medioevo spesso si tratta di rivolte improvvise che partono da una categoria specifica che però, quando il fuoco si accende, riceve un forte sostegno anche dal resto della popolazione. Anche qualche mese fa ad esempio i ferrovieri hanno bloccato la Francia, ciononostante i cittadini solidarizzavano perché in qualche modo le proteste simbolizzavano inquietudini e malesseri diffusi”.

Ogni una o due generazioni quelli che pensano di essere tagliati fuori si impadroniscono delle strade di Parigi

I paragoni con la Revolution sono completamente fuori luogo?

La rivoluzione ha segnato la fine dell’Ancien Régime ma è stata solo un momento all’interno di una lunga serie di rivolte popolari, che si sono alternate a lunghi periodi di stasi. Non c’è solo 1789 ma anche il 1830, il 1848, la Comune di Parigi del 1871; nel Novecento, a parte le guerre mondiali, nel 1934 una grande manifestazione fascista tentò – fallendo – di prendere d’assalto l’Assemblea Nazionale, mentre tutti conosciamo il maggio parigino del ‘68. È una cosa quasi generazionale: ogni una o due generazioni quelli che pensano di essere tagliati fuori si impadroniscono delle strade di Parigi, qualunque sia il potere in carica in quel momento. Naturalmente con questo non voglio assolutamente sminuire la vicenda a un aspetto quasi folcloristico:  si tratta comunque di una frattura sociale profondissima a cui Macron finora non ha voluto o saputo rispondere, e questo punto è molto preoccupante”.

Da settimane il centro di Parigi viene messo a ferro e fuoco…

“Adesso Macron dà la colpa a quelli che sfasciano le vetrine, ma ad esempio i contadini francesi durante le loro manifestazioni hanno dato più volte l’assalto a prefetture e municipi. Anche questa è una specifica tradizione francese, fatta normalmente di violenza sulle cose ma non sulle persone. Porre l’accento solo sui casseur significa non comprendere la protesta: nelle manifestazioni si vedeva soprattutto gente di mezza età, spesso costretti a lavorare molto più di quanto vorrebbero e che vedono allontanarsi la pensione. E soprattutto non percepiscono più un futuro; ribadisco: l’essenza di questi movimenti è proprio la mancanza di prospettive e di speranza, e questo porta la gente ad agire in maniera anche irrazionale”.

Perché questa rabbia non si è ancora espressa in questo modo in Italia?

In Italia il malessere si è espresso nella marea elettorale che ha trovato sbocco appena il marzo scorso, da un certo punto di vista è normale che per il momento il consenso tenga. Il problema semmai è che spesso questo tipo di forze non sono assolutamente capaci di dare risposte alle domande sociali che le hanno portate al potere, e non tanto per incompetenza. In Francia la situazione politica era completamente diversa; di fatto per ragioni storiche Marine Le Pen era un candidato improbabile: ha fatto di tutto per scrollarsi di dosso l’immagine del padre fascista e negazionista ma per lei arrivare al 51% era di fatto impossibile. Macron ha cavalcato il discredito che ha travolto il partito socialista di François Hollande – situazione peraltro comune agli altri partiti socialdemocratici europei – e con un’abile operazione di comunicazione all’inizio ha dato un’impressione di rinnovamento. Questa però alla fine è stata percepita dagli elettori come un’operazione esclusivamente cosmetica, come si è visto nell’opera di governo, che si è comportato esattamente come quelli precedenti, completamente subalterni a una visione neoliberista dell’economia e dello stato. Non a caso come prima cosa ha abolito l’imposta sui grandi patrimoni”.

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