SCIENZA E RICERCA

Trapianto di volto: il futuro della chirurgia plastica

È stato il primo trapianto di faccia in Italia, quello eseguito nei giorni scorsi all’ospedale Sant’Andrea di Roma. Un primato importante che tuttavia non ha dato i risultati attesi. La paziente è una donna affetta da neurofibromatosi, una malattia rara che le ha deturpato il volto.

L’intervento, reso possibile grazie alla donazione degli organi di una giovane ragazza, è stato eseguito la scorsa settimana ed è durato molte ore. Nei giorni successivi all’operazione sono emerse delle complicazioni: i tessuti trapiantati hanno manifestato segni di sofferenza del microcircolo, cioè del sistema di vasi sanguigni che porta nutrimento ai nuovi tessuti. Questo ha indotto i medici a procedere con una ricostruzione temporanea con trasferimento microchirurgico di tessuti autologhi, prelevati cioè dal corpo stesso della paziente, in attesa di un eventuale secondo trapianto.  

Quali sono le difficoltà che presenta un intervento del genere e le cause che possono determinarne l’insuccesso? “Questo tipo di operazione – spiega Franco Bassetto, docente all’università di Padova e direttore della Chirurgia plastica dell’Azienda ospedaliera di Padova – rappresenta il futuro della chirurgia plastica, così come il trapianto di mano bilaterale. Questo perché sono interventi che utilizzano tecniche microchirurgiche che prevedono la possibilità di prelevare da zone del corpo donatrici delle quantità di tessuti cutanei, sottocutanei e muscolari e riposizionarli nell’ottica di una ricostruzione tridimensionale del volto affetto da importantissimi esiti cicatriziali deformanti o, come nel caso operato a Roma, da neurofibromatosi”.  

Riprese e montaggio di Elisa Speronello

Il chirurgo spiega che questo tipo di intervento non ha una grande complessità dal punto di vista tecnico e consiste nell’eseguire delle “anastomosi”, cioè delle connessioni di arteria con arteria, vena con vena, nervo con nervo tra i lembi prelevati dalle zone donatrici e i vasi e i nervi invece dell’area ricevente, cioè l’area del volto. Si asporta dunque completamente il tessuto o cicatriziale o affetto da neurofibromatosi, come nel caso specifico, e si decide quanti lembi sono necessari per poter sostituire il tessuto patologico. Si tratta di interventi di équipe che richiedono più chirurghi. Le procedure, infatti, sono estremamente lunghe dato che devono essere eseguite più anastomosi microchirurgiche, ognuna per arteria e vena.     

Le anastomosi microchirurgiche, avendo un diametro di un millimetro, possono andare incontro purtroppo a problemi di tipo ischemico o di tipo trombo-embolico, cioè i vasi arteriosi si ischemizzano improvvisamente e non arriva più sangue, oppure i vasi venosi sviluppano nell’endotelio un embolo, un trombo che poi può diventare embolo che occlude la possibilità che il sangue defluisca. In questo caso purtroppo l’intervento va male”.  

Bassetto spiega che si tratta di operazioni molto complesse, che necessitano di autorizzazione ministeriale. I pazienti vengono selezionati in maniera molto accurata e si tratta sempre di persone che soffrono di patologie importanti e deturpanti. “E’ chiaro che cambiare i connotati di un volto ha una influenza molto importante anche dal punto di vista psicologico. Per questo i pazienti vengono preparati a quello che sarà il loro nuovo aspetto, a un iter chirurgico e a controlli post-operatori molto pesanti”.  

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