SOCIETÀ

La Turchia, un paese in bilico tra due mondi

Il 29 ottobre sono trascorsi 100 anni dalla nascita della Repubblica turca, proclamata da Mustafa Kemal Atatürk che per questo e per le successive riforme che hanno cementato l’identità del paese è diventato un eroe nazionale. La fondazione della Turchia, e quindi anche il suo sviluppo come nazione, è abbastanza atipica, per varie ragioni.
Si partiva da un impero, quello Ottomano, che è stato trasformato in una repubblica, e già qui il passaggio non poteva essere lineare. Oltre a questo, però, la moderna Turchia è stata anche modellata come uno stato laico, con una rigorosa separazione tra religione e politica, un modello unico tra i paesi a maggioranza musulmana. Proprio per perseguire questo obiettivo Atatürk ha promosso riforme su vasta scala, che comprendevano la secolarizzazione dello stato, l'abolizione del califfato, l'adozione dell’alfabeto latino al posto di quello arabo e l'adozione di un sistema politico basato sulla democrazia parlamentare. Non si trattava semplicemente di sconfiggere il sultano e proclamare la repubblica, non era una questione meramente politica, anzi: si trattava di introdurre una cultura profondamente diversa da quella precedente.

Di questa e di altre tematiche legate alla Repubblica turca e alla sua nascita, abbiamo parlato con Carlo Pallard, analista politico esperto di Turchia e responsabile dell'ufficio internazionale di Istanbul della Sapienza di Roma.

Servizio e montaggio di Anna Cortelazzo

Come abbiamo detto, la questione della fondazione della moderna Turchia non è banale, perché oltre a raggiungere questo obiettivo si trattava anche di permettere alla Repubblica di reggersi sulle sue gambe, anche dopo la morte di un leader come Atatürk. Quella dell’impero ottomano era stata una dissoluzione graduale prodotta da un processo complesso. Durante la Prima Guerra mondiale, l'Impero Ottomano aveva subito una sconfitta devastante. L'occupazione straniera e le divisioni interne avevano portato al collasso del governo centrale, e la proclamazione della Repubblica Turca è stata l’ultima tappa di questo processo. A questo punto diventava necessario per Kemal Atatürk ragionare sul lungo termine, per evitare che le fragilità interne portassero velocemente anche all’erosione della neonata repubblica, e per questo diventava necessario tenersi in equilibrio tra le varie e opposte istanze, perché una rottura troppo netta con il passato avrebbe rischiato di originare nuovi conflitti.

“Non parliamo semplicemente della sostituzione di un sistema monarchico – spiega Pallard – con uno repubblicano. Si parla del coronamento di un processo storico che ha portato alla dissoluzione dell’impero Ottomano e alla nascita di un nuovo stato, lo stato nazionale turco, che in quel momento ha suggellato la sua esistenza come nazione. Per questo ancora oggi è un evento così importante e così centrale e fondativo per l'identità turca”.
Identità nazionale che andava consolidata perché, come si diceva, bisognava introdurre un nuovo approccio evitando la piena rottura con le tradizioni precedenti. “Si trattava – precisa Pallard - di scegliere che tipo di orientamento e identità culturale dare a questa nazione. Il paese si trovava sospeso tra Oriente e Occidente, tra tendenze ereditate dalla tradizione islamica dell'impero e altre che invece si erano consolidate a partire dal X secolo provenienti dall'Europa Occidentale. La scelta di Atatürk è stata quella di tentare di creare una nazione che fosse da un punto di vista culturale e sociale decisamente orientata verso Occidente, lasciandosi alle spalle gran parte di quella che era la tradizione ottomana. Questo processo ha avuto un parziale successo, dando vita a una nazione che, per usare le parole del grande storico Erik Jan Zurcher, è parte dell'Europa ma anche qualcosa di diverso da essa, un paese musulmano ma totalmente diverso dal resto del mondo islamico. Questa rimane una caratteristica fondante di quella che è l'identità turca contemporanea, anche a 100 anni dalla sua fondazione, e probabilmente questo dilemma di civiltà non sarà mai risolto”.

Per fare un solo esempio sulle riforme di Atatürk, la condizione della donna in Turchia è cambiata radicalmente rispetto al resto del mondo musulmano di quegli anni: “Non si è trattato – spiega Pallard – di una semplice emancipazione di natura culturale e sociale, cosa che del resto era cominciata, per quanto riguarda le élite turche dell'impero Ottomano, già nella seconda metà del X secolo, quanto di modifiche sostanziali dello stato formale della donna all'interno della società, quindi del cambiamento di tutte quelle caratteristiche giuridiche tipiche del sistema islamico dell'impero Ottomano che imponevano una separazione fra i sessi e un trattamento giuridico diverso per le donne e gli uomini all'interno delle società, all'interno delle famiglia e anche in politica. Le donne per esempio hanno ottenuto il diritto di voto in anticipo rispetto anche a molti paesi dell'Europa occidentale. Certamente nel mondo islamico questo tipo di evoluzione, che poi non sarà del tutto esclusiva della Turchia, in quel momento è stato un punto di rottura importante rispetto a quella che era la tradizione del paese”.

Per quanto riguarda la politica estera, anche in questo caso la Turchia è sospesa tra la collaborazione con l’Europa e quella con altri paesi non occidentali. Se nel 2000 la possibilità di entrata nell’Unione Europea in effetti esisteva, negli anni è sfumata: “Con il tempo – spiega Pallard – è diventato sempre più evidente il fatto che da una parte l'Unione Europea non sempre è stata del tutto sincera verso la Turchia, perché se formalmente c'era questa apertura d’altro canto è stato evidente che alcuni paesi non avevano intenzione sul lungo periodo di consentire l'ingresso della Turchia, nemmeno se fosse riuscita ad adempiere a tutti gli impegni. Dall’altra parte lo stesso governo turco di Erdoğan con il tempo ha mostrato di considerare i rapporti con l'Unione Europea soltanto uno dei tanti rapporti significativi che ha sulla sullo scacchiere internazionale, ma che in fondo l'entrata del paese nell’Unione Europea era un obiettivo secondario rispetto a molti altri che riguardavano il consolidamento della potenza turca nella sua area di riferimento. Alla fine il processo di adesione all'Unione Europea, malgrado i proclami ufficiali, è completamente uscito da qualsiasi priorità dello stesso governo turco almeno dalla metà del dell'ultimo decennio”.

Le contraddizioni della storia turca a partire dalla fondazione si riflettono anche su alcuni fenomeni della politica interna contemporanea. Nei primi vent’anni c’era un partito unico, e di fatto lo Stato era autoritario, anche se non nel senso che siamo abituati ad associare a questo termine avendo presente il fascismo e il nazismo. È sempre rimasto un certo controllo sulla società, e anche se la forma di governo è la repubblica parlamentare non possiamo paragonarla a quelle occidentali. Questo regime autoritario è rimasto fino alla fine della Seconda Guerra mondiale, quando le pressioni internazionali ma anche interne hanno aperto la strada a un sistema multipartitico. Si arriva poi al golpe del ‘60, che ha avuto paradossalmente la conseguenza collaterale della promulgazione della costituzione più democratica che la Turchia ha avuto. Ma poi con il golpe dell’80 i militari hanno rivendicato un ruolo di tutela delle istituzioni turche molto ingombrante. Rimane una repubblica parlamentare, ma non ci sono le stesse libertà di altri paesi con questa forma di governo. Tra il 2002 e 2010 con Erdoğan la Turchia ha vissuto un periodo di relativa democratizzazione, ma è stata una stagione effimera, perché dal 2018 il presidente ha creato un nuovo sistema che tra l’altro metteva in crisi il concetto di separazione dei poteri. Durante le campagne elettorali, tra l’altro, ci sono grosse disparità nell’accesso ai mezzi di informazione, quindi anche se le elezioni sono formalmente regolari si può dire che la Turchia è tornata ad essere uno stato semi democratico, che forse continuerà ancora per molto a oscillare tra diverse istanze che faticheranno sempre a convivere, con compromessi che soddisfano solo sulla carta.

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012