“The lagoon! – Ripetono i turisti delle comitive che riempiono il volo Z 144 – La lagune! A laguna!... Come sempre è per loro indispensabile nominare, più che vedere, la città e i templi e le statue e gli affreschi e le cascate e le isole e tutte le terre e le acque che pagano per visitare. Look, look, the Coliseum, the Sixtine Chapel, the Casbah, les Pyramides, le Tour de Pise, the lagoon… Sembrano invocazioni per suscitare cose immaginarie, farle esistere per pochi istanti prima che si ritraggano dal cerchio magico”.
Questo è (quasi) l’incipit de L’amante senza fissa dimora di Fruttero&Lucentini uscito nel 1986, che a Venezia è ambientato e in quella specifica, dettagliata, inequivocabile città la storia per forza vive. Venezia è una città che come Parigi, Londra, il Colosseo, le Piramidi ha un nome nelle varie lingue del mondo: è qualcosa d’immaginato prima ancora di essere vissuto.
Venezia quindi è un rischio. Soprattutto per un narratore.
Esserci nati, a Venezia – e prima o poi uno scrittore ambienta i suoi romanzi lì dove vive o è vissuto, perché scrive di quello che s’inventa attraverso ciò che gli è prossimo –, si rivela una sfida non trascurabile. Perché lei, Venezia, t’investe di un’aspettativa.
Cos’è Venezia? Domanda indicibile, risposta impronunciabile: “Venezia è un pesce. Guardala su una carta geografica. Assomiglia a una sogliola colossale distesa sul fondo, o a un’orata che guizza su un’onda. Come mai questo animale prodigioso ha risalito l’Adriatico ed è venuto a rintanarsi proprio qui? Poteva scorrazzare ancora, fare scalo un po’ dappertutto, secondo l’estro; migrare, viaggiare, spassarsela come le è sempre piaciuto: questo fine settimana in Dalmazia, dopodomani a Istanbul, l’estate prossima a Cipro. Se si è ancorata da queste parti, un motivo ci dev’essere. I salmoni si sfiancano controcorrente, si arrampicano sulle cascate per andare a fare l’amore in montagna. Balene, sirene e polene vanno a morire nel Mar dei Sargassi”.
Sfida vinta. Da Tiziano Scarpa (“nato a Venezia nel 1963” si legge sulla seconda di copertina) che i conti con l’isola li fa trattandola come una qualunque – si fa per dire – e di lei espressamente scrive e riscrive, vent’anni dopo, nel 2020, Venezia è un pesce che questa volta porta il sottotitolo di “una guida nuova” (ma anche in una serie di romanzi).
“Gli altri libri sorriderebbero di quel che ti sto dicendo – prosegue rivolto al lettore – Ti raccontano la nascita dal nulla della città, la sua strepitosa fortuna commerciale e militare, la decadenza: fiabe”. Ecco cosa c’è da fare con Venezia. Non farsi ingannare.
Fin nel suo progetto originario, Tiziano Scarpa attraversa i sestieri attraverso le parti del corpo come fossero temi, spunti, occhiali, mezzi percipienti con cui esperire ciò che una città è stata ed è, per chi ci si trova in mezzo.
Piedi.
Gambe.
Mani.
Volto.
Orecchie.
Bocca.
Naso.
Occhi.
Pelle.
Scarpa guida il lettore come il suo mestiere di scrittore gl’insegna: raccontando. Lui ch’è romanziere, poeta, e pure appassionato studioso della lingua, in questa "guida" (ch’è davvero nuova) mette insieme tutte informazioni che ha solo chi, quasi, non sa d’averle, o per costruzione l'ha dimenticato.
Masanéte, folpi, ombre, cichéti, bacàri, brìcole, maségni e sotopòrteghi, un muro di gomme americane attaccate sopra un ponte, la turista che mette in piedi nell’acqua alta: Scarpa non finisce mai di vedere, in questa riscrittura d’esperienza, e poi, etimologicamente, a tradire.
Segue il viaggio una lista, inesausta, di libri altri e di testi – non solo suoi – che dell’isola restituiscono l’esperienza.
“Dire qualcos’altro su Venezia è già di per sé un tema […] Proprio perché è già stato detto tutto, qualunque altra cosa si dica su di lei si collocherà in un oltre del discorso”, scrive.
Che è anche, innegabilmente, il suo. Quell’oltre che è qui e, senza tema di stereotipi, Scarpa, per fortuna, ci porge all’orecchio.