CULTURA

I viaggi di Zavattini: geografie di pace e cultura

Francia, Spagna, Messico, Cuba, Argentina, Stati Uniti, Est Europa, Africa. Cesare Zavattini era quello che oggi chiameremmo un globetrotter. Viaggiava, esplorava, sviluppava idee, costruiva relazioni, e tutto questo senza conoscere le lingue straniere. Era cittadino del mondo, ambasciatore di pace, cinema e cultura. Sceneggiatore, icona del cinema neorealista, scrittore, giornalista, fumettista, uomo dal forte impegno sociale e politico, nato a Luzzara, paese della bassa reggiana, il 20 settembre 1902, Cesare Zavattini moriva il 13 ottobre 1989, a Roma (ma è sepolto nella sua Luzzara). 

Nel trentennale della scomparsa, a Palazzo da Mosto, a Reggio Emilia, la mostra Cesare Zavattini, oltre i confini. Un protagonista della cultura internazionale (fino al primo marzo) svela la sua vocazione di instancabile viaggiatore, la sua fame di conoscenza e scoperta, il suo desiderio di relazione, incontro e confronto con persone e culture. Lettere, soggetti, sceneggiature, fumetti, libri, annotazioni, fotografie, quadri, manifesti e oggetti personali raccontano  "Za" da un punto di vista insolito.

Si parte dal fiume Po, dalla sua terra natale, dall'Emilia Romagna fotografata negli anni Sessanta da William Zanca, e da lì ci si mette in viaggio, senza fretta: si attraversano Paesi, territori di esperienza e memoria costellati di persone, idee e progetti, come quello per il film mai realizzato su Van Gogh, artista tanto amato da Zavattini.

E ancora, si esplorano relazioni e si scoprono storie poco note, grazie alle fotografie ma soprattutto alle lettere scritte al padre di Anna Frank e a Gabriel Garcia Marquez, conosciuto a Roma negli anni Cinquanta, piccoli gioielli dall'Archivio Zavattini, pezzi per veri appassionati. "Già da allora parlavamo quasi tanto come adesso del cinema che bisognava fare in Sudamerica e di come bisognava farlo, e i nostri pensieri erano ispirati al Neorealismo italiano, che è - come dovrebbe essere il nostro - il cinema con meno risorse e il più umano che sia mai stato fatto", diceva Gabriel Garcia Marquez, il 4 dicembre 1986 all'Avana, in occasione dell'inaugurazione della scuola di cinema intitolata a Zavattini. Tra i due c'era un legame: Zavattini aveva infatti esercitato una profonda influenza sull'opera letteraria di Gabo, a partire da Cent'anni di solitudine che Gabo stesso dichiarò essere ispirato a Miracolo a Milano, film scritto da Zavattini e diretto da De Sica, vincitore nel 1951 del Gran Prix du festival di Cannes, e visto al cinema dallo scrittore nel 1955, insieme a Fernando Birri.

Sono esposti, poi, i suoi oggetti personali: la macchina da scrivere, fedele compagna di una intera vita, l'inconfondibile basco, i documenti e la borsa da viaggio si riescono a immaginare ancora tra le sue mani. Si ha la sensazione di curiosare tra le stanze private di Za e, al tempo stesso, di viaggiare insieme a lui, nel mondo.

Sul mio tavolo ho Cento anni di solitudine. Appena l'avrò finito le scriverò Dalla lettera di Zavattini a Garcia Marquez - Roma, 12 dicembre 1982
Non ho attraversato l'Atlantico per vendere l'anima o in cerca di lavoro Cesare Zavattini negli Stati Uniti

Non deve essere stato facile allestire una mostra del genere, qui le opere d'arte sono quasi tutte scritte: carte originali, dattiloscritte e manoscritte, annotazioni autografe. Per chi scrive e per chi si occupa di cinema, Zavattini è ancora oggi un punto di riferimento, un maestro, ed è quindi davvero preziosa l'occasione di incontrarlo e approfondire la sua lezione, ricordando le esperienze più note, i capolavori cinematografi realizzati con Vittorio De Sica - da Sciuscià (1946) a Ladri di biciclette (1948), da Miracolo a Milano (1951) a Umberto D. (1952) -, ma spingendo lo sguardo più in là, battendo strade nuove, indagandone la dimensione internazionale. 

La mostra di Reggio Emilia, curata da Alberto Ferraboschi dell'Archivio Zavattini, è il risultato di un lavoro collettivo di ricerca che ha richiesto competenze e specializzazioni diversificate: per realizzare il progetto espositivo sono stati infatti coinvolti studiosi afferenti a centri di ricerca italiani e stranieri, in buona parte membri del comitato scientifico dell’Archivio Zavattini.

Il gruppo di lavoro ha svolto un lavoro di scavo documentario durato quasi due anni su fonti di prima mano, conservate principalmente nell'archivio di Reggio Emilia, attuando ricerche approfondite, originali e inedite. Spiega Ferraboschi: "L’opera di Zavattini fuori dall’Italia è stata rilevante, sviluppando un’estesa rete di scambi e conoscenze specialmente verso gli ambienti culturali ibero-americani, Spagna, Cuba, Messico e Argentina, e dell’Europa orientale, Ungheria, Romania, Cecoslovacchia, Yugoslavia, Unione Sovietica, ma anche in area anglosassone, Gran Bretagna e Stati Uniti, così come in altri contesti europei, Francia, Germania, Svizzera, Svezia, Austria, ed extraeuropei, tra cui il continente africano, dove si recò per realizzare progetti e collaborazioni, soprattutto, ma non solo, in ambito cinematografico. Sebbene il profilo transnazionale di Zavattini rappresenti un dato ormai largamente acquisito all’interno della cospicua letteratura dedicata allo scrittore emiliano, mancava ancora una ricognizione organica sull’impegno internazionale dell’autore luzzarese".

In chiusura del percorso espositivo, 150 minuscoli quadri provenienti dalla Pinacoteca di Brera di Milano occupano un'intera parete dell'ultima sala, la stessa che accoglie gli scatti inediti di Gianni Berengo Gardin, realizzati in occasione del lavoro dedicato alla Luzzara di Zavattini e contenuto nel libro fotografico Un paese vent’anni dopo, pubblicato da Einaudi nel 1976.

I quadretti di piccole dimensioni (8 x 10 cm) sono parte di una incredibile collezione (la cosiddetta Collezione minima) che ne conta ben 1500. Stimolato da un piccolo dipinto di Campigli, donatogli dall’amico Raffaele Carrieri, nel 1941 Zavattini inizia a chiedere ai più importanti pittori, artisti e intellettuali del Novecento di realizzare, per lui, una serie di autoritratti di dimensione ridotta. E, piano piano, quei preziosi autoritratti iniziano a riempire le pareti della sua casa romana. In mostra, ora, tra gli altri, si possono ammirare le opere di Giacomo Balla, Antonio Ligabue, Alberto Burri, Enrico Baj, Renato Guttuso, Giorgio De Chirico, Lucio Fontana, Fausto Melotti, Bruno Munari, Claudio Parmiggiani, Gillo Dorfles, Diego Rivera, David Alfaro Siqueiros, Mario Sironi, Alberto Magnelli, Pietro Consagra, Roberto Crippa, Tullio Pericoli, Fortunato Depero, Filippo De Pisis, Gianni Dova, Michelangelo Pistoletto, Mimmo Rotella.

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