CULTURA

Welcome Venice, la città che cerca di non affondare sotto il turismo di massa

Welcome Venice. Benvenuti a Venezia. È così che il regista e documentarista Andrea Segre intitola il suo ultimo film uscito nelle sale dei cinema ai primi di settembre. Ed è così che sentiamo dire quando mettiamo piede a Venezia per la prima volta. Perché qui non si parla italiano: o inglese, o un’altra qualsiasi lingua straniera, o dialetto.

Che si passeggi per le calli, che si sosti in un campiello o si attraversi un sotoportego, non c’è perciò da stupirsi se non riusciamo a comprendere che stralci di conversazione. Ed è forse proprio perché non c’è una lingua che vada bene per tutti che la città è frammentata e divisa così come lo sono i due fratelli protagonisti della vicenda di questo film evocativo e paradigmatico: uno, Pietro, interpretato da Paolo Pierobon, parla la lingua della tradizione, dei valori che hanno radici profonde quanto le palafitte su cui si regge l’intera città; l’altro, Alvise, a cui presta il suo volto Andrea Pennacchi, parla una lingua completamente diversa: quella del profitto, rimanendo così sordo alle parole del fratello. È l’inizio di un corpo a corpo in cui il vincitore è colui che saprà rimanere a galla. Le acque in cui si naviga in questo film, infatti, sono sì quelle tangibili della laguna, ma sono anche quelle più vaste e insondabili del mercato turistico che fa di molte città non un posto dove vivere ma una merce di consumo.

La lotta fra Pietro e Alvise non appartiene soltanto a loro perché è la lotta di un’intera città. Ma lontano dal voler essere l’eroe della situazione, Piero è più simile ad un antieroe. Nei tre film (Il Gladiatore, La Grande Guerra, Spartaco) che lui racconta nelle mattine di lavoro ai suoi colleghi, i protagonisti sono figure che, pur schiacciate da un potere più forte di loro, si consentono di reagire: personaggi quindi che riflettono la sua condizione. “Piero non è un “militante” consapevole – ci spiega Andrea Segre, regista del film -  è semplicemente una persona che si ritrova a vivere in una certa situazione e istintivamente gli viene da dire qualcosa”, di non rimanere in silenzio ma di ribattere in qualche modo. Il suo mondo e la sua realtà, come quella dei protagonisti dei film che lui guarda la sera, da solo a casa, sono messe in pericolo da un’economia che non gira in suo favore: Piero fa il moecante. Si tratta di pescatori dediti alla raccolta di piccoli granchi di laguna, in dialetto moeche. La particolarità di questi granchi, oltre alla loro esclusività regionale veneta che li ha resi oggi presidio Slow Food, è quella di essere pescati in determinati periodi dell’anno durante la fase di muta del carapace. Perciò, nel film, se da un lato il mestiere del moecante si fa emblema delle attività economiche tipiche dell’ambiente lagunare, le moeche sono simbolo di trasformazione. “Quando siamo entrati in contatto con le possibili storie da raccontare nel nostro film – spiega Andrea Segre – abbiamo incontrato una famiglia di moecanti della Giudecca, abbiamo capito in cosa consiste il loro lavoro e abbiamo visto i luoghi dove lavorano: le barene a sud di Venezia, verso Fusina e Malcontenta. Lì, abbiamo capito che c’era una forza estetica e paesaggistica e anche metaforica di questo mestiere che ci avrebbe permesso di sviluppare il film non soltanto da un punto di vista sociologico ma anche da un punto di vista narrativo ed estetico”.

Terreni tipici della zona lagunare periodicamente sommersi dalle maree ed ecosistemi molto complessi, le barene offrono degli scenari unici per una fotografia luminosa e aldilà del tempo ma, per chi conosce i luoghi, ben radicata nello spazio. Le barene e la laguna inoltre sono proprio la culla originaria della Venezia che oggi tutti conosciamo e che richiama a sé ogni anno un numero molto elevato di turisti. Ma, come ripete spesso Piero: “I turisti magari no i torna ma i gransi ghe sarà sempre” espressione dialettale che parafrasata vuol dire “i turisti magari non ritorneranno ma i granchi ci saranno sempre”. Dal carattere estremamente aforismatico, questa frase costituisce un passaggio chiave all’interno della pellicola. “A volte nei film, come nella vita, si dicono delle frasi anche senza razionalizzarne il significato – commenta Andrea Segre – questa frase ci sembrava forte perché fa pensare al fatto che in realtà quest’economia, così marcatamente turistica, abbia qualcosa di innaturale e di transitorio. C’è una sensazione di disagio e questa frase la esprime; la sua pretesa quindi non è quella di offrire una soluzione quanto piuttosto quella di racchiudere una ricerca di senso”.  Ma perché proprio il moecante? Perché proprio Venezia? Oggi innumerevoli città d’arte, italiane e non, sono affollate da ammassi sempre crescenti di turisti che ne modificano la rotta economica. “Perché ho frequentato e frequento la laguna da sempre – spiega Andrea Segre - da bambino andavo tutte le settimane a trovare mia nonna a Venezia e mio padre è cresciuto lì. Io sono cresciuto tra Chioggia, Padova e Venezia e ho visto in questi anni la trasformazione della città dove prima c’erano più cittadini e meno turisti. E poi – continua – Venezia è molto raccontata dal cinema, meno lo sono i veneziani e la loro vita, specie nei quartieri più popolari come Giudecca o Castello. È per questo che avevo voglia di costruire un film che non fosse l’ennesimo in cui viene mostrata soltanto la Venezia da cartolina”.

Intervista ad Andrea Segre, servizio di Caterina Carradori

Nel ritratto che questo film ci lascia, Venezia viene mostrata sotto una prospettiva diversa. La sua geografia è lo specchio della sua anima: pesca nelle barene e turismo, laguna e terraferma, ritmo lento e veloce costituiscono i poli entro cui si svolge la vita a Venezia. Un profilo di città si stende a perdita d’occhio sulla superficie dell’acqua con picchi di guglie e campanili; e solo se la giornata è particolarmente tersa, con flebili creste di montagne. Intorno solo acqua, acqua salmastra. C’è un continuo via vai di gente e di imbarcazioni e il moto perpetuo generato dal loro passaggio non disturba la città ma anzi sembra sorreggerla. Garantisce che non affondi. O forse no? Benvenuti a Venezia.

Tralier del film Welcome Venice

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