SOCIETÀ

La spesa militare nel mondo ha raggiunto il 2,2% del suo prodotto interno lordo

Nel 2017 la spesa militare mondiale ha raggiunto i 1.739 miliardi di dollari, cioè il livello più alto dal post Guerra Fredda. Ragionando per PIL vediamo come questa tipologia di spesa abbia raggiunto il 2,2% del prodotto interno lordo mondiale. A riportarlo un report del Sipri, cioè l’istituto internazionale indipendente impegnato in ricerche sugli armamenti. Il Sipri ha messo in luce come ci siano paesi, come gli Stati Uniti, che da soli spendono 610 miliardi di dollari (3,1% del loro PIL) in armamenti, che significa più del totale degli altri 7 stati che spendono di più al mondo. In percentuale però, gli USA non sono il paese più “spendaccione”. La Russia infatti impiega il 4,3% del proprio prodotto interno lordo in armamenti militari, con una spesa complessiva di poco superiore ai 66 miliardi di dollari.

Il Paese che dal 2016 al 2017 ha accresciuto di più la sua spesa militare invece è la Cina che nel 2017 ha stanziato circa 228 miliardi di dollari per le sue forze armate, con un aumento del 5,6% rispetto all’anno precedente. L’Arabia Saudita infine è il terzo paese per spesa militare, con 69,4 miliardi di dollari.

I conflitti nel mondo

Il 2017 è stato un anno di conflitti che, a differenza del passato, si sono concentrati più spesso su aree urbane. Nei primi 11 mesi del 2017 sono stati 15.399 i civili sono morti a causa di armi esplosive.

Un effetto secondario delle guerre è anche quello di far aumentare l’insicurezza alimentare, e nel 2017 ci sono stati sette paesi che hanno registrato livelli di crisi o di emergenza per almeno un quarto della loro popolazione: Afghanistan, Repubblica Centrafricana, Libano, Somalia, Sud Sudan, Siria e Yemen.

Le guerre attive nel solo Medio Oriente e Nord Africa nell’anno preso in considerazione dal report sono state sette: in Egitto, Iraq, Israele e Palestina, Libia, Siria, Turchia e Yemen.

Ci sono poi i paesi dell’Africa subsahariana come Mali, Nigeria, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Somalia e Sud Sudan in cui sono presenti dei conflitti. In altri invece nel 2017 ci sono state tensioni post belliche (Burundi, Camerun, Gambia, Kenya, Lesotho, Sudan e Zimbabwe) oltre la fatto che, come dichiarato dal report, “in Africa sembra esserci una crescente internazionalizzazione delle attività di contrasto al terrorismo, organizzata in particolar modo da Francia e USA”.

Ci sono poi i paesi che le armi le esportano che, nel quinquennio 2013-17, hanno aumentato i loro volumi del 10% rispetto al periodo precedente.

Sono 5 i maggiori fornitori d’armi al mondo (Usa, Russia, Francia, Germania e Cina) e rappresentano il 74% di tutte le esportazioni.

Dal 1950 in poi Stati Uniti e Russia (o URSS prima del 1992) sono stati i due paesi che di fatto hanno monopolizzato il traffico d’armi, seguiti da quelli dell’Europa occidentale.

Se qualcuno le esporta però significa che qualcun altro le importa e gli stati che si classificano tra i maggiori importatori di armi sono: India, Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi Uniti e Cina, che insieme rappresentano il 35 per cento delle importazioni totali.  

Un flusso, quello delle armi, che ha visto nel quinquennio 2013-17 un aumento delle importazioni del 103% rispetto al periodo precedente da parte del Medio Oriente.

La spesa militare vale il 2,2% del prodotto interno lordo mondiale

Un altro tasto dolente è sicuramente quello della trasparenza nei trasferimenti delle armi. Esiste un trattato internazionale, denominato Arms Trade Treaty (ATT), che di fatto ha l’obiettivo di migliorare la regolamentazione del commercio di armi convenzionali e prevenire il traffico illecito delle stesse.

L’ATT è un trattato votato dall’Assemblea Generale dell’ONU il 2 aprile 2013 ed entrato in vigore il 24 dicembre 2014 che stabilisce dei criteri per l’autorizzazione (o proibizione) di trasferimenti di armi convenzionali. Ad oggi il trattato conta 96 Stati che ne fanno parte. L’Italia ha ratificato il trattato nel settembre 2013 ed è stata il primo paese dell’Unione Europea a farlo.

La maggior parte degli stati che hanno ratificato il trattato sul commercio di armi del 2013 hanno adempiuto all’obbligo di comunicare le esportazioni e importazioni di armi ma, anche nel 2017, si sono registrati pochi sviluppi positivi per quanto riguarda la trasparenza nei trasferimenti di armi. “Il numero di stati che hanno comunicato le proprie importazioni ed esportazioni al Registro ONU delle armi convenzionali ha raggiunto i minimi storici - riporta il report SIPRI - e non si sono verificati cambiamenti di rilievo per quanto riguarda i vari meccanismi di notifica nazionali o regionali”.

Arsenali nucleari

Sono nove gli stati che ad inizio 2018 avevano a disposizione delle testate nucleari. USA, Russia, Regno Unito, Francia, Cina, India, Pakistan, Israele e Repubblica Popolare Democratica di Corea (o Corea del Nord) disponevano di circa 14.465 testate nucleari, di cui 3.750 dispiegate e operative. Di queste, riporta il SIPRI, circa 2.000 sono tenute in stato di elevata prontezza.

Il numero di testate nucleari però continua a diminuire, in particolar modo per il fatto che USA e Russia, che dispongono da sole il 92% delle armi nucleari al mondo, stanno riducendo il loro arsenale.

Questi naturalmente sono dati di cui si conosce la fonte, purtroppo la trasparenza su questo tema non è affatto totale. A questo quadro si devono aggiungere anche i test nucleari effettuati nel 2018 dalla Corea del Nord, test che hanno portato a 2058 il numero totale di esplosioni nucleari registrate in tutto il mondo dal 1945.

Per quanto riguarda le armi nucleari esistono due principali trattati internazionali: il New START e il Treaty on the Prohibition of Nuclear Weapons, TPNW.

Il primo è stato sottoscritto l’8 aprile 2010 a Praga da Stati Uniti e Russia. L’acronimo significa New STrategic Arms Reduction Treaty e pone dei limiti all’armamento.

La firma dei presidenti Obama e Medvedev infatti fissa a 1.550 il limite tra testate e bombe nucleari, a 800 i vettori nucleari tra missili balistici Intercontinentali, sottomarini nucleari lanciamissili e bombardieri pesanti e a massimo 700 la disponibilità di vettori nucleari tra missili balistici intercontinentali, sottomarini nucleari lanciamissili e bombardieri pesanti contemporaneamente operativi. La Russia ha condiviso con gli USA la composizione dei suoi armamenti nucleari ma non ne ha mai riferito pubblicamente.

Il secondo invece, cioè il TPNW, detto anche trattato per la proibizione delle armi nucleari, è il primo vero trattato legalmente vincolante. L’obiettivo è quello di eliminare del tutto le armi nucleari e di fatto ripropone alcuni elementi che già erano stati introdotti da un trattato del 1986 chiamato Non­Proliferation Treaty (NPT) e mai realmente applicato dai paesi che dispongono di un arsenale nucleare.

Anche il TPNW per ora non è entrato in vigore in quanto entrerà 90 giorni dopo il deposito del cinquantesimo strumento di ratifica (ad oggi sono 19).

 

Che cos’è il Sipri

Il SIPRI è un istituto internazionale indipendente impegnato in ricerche su conflitto, armamenti, loro controllo e disarmo. Creato nel 1966, il SIPRI fornisce dati, analisi e raccomandazioni basate su fonti aperte a politici, ricercatori, media e pubblico.

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