SCIENZA E RICERCA

Trapianto di cuore: una nuova frontiera

Ad attendere il trapianto di cuore al Papworth Hospital a Cambridge era Huseyin Ulucan, un uomo sulla sessantina. Fin qui nulla di insolito, uno tra i molti in lista d’attesa. Più insolito fu invece che il cuore in arrivo si fosse fermato per più di 10 minuti nel petto del donatore. Merito di Stephen Large e del suo gruppo, primi in Europa, aver riavviato il battito cardiaco e consentito il trapianto.

Large spiega che il risultato ha avuto una lunga gestazione. Era il 2008 quando per la prima volta il chirurgo e la sua équipe riuscivano a ristabilire le funzioni cardiache in un cuore che aveva smesso di battere dopo un arresto cardiorespiratorio. Allora il corpo era quello di una donna deceduta a 57 anni e la tecnica la “perfusione normotermica regionale”. In pratica era stata utilizzata una pompa (un sistema di circolazione extracorporea) che irrorava con sangue e sostanze nutritive gli organi ancora all’interno del corpo destinati al trapianto. “Nel recente intervento siamo ricorsi alla stessa tecnica. Il lasso di tempo intercorso tra l’arresto del battito cardiaco e la dichiarazione di morte fu di cinque minuti (come previsto in Inghilterra Ndr). Nei sei minuti successivi abbiamo ristabilito l’afflusso di sangue al cuore, che riprese il battito normale nell’arco di altri cinque minuti”. Per 11 minuti, dunque, il cuore aveva cessato di battere. Dopo quasi un’ora di irrorazione sanguigna, l’organo fu staccato dalla pompa meccanica, sottoposto a valutazione di funzionalità e trasferito in un dispositivo (l’“organ care system”) per il trasporto del cuore al destinatario del trapianto. Un macchinario che consentì di continuare la perfusione per circa due ore e mezza.  

Large osserva che nel Regno Unito le richieste di trapianto cardiaco sono almeno 750 all’anno e i pazienti su cui si riesce a intervenire sono solo circa 150. Il nuovo metodo potrebbe permettere di utilizzare una ulteriore cinquantina di cuori da donatori da morte cardiaca all’anno. 

Un’occasione anche per l’Italia? Nel nostro Paese, secondo il Centro nazionale trapianti, le donazioni e i trapianti sono in generale aumento. Nel 2014 dei 719 pazienti iscritti in lista di attesa per un cuore, 226 hanno ricevuto un trapianto (sui 348 usciti dalla lista). “Quanto a numero di donatori – sottolinea anche Gino Gerosa, direttore del Centro di Cardiochirurgia “V. Gallucci” di Padova – l’Italia è ai primi posti in Europa. Ad essere cambiato nel tempo è il profilo anagrafico e clinico dei donatori. Oggi sono più anziani e con un cuore più malandato e ciò in molti casi impedisce l’utilizzo dell’organo per il trapianto. Un intervento come quello eseguito in Inghilterra è estremamente interessante, perché costituisce un metodo alternativo per ampliare il numero di donatori”. Il docente spiega che un tempo il donatore tipico era molto giovane, con un’età compresa tra i 18 e i 20 anni, che andava incontro a morte cerebrale per trauma cranico, spesso in incidenti motociclistici. Oggi con l’uso del casco questi donatori sono scomparsi e sono stati sostituiti da individui più adulti, tra i 50 e i 60 anni, che muoiono di ischemia o emorragia cerebrale. In questi casi però ipertensione e diabete, ad esempio, sono tra i fattori di rischio e possono indurre malattie coronariche impedendo di utilizzare l’organo per il trapianto. Data la situazione, negli anni sono stati sviluppati sistemi di assistenza al circolo come i cuori artificiali e, ora, la donazione a cuore fermo può costituire una ulteriore possibilità. 

Nel nostro Paese, però, esistono ancora degli ostacoli per poterne beneficiare. Se infatti la certificazione di morte cardiaca in molti Stati europei avviene con la registrazione di un elettrocardiogramma piatto per cinque minuti, in Italia questo limite temporale è fissato a 20 minuti. Solo poi si possono prelevare gli organi. “Il tempo che trascorre per determinare la morte cardiaca – argomenta Gerosa – e cioè 20 minuti, determina un danno talmente irreversibile che diventa quasi impossibile riportare il cuore a una buona funzionalità e dunque adottare il metodo usato nel Regno Unito. E se la legislazione attuale non viene modificata non si può fare altrimenti”. Il docente spiega che più breve è l’arco temporale in cui il cuore rimane fermo e migliori saranno le sue condizioni. Si deve considerare infatti che non si può sostituire un cuore malandato con un organo che non sia perfettamente funzionante. 

Se in Italia dunque la normativa pone ancora dei vincoli, il nuovo metodo può tuttavia costituire una possibilità in caso di trapianto di reni o di polmoni. Nel novembre del 2014 è stato eseguito a Milano il primo trapianto di polmone proprio da donatore a cuore fermo e al policlinico “S. Matteo” di Pavia dal 2007 esiste un programma di prelievo di reni sempre da donatore a cuore fermo. Possibilità che in questo momento si stanno valutando anche in Veneto.

Il trapianto inglese non è il primo a livello mondiale. Lo scorso anno infatti al Vincent’s Hospital di Sidney è stato adottato lo stesso metodo. I primi passi, a questo punto, sono stati mossi.

Monica Panetto

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