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In Salute. Fegato: il futuro dei trapianti è fuori dal corpo

Il 2024 è stato un anno da record per donazioni e trapianti in Italia. Le donazioni effettive sono state 2.110, con una crescita del 2,7% rispetto al 2023, mentre le segnalazioni di potenziali donatori arrivate dalle rianimazioni sono state 3.192, con un aumento del 3,2%. Questo ha consentito di effettuare 4.692 trapianti, 226 in più dello scorso anno. I trapianti di cuore e di rene hanno registrato l’incremento maggiore, rispettivamente del 13% e del 6,6% rispetto al 2023. In aumento dell’1,8% anche i trapianti di fegato che sono stati complessivamente 1.732. Il trend complessivo dunque è positivo, anche se le persone in lista d'attesa sono molte e i tempi necessari per arrivare all'intervento rimangono dilatati. 

Dopo aver parlato di trapianto di cuore con Gino Gerosa, ci concentriamo ora sui trapianti di fegato con Umberto Cillo, direttore dell’unità operativa complessa di Chirurgia epatobiliopancreatica e dei trapianti di fegato dell’azienda ospedale-università di Padova. Partendo dalle ragioni che rendono necessario un intervento di questo tipo, abbiamo approfondito i progressi scientifici realizzati nel corso del tempo anche per rispondere alla carenza di organi, fino ad arrivare alle nuove frontiere della ricerca, con uno sguardo rivolto alle prospettive future.

Quando un trapianto di fegato

“Le ragioni che richiedono un trapianto di fegato sono molte – spiega Cillo –. Spesso si crede che sia necessario solo in presenza di cirrosi da alcol, ma in realtà questa rappresenta meno del 20% dei casi. Oggi la gran parte delle indicazioni al trapianto è di tipo oncologico, e l’epatocarcinoma occupa un posto di rilievo. Sono entrate però in maniera preponderante tra le indicazioni anche le metastasi al fegato da tumore del colon e il colangiocarcinoma”. Il docente afferma che circa il 50% degli interventi è dovuto a questi tre quadri clinici.

Sono invece meno frequenti i trapianti dovuti a cirrosi virale, da epatite B e C, e in crescita quelli legati a forme di cirrosi da steatosi epatica, una patologia che porta all'accumulo di grasso nel fegato. “Il panorama quindi è molto vario e chiaramente bisogna aggiustare le procedure a ognuna di queste indicazioni”. 

Se queste sono le necessità,  oggi purtroppo le donazioni non sono sufficienti. Cillo spiega che, nonostante l’Italia sia il secondo Paese in Europa per numero di donazioni e il primo al mondo per capacità di estrarre fegati da impiantare, rimane ancora uno scarto tra richiesta di trapianto e disponibilità di organi. “Oggi in Italia sono circa 1700 le persone in attesa di un organo, ma persiste un problema di referral: i medici di medicina generale, in parte gli oncologi e alcuni degli epatologi del territorio riferiscono tardi o non riferiscono ai centri trapianto le necessità di questi pazienti”. Che dunque, pur avendo bisogno di un trapianto, non accedono alle strutture preposte.  

Dai pionieri alle conquiste più recenti

Da quando Thomas E. Starzl eseguì il primo trapianto di fegato al mondo, a Denver nel 1963, i progressi compiuti sono stati molti. Nel 1976 Jean-Francois Borel, un microbiologo e immunologo belga, scoprì la ciclosporina, un farmaco con forti proprietà antirigetto che sarebbe diventato fondamentale in questo campo. Nel nostro Paese il primo trapianto di fegato fu eseguito nel 1982 da Raffaello Cortesini con la sua équipe al Policlinico Umberto I a Roma, e a Padova da Davide D’Amico.

“Una delle evoluzioni storiche più importanti – sottolinea Cillo – è stata sicuramente l'introduzione della donazione a cuore fermo”. I donatori in morte cerebrale sono stati a lungo una risorsa importante, ma col tempo i medici hanno iniziato a considerare anche donatori in morte cardiaca. In Italia questa possibilità appariva quasi ai limiti dell’impossibile, dato che la legislazione prevede la registrazione continua, per almeno 20 minuti, di un elettrocardiogramma piatto per la certificazione di morte. Si trattava di un intervallo di tempo molto più lungo rispetto a quello richiesto in altri Paesi, e si riteneva che potesse compromettere la funzionalità di organi come fegato, polmoni e cuore, rendendoli inadatti al trapianto. Alla fine, tuttavia, l’obiettivo fu raggiunto.

Se al King’s College Hospital di Londra  già dai primi anni 2000 Paolo Muiesan iniziava un programma di trapianto di fegato con organi prelevati da donatori a cuore non battente, nel nostro Paese, si dovette attendere il 2015: all'ospedale San Matteo di Pavia, dopo l’impiego di particolari tecniche di circolazione extracorporea per la perfusione e l'ossigenazione post-mortem degli organi addominali, attivata dopo i 20 minuti di arresto cardiaco, il fegato fu prelevato e trapiantato in un paziente all’ospedale di Niguarda. 

“Oggi in Italia le donazioni a cuore fermo – argomenta Cillo – stanno contribuendo a far aumentare in modo importante le possibilità di trapianto: se nel 2024 i donatori a cuore fermo erano 440, nel 2025 sono saliti a 850”.  

Anche la donazione di fegato da vivente costituisce un’opportunità significativa. La prima donazione di questo tipo in Italia è stata eseguita a Padova nel 1997. “Un individuo sano può donare fino al 65% del suo fegato (circa 900 grammi, ndr): la porzione dell’organo donato, in termini di massa e funzione, deve essere sufficiente a sostenere il metabolismo del ricevente. Contrariamente a cuore, rene e polmone, non esistono macchinari di supporto, quindi il fegato deve essere funzionante fin dal primo momento e capace di sostenere la vita. È chiaro che la donazione da vivente è un intervento molto importante, e in Italia rimane contenuta sotto il 2-3% del totale, perché gli stessi riceventi non vogliono mettere potenzialmente a rischio la vita di un familiare, e dunque preferiscono attendere una donazione da cadavere”.  

Nuove tecniche di trapianto per aumentare le possibilità

Per incrementare le risorse disponibili per la donazione sono state messe a punto tecniche di vario tipo. Cillo si sofferma su alcune di queste. “Il fegato è molto duttile, è un organo che rigenera con una velocità straordinaria: in 15 giorni il volume raddoppia. Tenendo conto di questa caratteristica fondamentale abbiamo sviluppato innanzitutto lo Split Liver: ogni fegato di persona deceduta al di sotto dei 50 anni in Italia viene prima proposto alla lista pediatrica, perché viene diviso in due parti non uguali. La parte più piccola viene riservata a un ricevente pediatrico, un bimbo o una bimba di uno o due anni, ai quali basta dunque solo un frammento. La porzione maggiore, invece, viene impiantata in un ricevente adulto”. Questa tecnica permette evidentemente di raddoppiare le possibilità di donazione e trapianto

Il Dual Liver Transplantation è invece un altro tipo di intervento eseguito per la prima volta in Italia nel 2023, dal gruppo di Cillo: la procedura in questo caso prevede l’asportazione del lobo sinistro, cioè il 25% del fegato, da due donatori viventi. Le due porzioni dell’organo vengono impiantate in un solo ricevente e, nel corpo dei donatori, sono in grado di rigenerarsi completamente nel giro di quattro settimane, con un bassissimo rischio di complicanze. Nel caso specifico la donazione è stata fatta da due fratelli, nipoti della paziente. “Mentre da una parte i donatori vengono sottoposti a un intervento semplice e non invasivo, per il ricevente la tecnica è molto complessa, perché si tratta di mettere insieme le porzioni di due organi, una delle quali viene addirittura capovolta in condizioni non fisiologiche”. La complessità dell’intervento è dimostrata dal personale coinvolto e dagli strumenti necessari: nel 2023 complessivamente 15 chirurghi, 4 anestesisti, 30 infermieri, 3 sale operatorie in contemporanea e 20 ore di intervento.

Un’altra possibilità è il trapianto con tecnica Rapid (Resection And Partial Liver Segment 2/3 Transplantation With Delayed Total Hepatectomy). Questo protocollo viene utilizzato, per esempio, per il trattamento delle metastasi epatiche da carcinoma colorettale che non possono essere rimosse chirurgicamente. Chi esegue l’intervento asporta una parte del fegato malato dal ricevente per creare spazio, e successivamente impianta una piccola porzione di fegato sano prelevata dal donatore, meno del 20% dell’organo completo. Nei successivi 20-30 giorni, grazie a tecniche che stimolano la rigenerazione, il frammento cresce all’interno dell’organismo fino a raggiungere una dimensione funzionale completa. “Al termine di questo periodo, il fegato malato viene rimosso. In questo modo, riusciamo a offrire un trapianto efficace al paziente senza causare un grande impatto o disagio per il donatore”.

I chirurghi, infine, possono ricorrere anche a tecniche come l’autotrapianto. “Quando il fegato non è operabile, per esempio in presenza di tumori molto estesi, viene rimosso temporaneamente dal corpo. Fuori dall’organismo viene trattato e ‘ripulito’, grazie a speciali macchine da perfusione che ne mantengono la funzionalità. Successivamente, viene reimpiantato nello stesso paziente, proprio come avviene in un normale trapianto”. Questa procedura consente di evitare il ricorso a un organo da donatore e rappresenta un’altra strategia per ampliare la disponibilità di trapianti. Come il Dual Liver Transplantation, anche l’autotrapianto e il trapianto con tecnica Rapid sono stati eseguiti per la prima volta a Padova, rispettivamente nel 2011 e nel 2019. 

Il futuro dei trapianti è fuori dal corpo

Se le tecniche di trapianto descritte sono alcune delle vie che oggi si possono seguire, il futuro sta nella possibilità di intervenire sul fegato malato all’esterno dell’organismo. Un traguardo importante in questa direzione è stato raggiunto nel 2024 dall’équipe di Umberto Cillo che  ha realizzato la perfusione di un fegato espiantato per 17 giorni: l’organo cioè è stato mantenuto in vita fuori dal corpo, attraverso macchinari che lo hanno fornito di ossigeno e nutrimento. Per un periodo così lungo non era mai accaduto. 

Solitamente si è portati a pensare alla terapia per la persona, oggi invece si sta affermando anche la cura dell’organo isolato. Riuscire a conservare il fegato fuori dal corpo in condizioni fisiologiche per un certo periodo di tempo apre nuovi scenari, oggi al vaglio di ricercatori e ricercatrici. 

È in fase di studio, per esempio, la possibilità di eseguire una terapia genica con trasfezione virale che, attraverso l’inserimento di nuovi geni o la soppressione di altri nel fegato, consentirebbe di risolvere il problema del rigetto, dando all’organo l’invisibilità immunologica. Cillo spiega che la perfusione fuori dal corpo potrebbe essere utilizzata anche per trattare determinati tipi di tumore, e successivamente reimpiantare il fegato nel paziente. 

“Sta nascendo una medicina nuova, cioè quella dell'organo fuori dall'organismo, che permetterà anche il drug testing, cioè la valutazione preliminare della funzionalità di alcuni farmaci sui tumori per esempio. Ma consentirà pure lo studio fisiopatologico della rigenerazione del fegato: stiamo pensando di dividere l’organo in due parti, farlo rigenerare in macchina fuori dal corpo, e dopo alcuni giorni, quando il volume è sufficiente, impiantarlo su due differenti riceventi”. 

Conclude il docente: “In linea con questa spinta di ricerca molto avanguardistica, io e Federico Rea (chirurgo toracico e trapiantologo polmonare dell’università di Padova deceduto a luglio 2025, ndr) abbiamo fortemente voluto che all'interno della grande piastra delle sale operatorie del nuovo ospedale di Padova fossero riservati 400 metri quadrati a una terapia intensiva degli organi, in cui infermieri e medici gestiranno fegati, cuori e polmoni prima dell'impianto per migliorarne lo stato, prepararli, e personalizzarli in base al ricevente”. 

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