SOCIETÀ

Bambini e speranze. Nella spazzatura

Daldry  è il regista che ha portato nelle sale il bambino ballerino più conosciuto del mondo, Billy Elliot, capolavoro del cinema britannico da cui è nato anche un musical, e che ci ha regalato nell’ultimo decennio film cult come The Hours, il controverso The Reader – A voce alta, che racconta della storia d’amore tra un’insegnante e un suo studente nella Germania Ovest e il recente Molto forte, Incredibilmente vicino, tratto dall’omonimo romanzo di Foer. Appare chiaro, quindi, lo sforzo del regista di portare sullo schermo sempre e comunque storie importanti, di spessore e sentimento. Trash, presentato anche alla nona edizione del Festival Internazionale del film di Roma, non fa eccezione.

Siamo a Rio de Janeiro, tra le favelas e le baraccopoli della città. Qui vivono Raphael e Gardo, due quattordicenni che ogni mattina si svegliano e vanno a rovistare tra la spazzatura di una discarica locale, racimolando, così, qualche soldo grazie allo smaltimento dei rifiuti. Cosa che a noi può sembrare una esagerazione, ma che, invece, per gli abitanti del Brasile è una realtà, una fonte di sopravvivenza per le comunità povere. Proprio a Rio de Janeiro, dov’è ambientato il film, è esistita per 34 anni, fino alla chiusura nel 2012 per ragioni ambientali, la più grande discarica del mondo, Jardim Gramacho, che offriva lavoro a più di 1.700 persone. In queste discariche a cielo aperto, infatti, lavorano intere famiglie e soprattutto bambini, di età compresa tra i quattro e i 15 anni, i cosiddetti “catadores”, raccoglitori d’immondizia, che non solo passano la maggior parte della giornata sotto il sole cocente a cercare rifiuti da smaltire, ma molto spesso dormono pure tra l’immondizia, unico loro sostentamento, da cui si nutrono con gli avanzi che trovano. Ed è in una di queste discariche che incontriamo i nostri protagonisti, che tra un sonnellino vicino ai rifiuti e un bagno nel fiume di colore pericolosamente marrone, fanno una scoperta che cambierà la loro vita. Raphael, infatti, rovistando tra la spazzatura trova un portafoglio nel quale sono contenuti dei soldi, l’immagine di un santo e la foto di una bambina, dietro cui sono appuntati una serie di numeri. Come prevedibile, decide di tenerselo. Ma l’arrivo della polizia alla ricerca disperata di questo portafoglio fa capire a Raphael di avere in mano qualcosa di più grosso che un semplice oggetto e ben presto, insieme all’amico Gardo e a Rato, un altro bambino della favela, scoprirà che all’interno è nascosta la chiave per svelare i traffici illegali e la corruzione del futuro sindaco della città, il quale farà di tutto per nascondere i suoi illeciti, avvalendosi dell’aiuto della polizia, un’istituzione corrotta, di cui subito i nostri protagonisti fanno ben capire di non nutrire alcuna fiducia. Attraverso  l’avventatezza e la determinazione dei tre giovani protagonisti nello svelare a tutti i costi il mistero che si nasconde dietro al portafoglio, lo spettatore viene catapultato in un viaggio negli angoli più remoti e poveri della Rio de Janeiro di oggi alla ricerca inestimabile della verità.

Un film, che nonostante l’ambientazione Sudamericana, presenta tutta gli ingredienti di una produzione hollywoodiana. La sceneggiatura, affidata a Richard Curtis, la mente che sta dietro a successi come Il diario di Bridget Jones, Quattro matrimoni e un funerale e Notting Hill, riesce a dare un tocco di leggerezza a un tema tragico. Daldry calibra la narrazione tra flashback e flashforward, spezzando di continuo la linea temporale e muovendosi abilmente tra passato, presente e futuro, creando, così, suspense e attesa per il finale, dove si ricostituisce, finalmente, l’unità di tempo. Una tecnica già usata dal regista molto abilmente in The Reader, dove la storia stessa era un incontro tra il passato e il presente del protagonista, Michael Berg.  La scelta di questa tecnica in Trash è, comunque, riuscita perché aiuta a dare dinamicità all’azione già data naturalmente dai tre giovani protagonisti, rendendo il tutto ancora più avventuroso. Il successo e il limite del film sta , dunque, in quest’incontro tra cinema d’autore e produzione hollywoodiana, che crea un prodotto che sta proprio nel mezzo. Non troppo “Indie”, ma neanche contaminato dalle esigenze commerciali delle grandi produzioni cinematografiche. Cosa per nulla negativa, perché rende un film, che tratta di temi delicati, appetibile ad un audience più vasta. Che sia questo il futuro dei film educativi?

La pellicola, dunque, si inserisce in quella nicchia di film/documentari di denuncia della società e dei suoi soprusi che oggi sono molto in voga nelle produzioni in lingua inglese. Basti pensare a The Millionaire film rivelazione del 2008, grande successo di critica e pubblico. Trash ha come sfondo una Rio de Janeiro povera, sporca e soprattutto corrotta, ma il messaggio che Daldry vuole veicolare è, in realtà, un altro. Ed è un messaggio di speranza, coraggio e onestà. Onestà che si può trovare solo nei tre giovani protagonisti, non più innocenti, perché la vita che conducono li obbliga a crescere troppo in fretta, ma neanche sporcati dall’avarizia e dalla crudeltà dei più grandi.

Come spesso ci capita di dimenticare, sono gli adulti a dover imparare dai bambini. Facendo uso di una formula già sperimentata in alcuni dei suoi film, come Billy Elliot, dove il protagonista era un bambino che sognava di diventare ballerino professionista nell’Inghilterra disoccupata degli anni Ottanta della Thatcher, e più da vicino nel recente Molto forte, Incredibilmente vicino, dove il figlio di 11 anni di una vittima dell’attentato alle torri gemelle gira tutta New York alla scoperta di cosa apra la chiave che gli ha lasciato il padre, Daldry affida, ancora una volta, la narrazione a tre piccoli giovani attori. È attraverso i loro occhi che seguiamo lo svolgersi dell’azione, mentre li seguiamo saltare dentro e fuori da un treno in corsa, o da un tetto all’altro delle baraccopoli della città, alla ricerca di quella verità, che troppo spesso si paga a caro prezzo. Ma la loro, per fortuna, è una storia a lieto fine. Come potrebbe esserlo anche la nostra, vuole sottintendere il regista, se solo imparassimo a non dimenticarci dell’importanza dell’onestà. Ancora una volta, insomma, Daldry ci regala un film avventuroso, visivamente stupendo e con quella sensazione, quando lasciamo il cinema, di voler essere un po’ più buoni e coraggiosi.

Camilla Marotta

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