CULTURA

Il cinema e gli esseri umani di Carlo Mazzacurati

Commedia o drammatico? Quando gli chiedevano di definire il suo cinema, per poterlo inserire in un genere specifico, Carlo Mazzacurati rispondeva: "Sono film su esseri umani” e, proprio per questo, nella loro verità, attraversati da risate e lacrime.

Su Il Bo Live una conversazione con Francesco Bonsembiante (Jolefilm), amico e produttore dei suoi Ritratti, dedicati a Mario Rigoni Stern, Andrea Zanzotto, Luigi Meneghello, ora promotore di una serie di iniziative per ricordare il regista e sceneggiatore padovano a dieci anni dalla scomparsa (2014-2024). Alla rassegna diffusa nelle sale cittadine - tra Multiastra, Porto Astra e Lux -, una retrospettiva (in corso) per poter rivedere tutti i suoi lavori, si aggiunge il convegno del 28 maggio nell’Aula magna dell’università di Padova che vedrà la presenza del direttore della Cineteca di Bologna, Gian Luca Farinelli, e dei docenti e storici del cinema Gianpiero Brunetta, Giorgio Tinazzi e Antonio Costa. 

Dal 1983 al 2013, trent'anni di storie calate in un preciso paesaggio fisico e dell'anima: film e documentari, da Vagabondi, girato in 16 mm nel 1983 e mai distribuito nelle sale, a La sedia della felicità del 2013, passando per prove indimenticabili come Notte italiana, scritto nel 1985 e diventato film due anni più tardi, Il toro, Leone d'argento alla 51esima Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia, La lingua del santo, ambientato a Padova, città che considerava il suo baricentro emotivo, e La giusta distanza, vincitore di tre Nastri d'argento. 

Il regista e l'essere umano: chi era Carlo Mazzacurati?

"Carlo è sempre stato interessato a tutte le forme d'arte, divorava i libri e amava la pittura: andava a Castelfranco per ammirare la Pala di Giorgione anche tre o quattro volte all'anno. Si è sempre nutrito di cultura. A Padova, negli anni in cui era ancora un ragazzo, c'era fermento: esisteva il Cinema Uno, una realtà bellissima avviata da Piero Tortolina che, tra la fine degli anni Sessanta e l'inizio del Settanta, ha portato in Italia film che altrimenti non si sarebbero potuti vedere e che proponeva due proiezioni al giorno al Teatro Ruzante. E poi ricordo i film d'essai al Mignon la domenica mattina. Così, a sedici anni, oltre che di libri e di arte, Carlo diventò anche divoratore di cinema. Oltre alla cultura, amava gli esseri umani, le persone: difficilmente era da solo, aveva sempre un amico al suo fianco perché amava conversare, condividere e confrontarsi. Possedeva una rara ricchezza di sentimenti e questa sua natura l'ha portato, attraverso il cinema, a scegliere storie marginali, piccole, di persone fragili e in difficoltà, con uno spessore umano sorprendente. I suoi personaggi sono sempre raccontati con amore e realismo e i suoi film presentano, allo stesso tempo, note di commedia e di dramma, un mix unico che ha reso e rende ancora oggi i suoi film credibili: funzionano a distanza di anni dall'uscita. Prendiamo Il toro del 1994, ora ha trent'anni ma conserva una immutata freschezza".

Esiste un filo rosso che attraversa la sua intera opera, l'urgenza di dare voce ai più fragili.

"Ha sempre dato voce ai più deboli e agli storti, a quelli che si trovavano in difficoltà in un mondo che, già all'epoca, andava in un'altra direzione. Il suo modo di raccontare si riferisce alla vita, ai luoghi attraversati e vissuti, al cinema. Carlo aveva un sogno, fare un film a bassissimo costo, con poca gente intorno, una troupe ridotta: voleva tornare a un cinema più facile, più dritto, ma era anche consapevole del fatto che questo suo desiderio era in controtendenza rispetto a un'idea di cinema che puntava e punta a confezionare film perfetti, altrimenti nessuno li va a vedere. Questo stridore si percepisce nei suoi film: ne Il toro e ne La lingua del santo i personaggi cercano di svoltare nella vita imboccando strade impossibili, sono quelli che non sono riusciti a diventare dei vincenti".

Abbiamo parlato delle passioni per l'arte e la letteratura, mi piacerebbe sapere se, dal punto di vista cinematografico, aveva dei riferimenti.

"Come ho detto, era un divoratore di cinema. I riferimenti erano tanti e molto diversi tra loro. Trovava spunti ovunque, mischiava e si nutriva di tutto. Non seguiva solo una strada, non guardava solo il cinema sovietico o la commedia americana. Era affamato di cinema e cultura in senso ampio".

Nel panorama cinematografico attuale possiamo individuare dei registi vicini alla sua poetica? Qualcuno è riuscito ad accoglierne la lezione e la sensibilità?

"Mi sembra di vedere dei segnali in questo senso, sia locali che nazionali. In qualche modo la sua poetica vive nei suoi attori: lo si nota nel primo film da regista di Giuseppe Battiston (Io vivo altrove, ndr) e nel recente film diretto da Riccardo Milani con Antonio Albanese (Un mondo a parte), attore che sempre interpreta personaggi che ricordano i film di Carlo. A livello locale sono due i registi che hanno seguito le sue orme: Marco Segato, già assistente alla regia ne La giusta distanza, con uno sguardo e una scrittura che ne rivelano chiaramente l'influenza, e Antonio Padovan, soprattutto dal punto di vista paesaggistico. Nel film di Padovan ambientato nel Delta (Il grande passo, ndr), di cui è protagonista lo stesso Battiston, si respira il profumo del cinema di Carlo".

Qual è il tuo film preferito?

"Non so cosa rispondere: mi verrebbe da dire Un'altra vita e Il prete bello, per me vere e proprie folgorazioni fin dalla prima visione. Man mano che rivedo i film, però, cambio opinione e ne aggiungo altri: Il toro è immortale, non invecchia, La passione è straordinario per la ricchezza dei dialoghi e una scrittura quasi perfetta, L'amore ritrovato colpisce dal punto di vista pittorico, alcune inquadrature sembrano uscite da un quadro di Giorgione. Dopo vent'anni avrei voglia di rivedere A cavallo della tigre: quando uscì mi sembrò il suo film più fragile, ma recentemente alcuni colleghi e amici hanno ribaltato questo ricordo, l'hanno rivisto a Roma a gennaio scorso e sono usciti dalla sala entusiasti".

Un ricordo della vostra collaborazione?

"Prima di tutto Carlo era un mio amico. Dopo essermi laureato in Storia del cinema, per diversi anni, io mi sono occupato di altro, ma quando Carlo è diventato papà ha lasciato Roma per tornare a vivere a Padova. Una sera a cena mi confessa un desiderio: trascorrere qualche giorno in compagnia dei tre grandi vecchi del Veneto, Rigoni Stern, Zanzotto e Meneghello. Lentamente iniziamo a ragionarci e a lavorare insieme. È in quell'occasione che ho conosciuto Marco Paolini, con il quale poi ho fondato Jolefilm. Non ho invece mai prodotto un film di Carlo, perché Jolefilm è nata quando lui già aveva da tempo avviato il lavoro con altri produttori ma, oltre ai tre Ritratti, ho prodotto il documentario realizzato per il Cuamm - Medici con l'Africa, un lavoro fatto con il cuore. Ho un ricordo preciso di quell'esperienza: Carlo non amava viaggiare, preferiva stare a casa sua e accogliere lì gli amici, tutte persone diverse tra loro, creando occasioni di incontro, confronto, conoscenza. Per lui andare in Africa non era una cosa da poco. Prima di iniziare a girare doveva fare i sopralluoghi e per questo partì con Luca Bigazzi e il fonico. Venti giorni dopo, al suo rientro in Italia, mi disse: "Ho girato tutto". Insomma, i sopralluoghi erano diventati definitivi".

Con il convegno del 28 maggio, in Aula Magna al Bo, Brunetta, Tinazzi e Costa dialogheranno attorno al cinema di Mazzacurati. Una bella occasione. 

"La mia idea è quella di creare le condizioni ideali per parlare di Carlo così come adesso abbiamo fatto io e te, includendo tutte le sue anime: l'uomo, il regista, lo studioso, l'intrattenitore. Ho pensato di partire dal suo mestiere, in senso alto, e così ho invitato Gian Luca Farinelli, direttore della Cineteca di Bologna e presidente della Festa di Roma, per la moderazione dell'incontro con i tre professori dell'università di Padova: Brunetta, Tinazzi e Costa. Ma non sarà un incontro strettamente accademico, vorrei far emergere anche l'essere umano. Poi sposteremo il punto di vista e, per un secondo incontro, in programma lo stesso giorno, ho invitato artisti che hanno condiviso con Carlo il processo creativo: gli sceneggiatori Umberto Contarello ed Enzo Monteleone, entrambi padovani, e Lorenzo Mattotti, che con lui ha realizzato Sei Venezia. Con loro capiremo come nascevano e si sviluppavano i progetti perché, lavorare con Carlo, era come andare a teatro, era un grande affabulatore". 

A Carlo Mazzacurati è stato ora dedicato anche un premio.

"Sì, è nato su iniziativa del Cinema Odeon di Vicenza. Si tratta di un premio al miglior personaggio in un’opera cinematografica italiana. Una giuria composta da Francesca Archibugi, Gian Luca Farinelli, Massimo Gaudioso e Lucia Mascino decreterà il vincitore tra i finalisti e il film verrà annunciato e proiettato il 21 aprile a Vicenza e a Padova". 

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