CULTURA

Note di regia. Marco Segato e "la passione dello spettatore"

"Il cinema è il mezzo per raccontare storie […] È persino meglio che fare il pittore perché posso ricreare la vita in movimento, enfatizzarla, allargarla, distillarne la vera essenza […] Si avvicina al miracolo della creazione ancora più della musica, della pittura e persino della letteratura. È in realtà una nuova forma di vita con una sua propria pulsione esistenziale, prospettive di conoscenza tutte sue”. Sono le parole di Fellini, riflessioni riportate nella biografia Io, Federico Fellini di Charlotte Chandler (Bur Rizzoli), da cui partiamo per presentare un nuovo progetto dedicato a registe e registi del territorio: un episodio al mese per parlare di film, documentari, passioni, aneddoti, visioni di cinema. ”Io sono al servizio di una storia che vuole essere raccontata e devo capire dove vuole portarmi”. Partiamo dunque da qui, perché il protagonista di questo episodio di Note di regia ama il regista de La dolce vita,e Amarcord e subito lo cita: "Per me il suo cinema è stato un colpo di fulmine". Marco Segato, padovano, classe 1973, è stato candidato ai David di Donatello 2017, come miglior esordiente, e al Globo d'Oro, nelle categorie miglior opera prima e miglior fotografia, per il film La pelle dell'orso, prodotto da Jolefilm con Rai Cinema, tratto dal romanzo omonimo di Matteo Righetto: "È il film che ancora oggi mi rappresenta di più - racconta -. Ha i difetti delle opere prime, certe ingenuità e rigidità nella modalità di racconto, ma ha il grande pregio di custodire un elemento di verità, di passione e forza che ancora oggi gli riconosco". 

Si parlava di riferimenti: nella formazione del gusto di Segato non c’è solo Fellini. A questo nome se ne aggiungono altri, in particolare quelli che hanno reso grande il cinema americano degli anni Cinquanta: "Da Howard Hawks a Billy Wilder, quest'ultimo forse il mio regista preferito: Viale del tramonto è un film che continuo a rivedere. E poi ho dedicato la mia tesi a Martin Scorsese", spiega, rivelando così la fascinazione per la scuola di cinema degli italoamericani della New Hollywood, "notevole per la capacità di essere d'autore e fotografare, al tempo stesso, fermenti della realtà".

Servizio di Francesca Boccaletto e Massimo Pistore

Ho mantenuto la passione dello spettatore. Quando vado a vedere un film riesco ancora a godermelo senza doverlo smontare. Mi godo il cinema in tutte le sue forme

Abbiamo incontrato Segato nel suo studio di Padova e con lui abbiamo capito quanto sia importante nutrire “la passione dello spettatore” per poter affinare lo sguardo del regista. "Quando vado a vedere un film riesco ancora a godermelo senza doverlo smontare - racconta a Il Bo Live -. Mi godo il cinema in tutte le sue forme: dall'intrattenimento, anche quello di animazione e più spettacolare, a quello d'autore. Nasco come spettatore, prima ancora che regista, e proprio questa passione mi ha portato a frequentare le lezioni di Gian Piero Brunetta". Inizia in quel momento, studiando Lettere all'Università di Padova, la costruzione di una visione del mondo: "Un po' per caso ho realizzato i primi lavori di montaggio, partendo al laboratorio di Mirco Melanco, assistente di Brunetta, utilizzando formati considerati, oggi, da museo del cinema. Piano piano ho capito che avrei potuto scegliere la strada per farlo, il cinema". 

Dopo gli studi universitari, Segato si dedica al documentario: "Altrettanto importante è tutto l'immaginario del cinema del reale, che per me è allo stesso livello del cinema di fiction e che, spesso, trovo ancora più stimolante nella fase creativa: è necessario stare in osservazione della realtà e trovare il modo di darle una forma. Il documentario è una grande palestra, lo è stato per me - da Via Anelli a Ci resta il nome, fino L'uomo che amava il cinema su Piero Tortolina - e lo considero ancora una comfort zone: l'idea di fare un documentario mi mette serenità".

"Oggi fatico a rintracciare un’unica idea di cinema che mi rappresenti: ho fatto cinema di fiction, cinema documentario, programmi per la tivù e ho organizzato rassegne. Mi piace pensare che, all'interno di ogni genere, ci sia il mio rapporto con la storia che racconto. Tutto nasce da un interesse per quella storia, che deve risuonare nella mia testa anche rispetto a un tipo di pubblico ‘non da festival’, cioè senza particolari strumenti affilati per interpretarla. Per La pelle dell'orso ho pensato di arrivare a un bambino di otto anni e uno spettatore novantenne, che quel mondo l'aveva visto o vissuto ritrovandolo infine sullo schermo. Credo molto nella forza mitopoietica del cinema, non c'è una differenza tra fiction, documentario o alcune cose fatte per la televisione. Certamente, per quest'ultima, si abbassano alcuni standard perché il pubblico assiste da un divano, non è uscito appositamente per vedere il film, ma non cambia quello che io ci metto dentro: c'è la stessa tensione, c'è la stessa voglia di realizzare qualcosa che piaccia a me e a chi sta dall'altra parte".

Credo molto nella forza mitopoietica del cinema

Ma cosa significa fare cinema in Veneto, lontano da Roma, come e quanto cambiano gli equilibri? "Rimanere a Padova è faticoso, bisogna essere consapevoli del fatto che i progetti si muovono più lentamente. Rispetto a Roma, si hanno meno opportunità di incontro e, si sa, il cinema si alimenta di occasioni e relazioni. Dall'altra parte, però, lavorare qui mi ha permesso di sviluppare e preservare un cinema personale: sono orgoglioso dei lavori che ho fatto, a questi ho dedicato tempo, energie e risorse. Ancora prima del lavoro da regista, penso a quello di organizzatore di festival come Euganea e Detour e lo confermo: restare sul territorio significa nutrire una relazione con esso. Potrei definirla una sorta di resistenza culturale, nel tentativo e con l’impegno di realizzare qualcosa per chi questo territorio lo vive”. 

Il 2025 è un anno speciale, è uscito il documentario Mar de Molada, che racconta lo spettacolo di Marco Paolini dedicato al legame tra acqua e territorio, nel racconto delle trasformazioni idriche e geologiche nel Veneto. "Inoltre, quest'anno, è nata la casa di produzione fondata da me, Andrea Pennacchi, Renzo Carbonera e Filippo Zago. Si chiama Galapagos: ognuno di noi è un'isola che, ora, fa parte di un arcipelago comune, in cui mettere in relazione le proprie capacità “.

 Infine, ci siamo chiesti quanto conti oggi fare film e di quale cinema abbiamo bisogno. "Credo che ‘fare cinema’ abbia ancora una certa rilevanza e necessità. Certo, ha perso la sua centralità perché esistono tante altre forme visive di racconto e intrattenimento, ma il cinema non è semplicemente intrattenimento, forse dovremmo provare a recuperare il piacere di mettere in discussione qualcosa".

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