SOCIETÀ

La metà della metà, quanto fa?

Che il nostro Paese abbia qualche problema riguardo alle competenze che la scuola dovrebbe garantire a tutti, non è una novità: dai rapporti Ocse-Pisa alle rilevazioni statistiche, dalle ricerche dei maggiori studiosi ai test di ingresso nelle facoltà universitarie, la situazione è nota e discussa. Di più: l'impreparazione di tanti studenti, ci si basi su statistiche o sull'aneddotica, è diventata un vero e proprio "genere" giornalistico. 

Meno discusso è un altro aspetto del problema, quello che riguarda non gli studenti ma la popolazione adulta: anche qui, le difficoltà con Literacy e Numeracy – come in letteratura scientifica si definiscono le competenze in comprensione e uso della lingua, della scrittura e del calcolo – abbondano, tanto da poter parlare di una percentuale non trascurabile di "analfabetismo funzionale". Persone per le quali decifrare un libretto di istruzioni o il bugiardino di una medicina, scrivere un curriculum o scrivere appunti e brevi testi, eseguire semplici calcoli studiati al tempo delle medie costituisce un ostacolo e fonte di incertezze.

C'è però un altro aspetto di questa difficoltà che sfugge ai più, perché meno visibile e, di fatto, più diffuso, ovvero l'approssimazione e l'imprecisione nella capacità, che pure si pensa di possedere, di utilizzare alcuni strumenti basilari per la soluzione di semplici problemi, ma ancor più per la comprensione della realtà che ci circonda. Una forma diversa di ignoranza, che non riguarda tanto il sapere cosa, la nozione che si possiede o non si possiede, ma il sapere come, che fa la differenza fra la capacità di organizzare le informazioni che pure ci sono disponibili, o di confonderle.  

Ad esempio, le percentuali. Apparentemente, un concetto chiarissimo: "Il PIL quest'anno è cresciuto dell'1,5%." "Il 35% degli elettori hanno scelto il partito verde". Le percentuali servono a rappresentarci immediatamente il peso di un fenomeno – la percentuale – rispetto al quadro in cui si colloca – l'intero, ovvero i 100% cui si rapporta. Che sia la crescita o il calo della produzione industriale di generale, i bambini in età scolastica che non frequentano la scuola dell'obbligo, la presenza di donne nei consigli di amministrazione delle società quotate in borsa. Sono, insomma, lo strumento privilegiato per permetterci di comprendere e misurare i fenomeni sociali ed economici e valutarne l'incidenza nel mondo che ci circonda. 

Certo, appena si pone mente al concetto ci si accorge che le variabili sono molte. Anzitutto, bisogna definire con precisione i dati di partenza: come si calcola e si definisce l'insieme generale, e se questo è in rapporto con altri dati. Ma, proprio perché nei casi più semplici il calcolo sembra intuitivo – "uno su tre" e "il 30%" sono quasi sinonimi, nella lingua comune – le difficoltà sono in agguato. Occorre seguire tutti i passaggi - l'insieme di riferimento, per esempio, in caso di progressione cambia, la medesima quantità assoluta rappresenterà una diversa percentuale, la medesima percentuale una diversa quantità assoluta e avere ben chiaro lo strumento che stiamo usando e le domande a cui può rispondere.

Cos'è, precisamente, una percentuale? Esprimere un rapporto in termini percentuali significa dire quante entità, su un campione di cento, hanno una data caratteristica. Quello che differenzia una percentuale da un semplice rapporto è proprio il riferimento: ogni frazione può infatti essere espressa in termini percentuali, “adattando” il rapporto ad un insieme di cento entità.

Per esempio: dire che i 2/5 degli allievi di una classe hanno i capelli neri equivale a dire che il 40% ha i capelli neri, ossia se fossero 100 gli allievi di questa classe, 40 avrebbero i capelli neri. Cinque, il numero totale, è infatti contenuto 20 volte in 100; l'unità sarà quindi rappresentata da 20, e due volte 20 è 40. Quindi, il 40%. Un calcolo semplice e intuitivo, a patto di avere un minimo di dimestichezza. 

L’operazione matematica che permette di passare da un rapporto a una percentuale è una proporzione: a sta a b, come x (la percentuale) sta a cento (a:b = x:100). La base cento dovrebbe rendere più immediato il concetto espresso e dovrebbe permettere un più semplice confronto tra rapporti diversi, che non utilizzando le frazioni. 

Se in un’altra classe i bambini ad avere i capelli neri fossero invece i 3/7, sarebbero di meno o di più - in proporzione - i bambini con i capelli neri? Espresso in termini di frazioni, il problema può sembrare di soluzione non triviale. Riformulandolo in termini percentuali, il confronto è immediato: i 3/7 sono infatti circa il 42.85%, pari a (3:7)x100), quindi, in proporzione, la seconda classe ha più bambini con i capelli neri.

Sia utilizzando le frazioni che la percentuale non sappiamo quant’è il numero – effettivo – di bambini dai capelli neri nelle due classi, perché non sappiamo quanti bambini ci sono in ciascuna classe, ma non interessa: quel che interessa è esprimere un rapporto.

La percentuale è uno strumento ampiamente utilizzato in statistica, che ha per sua natura a che fare con campioni. “Normalizzare” su di un campione di cento unità permette di far meglio i confronti, ma ci imbattiamo in percentuali quotidianamente: gli sconti al supermercato, le aliquote delle imposte ecc.

Il riferimento a un campione di cento però, se da un lato semplifica il processo di astrazione, dall’altro crea delle “false impressioni”: il 16% (percentuale di ragazze madri adolescenti secondo i Britannici) non è poco, sebbene 16 sia molto minore di 100: significa sostanzialmente un sesto, ossia uno su sei. Poiché possiamo pensare che il numero di persone che conosciamo costituisca un campione rappresentativo, ciò significherebbe che un’adolescente su sei tra quelle che conosciamo ha già avuto un figlio. Espresso in questi termini ci si rende conto che il 16% “non è poco”.

Di fatto la frazione “aiuta” a “visualizzare” meglio il rapporto, rispetto ad una percentuale, anche se il confronto tra frazioni è meno rapido. Inoltre c’è un altro punto debole nell’utilizzo (erroneo, ma purtroppo frequente) della percentuale: il riconoscimento corretto della “base” che viene ricondotta a cento.

Se un supermercato di quartiere che due sole casse, le aumenta del 50%, significa che ne viene aggiunta una (il 50% è la metà: la metà di due è uno, appunto). Se poi però dopo un certo tempo questa nuova cassa viene chiusa, ora la riduzione sarà del 33.3% (circa), cioè di un terzo appunto, perché la base di partenza ora è 3. 

Se all’inizio ne avesse aggiunte due, anziché una, le avrebbe aumentate del 100% (ossia le avrebbe raddoppiate: perché il 100% è proprio la situazione “di base”), non del 200% come capita a volte- purtroppo - di sentir dire. E usare correttamente le percentuali consente anche di capire quando altri lo fanno in modo errato.

Valentina Berengo 

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