SOCIETÀ

Mamma, mi accompagni?

Sempre meno autonomi, iperprotetti dai genitori, non si muovono mai da soli nemmeno nel tempo libero: è il profilo dei ragazzi italiani dai 6 ai 14 anni che emerge da una ricerca dell’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del Consiglio nazionale delle ricerche (Istc-Cnr), partner italiano di uno studio più ampio promosso dal Policy Studies Institute di Londra, Children’s independent mobility. L’indagine è condotta su un campione di 562 alunni delle elementari, 375 delle medie e dei rispettivi genitori, in cinque centri urbani eterogenei per dimensione demografica e caratteristiche territoriali: Roma (centro città), Bari (area urbana), Guidonia Montecelio (area suburbana), Desio (piccola città), Misinto (zona rurale).

Risultato? Nel 2010 nel nostro paese i bambini che vanno alla scuola primaria da soli o con un coetaneo sono solo il 7% con una riduzione del 4% rispetto al 2002. Molti meno dei loro compagni inglesi e tedeschi che raggiungono rispettivamente il 41 e il 40%. Il numero cresce leggermente alla secondaria e raggiunge il 34%. Vengono accompagnati soprattutto in auto (68,2% alle elementari, 57,6% alle medie), nonostante spesso la scuola sia a meno di un chilometro da casa. Pochi vanno a piedi (26,4% alla primaria, il 36,1% alla secondaria) o utilizzano i mezzi pubblici: la media italiana nella scuola elementare, in linea stavolta con quella inglese, si attesta intorno al 3% mentre in Germania tocca l’8%. Se ci si sposta alle medie sono ancora pochi quelli che utilizzano i mezzi (3%), mentre nel Regno unito si sale al 25% e al 64% in Germania. Ma se a scegliere fossero i bambini la situazione sarebbe alquanto diversa: uno su due alle elementari vorrebbe andare a scuola in bicicletta, mentre alle secondarie prevarrebbe il desiderio di usare il motorino (29%), la bicicletta (24,2%) o andare a piedi (27,8%). Segno che i ragazzi vorrebbero maggiore autonomia rispetto a quella concessa dai genitori.

Stessa tendenza nelle attività extrascolastiche: quasi il 40% dei genitori di bambini dai 6 ai 10 anni e il 44,7%  nel caso di ragazzi dagli 11 ai 14 compiono 3-4 viaggi a settimana per accompagnare i figli. L’appartenenza di classe non sembra influenzare la concessione di autonomia, mentre il luogo in cui vive la famiglia incide sulla percezione di sicurezza e dunque sulla mobilità autonoma dei figli. Le aree suburbane e rurali risultano avere un effetto più permissivo: i ragazzi residenti a Misinto e Guidonia, ad esempio, sono più indipendenti nei percorsi extrascolastici, con una percentuale rispettivamente del 28,8% e 22,1%, rispetto ai loro coetanei di Desio (13,6%), Bari e Roma (11,3% e 10,8%).

“Sicuramente – sottolinea Beatrice Benelli del dipartimento di Psicologia dello sviluppo e della socializzazione dell’università di Padova – c’è una tendenza all’iperprotettivismo, alla “bambinizzazione” da parte dei genitori. A qualunque età i figli sono considerati meno competenti di quanto non siano in realtà, anche a causa di una scarsa conoscenza delle caratteristiche dello sviluppo. Il figlio viene visto come un prolungamento del sé in una sorta di bisogno narcisistico”. Senza considerare, però, che la percezione che i genitori hanno delle competenze dei figli influenza l’immagine che questi ultimi hanno di se stessi. Concedere autonomia significa permettere di crescere, mentre la tendenza è di impedire che i figli si confrontino con i problemi di tutti i giorni.

Ma non è tutto. “Vanno considerati anche – continua Beatrice Benelli – i mutamenti sociologici, il cambiamento dei ruoli nella famiglia: l’aumento del numero di donne lavoratrici e la dispersione territoriale dei luoghi hanno condotto ad abitudini diverse. E anche i mass media e il cambiamento avvenuto nell’assetto urbanistico dell’ultimo secolo hanno giocato un ruolo importante”. Con un numero sempre maggiore di notizie sui bambini e una tendenza a drammatizzare la condizione infantile, nessuno spazio risulta più sicuro e il pericolo può derivare anche da ambienti un tempo considerati privi di rischi, come scuole materne o case di familiari. “Questo – sottolinea – allerta i genitori, aumenta la percezione del rischio e incide sulla costruzione dei vincoli e delle restrizioni imposti ai ragazzi, anche se gli studi dimostrano che in realtà non vi è stato alcun aumento del crimine negli ultimi anni”.

La città, d’altra parte, perde il ruolo originale di luogo di incontro e scambio, di spazio condiviso: strade, marciapiedi e piazze sono “sottratte” al cittadino e destinate al commercio e alle auto, in continuo aumento. Già Lewis Mumford nell’editoriale del primo numero della rivista italiana Urbanistica del 1945, ben prima dunque della speculazione edilizia degli anni Sessanta e Settanta, sottolineava come la città si fosse dimenticata dei suoi cittadini a partire dai bambini, dagli anziani e dalle donne. Prima di lui lo faceva Joseph K. Hart che nel 1925 sosteneva le stesse idee.

Per “restituire” la città ai bambini, nel 1997 veniva emanata la legge 285 che stanziava fondi ai Comuni per incentivare il miglioramento dei servizi per l’infanzia e l’adolescenza e dunque anche per progetti che favorissero l’autonomia di spostamento dei bambini. Tra le iniziative più significative “A scuola ci andiamo da soli” che prosegue ormai da più di dieci anni e alla quale aderiscono i comuni della rete internazionale dell’Istc-Cnr  “La città dei bambini”. In Italia le esperienze più rilevanti sono quelle di Fano e Pesaro che hanno visto una decisa riduzione del traffico in prossimità delle scuole e la costruzione di un “patto sociale” nella collettività, una collaborazione tra genitori, commercianti, anziani, vigili urbani e automobilisti per ripristinare quei rapporti di “vicinato” ormai lontani che un tempo costituivano una sicurezza per i ragazzi. “L’assenza di bambini che si muovono da soli nelle nostre strade – sottolinea Francesco Tonucci dell’Istc-Cnr – rende peggiori i nostri comportamenti... Le città senza bambini sono peggiori”. I ragazzi nelle strade, dunque, diventano il parametro di valutazione della sicurezza delle città. Ne è prova l’esperienza di Buenos Aires che nel 2005 vede ridursi del 50% la criminalità urbana nei distretti che partecipano a questo tipo di iniziativa.

Promuovere l’autonomia di movimento dei bambini implica ripensare il modo di vivere lo spazio urbano ma significa anche ridurre l’inquinamento, il “killer silenzioso” secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, e favorire nel bambino il benessere psico-fisico in termini di prevenzione dell’obesità e sviluppo cognitivo, sociale e affettivo. Soprattutto, un bambino che si sposta da solo è un bambino che prende decisioni in ogni momento, supera ostacoli, vive l’esperienza del gioco. Esperienze necessarie per la crescita. L’eccessivo controllo da parte dei genitori, al contrario, potrebbe generare nell’adolescenza un enorme bisogno di esplorare, provare, sperimentare quando non trasgredire, trattandosi di desideri repressi nel corso dell’infanzia.   

Monica Panetto

 

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