SCIENZA E RICERCA
Non c’è spazzatura nel Dna
Questo testo è una sintesi della prolusione di Telmo Pievani in occasione della prima lezione del nuovo corso di Filosofia delle scienze biologiche, presso il dipartimento di Biologia di Padova
Aveva appena compiuto quarant’anni, essendo stato battezzato dal genetista Susumu Ohno nel 1972. Era il periodo in cui si scopriva che ampie porzioni del patrimonio genetico sembravano a tutti gli effetti “neutrali”, o se preferiamo indifferenti, all’azione della selezione naturale. Il “junk Dna” fu definito da Ohno come un qualsiasi segmento di genoma che non ha un’utilità immediata, sul quale la selezione naturale non agisce, ma che potrebbe occasionalmente acquisire una qualche funzione in futuro. Il Dna spazzatura parve a molti come il vero dominatore statistico del genoma, rimasuglio di esperimenti falliti della natura, trattenuto per lungo tempo dall’evoluzione perché i processi molecolari che generano Dna extra, notò Sydney Brenner, sovrastano quelli che lo ripuliscono e lo riducono.
Il concetto e l’annessa metafora ebbero un enorme successo. François Jacob descrisse l’evoluzione del genoma come un bricolage di parti riciclate e riutilizzate per nuove funzioni. Quando nei primi anni del nuovo millennio si scoprì, con il progetto genoma umano e con le nuove tecniche di sequenziamento, che soltanto una piccola percentuale del patrimonio ereditario è costituito da geni che codificano per proteine (non più di 25.000 geni per la specie umana, cifra di vari ordini di grandezza inferiore a quanto era stato previsto considerando la nostra complessità biologica) il Dna spazzatura ebbe il suo trionfo. Si concluse che il genoma umano era ridondante, pieno di materiale di risulta e di rumore di fondo.
Ma uno sguardo più attento e più sistematico ha in questi anni rovesciato la prospettiva. Secondo il consorzio internazionale che sta scrivendo l’“enciclopedia degli elementi del Dna” (Encode), è vero che meno del 2% del genoma è costituito da geni che codificano per proteine, ma una porzione più consistente (tra il 9 e il 18%) potrebbe essere legata a funzioni di regolazione e di controllo. Nel Dna spazzatura si nascondono forse tesori, in particolare quelle sequenze che trascrivono la moltitudine di forme di Rna implicate nell’intricata trama delle regolazioni geniche. Dopo i primi risultati pubblicati nel 2007, le centinaia di scienziati di Encode hanno continuato il loro lavoro, giungendo nel settembre 2012 a una conclusione ancor più radicale: addirittura l’80% del genoma risulta trascritto e dunque, si suppone, funzionale. Il messaggio è chiaro: il junk Dna è un concetto fuorviante, meglio archiviarlo dopo quarant’anni di onorata carriera.
Nel genoma c’è un linguaggio nascosto che non avevamo visto? Posta così, la domanda è piaciuta ai sostenitori dell’Intelligent Design, la dottrina neo-creazionista americana, che infatti hanno festeggiato la notizia. Naturalmente, è un’inferenza del tutto impropria, visto che la funzionalità di un sistema non implica affatto che sia stato intenzionalmente “progettato” da qualcuno. I risultati di Encode non sono invece piaciuti per niente ad altri biologi, che in un articolo della scorsa settimana apparso su Genome Biology and Evolution hanno attaccato duramente il progetto. “Lo loro statistiche sono orribili. È il lavoro di un gruppo di tecnici male addestrati”, ha sentenziato senza mezzi termini il primo firmatario, Dan Graur, biologo molecolare alla Houston University.
Avere un’attività biologica (essere trascritto) non significa necessariamente avere una funzione, secondo il gruppo dei dissenzienti. Le stime sono imprecise e l’intero lavoro sembra “un vangelo senza evoluzione”, perché non avanza ipotesi su come queste parti non codificanti ma trascritte possano essere state conservate dalla selezione naturale. Inutile investire tutti questi soldi in progetti di Big Science se non si è in grado di interpretare l’enorme massa di informazioni, trasformandola in modelli di spiegazione attendibili. Parafrasando una celebre battuta, hanno concluso: “Alla luce della nostra indagine sulle pubblicazioni di Encode, la notizia riguardante la morte del junk Dna è stata alquanto esagerata”.
Il tema dell’inutilità e della ridondanza in natura, già ben presente in Darwin, solleva dunque ancora avvincenti controversie scientifiche. I genetisti di Encode si sono lasciati prendere dall’umana propensione a vedere schemi pieni di significato in un mare di dati casuali, oppure (come pensano i più) hanno scoperto che il “Dna spazzatura” era davvero il frutto della nostra ignoranza circa la complessità regolativa del genoma? Non resta che continuare la ricerca (finanziandola).
Telmo Pievani