CULTURA

Oltre la “bolla di sicurezza”

A stupire a volte può essere la normalità. Quando la trovi, inattesa, in terra afgana. Quando a cercarla sono un gruppo di giovani soldati italiani di stanza in una delle zone più pericolose di tutta l’area del conflitto, la Forward Operating Base “Ice”, nel distretto del Gulistan, Afghanistan meridionale: "un recinto di sabbia esposto alle avversità". È qui che Paolo Giordano, a cinque anni da La solitudine dei numeri primi, vincitrice del Premio Strega nel 2008 e del Premio Campiello come miglior opera prima, ambienta il suo nuovo romanzo, Il corpo umano.

L’opera trova la sua genesi in un periodo trascorso dall’autore in territorio afgano con un gruppo di militari italiani nel dicembre del 2010. L’idea iniziale era di farne un reportage. Invece, la visita alla FOB, la base operativa avanzata, la quotidianità in un avamposto particolarmente isolato, il contatto con i giovani soldati offrono lo spunto per la scrittura di un romanzo, quasi a voler “prolungare la permanenza in quel posto ostile”. Andato, per sua scelta, in un paese in guerra da decenni, in cui i militari italiani si trovano a calcare coi loro scarponi i passi dei soldati americani, degli spetsnaz russi prima di loro, negli anni ’80, e ancor prima dei soldati di Sua Maestà britannica, ai tempi di Conan Doyle e della Regina Vittoria, che qui trovarono una delle disfatte più umilianti, Giordano scopre presto che di quel conflitto, che da solo potrebbe riempire decine di volumi con la sua cronaca, e altre decine nello sviscerarne i retroscena, le rivalità, gli interessi che portano da decenni le truppe di tanti paesi a uccidere e a morire fra quelle pietraie, ciò che lo colpisce è quanto succede ad un piccolo gruppo di ragazzi suoi coetanei. La chiarezza con cui si presentano le cose, i pensieri e le relazioni all’interno della “bolla di sicurezza” della base, nella luce abbagliante del giorno e nel silenzio della notte, in cui risuonano solo il vento e il proprio respiro.

Pagina dopo pagina affiora la storia del comandante Antonio Renè, che porta in missione il peso di una decisione così importante che fatica a prenderla, e del caporalmaggiore Roberto Ietri, il più giovane e inesperto di tutti, che lascia in Italia una madre un po’ ingombrante e la voglia, costante, della sua prima volta. Prende forma il dramma interiore del tenente medico Alessandro Egitto, la voce narrante del libro, che preferisce la “bolla di sicurezza” in territorio afgano al difficile rapporto familiare cui sarebbe costretto in patria, e la spavalderia di Cederna, che solo davanti allo psicologo incaricato di gestire lo stress post traumatico vomita la rabbia che lo abita. Compaiono ragazzi come Vincenzo Mitrano, che i continui scherzi dei compagni rendono lo zimbello del gruppo, come Torsu, il sardo che chatta con Torsicore89, e Salvatore Camporesi che a casa lascia una moglie e un figlio. Quello stesso Camporesi la cui morte si intreccerà con la vita del maresciallo Renè. E c’è Zampieri, soldato come tutti i suoi commilitoni e donna. Fuciliere, sicura e spregiudicata; ragazza che nessuno “sceglie sul serio. Si fanno il suo corpo segando via la testa”. A casa, e anche nell’unica fugace relazione che si affaccia nel libro.

A percorrere il testo è una tensione emotiva che scaturisce, implicita, dallo sfondo di un paese in guerra, una guerra di cui gli Italiani sono parte, anche se lo dimenticano volentieri. A riportare la normalità sono i gesti rituali e quotidiani dei soldati, le storie personali che ognuno di loro porta con sé. Storie di ragazzi, prima che di soldati, che si affacciano all’età adulta e che non potranno esimersi dall’oltrepassare la loro “bolla di sicurezza” personale e uscire allo scoperto. Perché Il corpo umano è prima di tutto questo, è la storia di giovani che diventano uomini. Come in alcuni film e narrazioni sul Vietnam, come in Conrad, la guerra in cui sono immersi è esterna, diviene metafora di una guerra più intima che ognuno di loro deve affrontare. Combattendo contro il nemico. Quello privato di ognuno, prima che quello fuori dalla “bolla”, che aspetta. Attraversando un deserto da cui qualcuno uscirà vivo e qualcuno no.

Nel silenzio della FOB, stesi sulla branda, ascoltano i rumori incessanti del loro corpo, il battito del cuore, il pulsare delle vene, le urgenze dei bisogni fisiologici. Sono corpi descritti nelle loro specificità più elementari. Corpi che dormono, mangiano, riposano. Corpi virtuali, corpi colti nelle loro azioni quotidiane, corpi in movimento, corpi malati, corpi che vanno in pezzi. Ci si ricorda del corpo, se ne è pienamente coscienti quando il pericolo rende percepibile, fisico il suo funzionamento, e il rumore del respiro, la regolarità dei battiti del cuore sono sollievo, e paura. Che si interrompano, che vengano spezzati. Sono corpi che nella FOB non hanno intimità e vi rinunciano con naturalezza disarmante. A emergere, in modo quasi plastico, è la personalità di ognuno.

Ma Il corpo umano è anche qualcosa in più, è storia di famiglie, che si muove sottopelle rispetto alla trama principale. Di famiglie che costituiscono talvolta retaggi scomodi, come quella di Alessandro Egitto, il medico; di famiglie “abortite”, di altre spezzate e ricostruite, anche contro la morale comune. Di famiglie troppo presenti.

Nel libro di Paolo Giordano, sulla guerra ha il sopravvento l’uomo. Ha il sopravvento, anzitutto, nello scrittore: che estrae emozioni da descrizioni precise, scarne, “esterne” agli stessi protagonisti, come già era stato, su un piano ancora più ristretto e diversissimo, nel suo primo romanzo. E in questo ci ricorda, lui romanziere, l’Afghanistan di un altro libro uscito recentemente, e scritto da un reporter: In battaglia, quando l'uva è matura, di Valerio Pellizzari. Inviato speciale de "Il Messaggero", poi editorialista a "La Stampa", Pellizzari per oltre quarant'anni ha seguito gli avvenimenti che hanno sconvolto l'Est europeo, il Maghreb, il Medio Oriente, l'Asia centrale e l'Estremo Oriente, e ci descrive con occhio libero da pregiudizi, un Afghanistan diverso da quanto ci aspetteremmo in un paese in guerra. Ci racconta del libraio analfabeta di Kabul che ha salvato libri introvabili, delle sessanta scuole femminili che gli integralisti islamici non hanno mai sfiorato, del giovane profugo afgano che studia in Europa i robot applicati alle neuroscienze.  È un Afghanistan, quello di Pellizzari, come non è mai stato raccontato. È un racconto fatto di uomini, prima che di kalašnikov e di soldati.

Come un racconto fatto di uomini è quello di Paolo Giordano.

Monica Panetto

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