SCIENZA E RICERCA

È ora di rivalutare il nostro naso

Ammettiamolo, tra le parti del corpo umano che si ritengono più eleganti e raffinate non possiamo di certo annoverare il naso. Può essere “ a patata” o “alla francese”, grande o piccolo, dritto o storto ma in molte situazioni della vita quotidiana non viene apprezzato, anzi. Se ci prendiamo un raffreddore questa nostra appendice periforme nel mezzo del viso percola un muco viscoso. Per persone allergiche, la stagione dei pollini equivale a continui starnuti ed ad un naso dal vivo color porpora. Più in generale il suo contenuto è degno di ribrezzo ed ogni genitore che si rispetti è tenuto a redarguire il proprio figlio o la propria figlia se vengono colti con le dita che esplorano l'interno delle narici.

Da ormai vent'anni sarebbe il caso di riabilitare la cattiva reputazione del naso, il quale diventa sempre di più, l'affascinante oggetto di studio di scienziati di tutto il mondo, dimostrandosi la sede di numerosi tesori della conoscenza biomedica.

Per esempio, la sua struttura più intima, ovvero l'intreccio di neuroni che portano al nostro cervello informazioni odorose, è del tutto anomala rispetto agli altri sensi. Quando passiamo la mano su una superficie ruvida, guardiamo un bel panorama, assaggiamo un piatto o ascoltiamo il nostro brano musicale preferito l'informazione viaggia a diverse decine di metri al secondo dalle periferie del nostro corpo fin dentro al cranio. Qui si interrompe e prende contatto con il talamo, un'ammasso di neuroni dalle dimensioni di una noce che funge da porta d'accesso per la nostra coscienza, posto in profondità e alla base del cervello vero e proprio. Tutte le informazioni di cui siamo consapevoli devono attraversare per forza il talamo, il portale che apre la via al cervello e al nostro essere. Per il naso non è così. Quando annusiamo l'aria di una cucina per indovinare cosa ci riservi il pranzo, quando disgustati gettiamo in pattumiera una confezione di uova andate a male e quando selezioniamo il profumo che più ci piace, l'impulso elettrico che traduce tutte queste informazioni non si porta al talamo. I neuroni che risiedono al confine superiore tra cranio e naso hanno un collegamento privilegiato e antico con il cervello, che permette loro di avere un accesso diretto al sistema nervoso centrale. Se il talamo rappresenta la modernità, le vie nervose dell'olfatto ci portano indietro nel tempo, per dare uno sguardo ad una struttura nervosa ancestrale. L'olfatto è forse il senso che più si connette ai centri limbici, la porzione istintuale del cervello: un ideale collegamento con il passato di decine di migliaia di anni fa, quando la sopravvivenza nelle distese della savana o nelle fredde terre del nord Europa dipendeva da decisioni prese sul momento di “attacca o fuggi”.

Questi neuroni hanno una capacità più unica che rara tra i miliardi di cellule del sistema nervoso: non solo si occupano direttamente di captare e rilevare le molecole odorose senza la collaborazione di altre cellule specializzate, ma sono in grado di rigenerarsi, in poco più di un mese. Basta chiedere a qualsiasi neuroscienziato e dirà che spesso non è sufficiente una vita passata sulle lenti di un microscopio per assistere alla replicazione in vivo di un neurone. I neuroni olfattivi rappresentano una stimolante eccezione per la ricerca sulle malattie neurodegenerative, con la speranza che un giorno la loro strabiliante abilità di rinnovarsi per anni e anni all'interno del naso di ognuno di noi possa essere tradotta in un cocktail molecolare per coltivare nei laboratori neuroni in piena salute da sostituire ai moncherini cellulari nei malati di SLA, corea di Huntington o Parkinson.

Ma le risorse per la salute che il naso ha da offrire non si esauriscono qui. Lo scorso novembre un gruppo di ricerca tedesco ha scoperto un sostanza antibiotica, prodotta da batteri che pacificamente si stabiliscono nel nostro organismo, dividendosi, vivendo e morendo in nicchie nelle mucose nasali. Alexander Zipperer e alcuni suoi colleghi dell'università di Tubinga hanno trovato un batterio, Staphyloccoccus lugdunensis, che vince su S.aureus, nella lotta che contraddistingue i componenti di una coltura batterica per accaparrarsi le sostanze nutritive e sopravvivere. Non è una cosa da poco. S.aureus, è un batterio che spesso si trova alloggiato nel naso di ciascuno di noi e che è di frequente la causa di raffreddore e mal di gola. Nulla di che, nessuno di noi si è allarmato per la voce roca e il naso colante. Peccato che da qualche anno a questa parte i batteri si siano fatti furbi o, sarebbe meglio dire  - come ci insegna Darwin - si siano evoluti per adattarsi. Gli antibiotici che con una certa nonchalance venivano prescritti e che erano assunti alla leggera, senza porre troppa attenzione alla posologia, cominciano ad essere meno efficaci per annientare il microscopico nemico. S. aureus, annovera tra le sue schiere agguerriti batteri resistenti alle meticilline, impiegate fino ad ora per eliminarlo. Gli Enterococchi, non sono da meno, riproducendosi nel nostro intestino sempre più incuranti della vancomicina, l'antibiotico che fino ad ora non lasciava loro scampo. Con il passare degli anni le così dette multi-farmaco resistenze porteranno a non pochi grattacapi per i clinici che dovranno trattare infezioni una volta considerate banali ma che saranno sempre più insensibili agli attacchi della medicina. Una grossa frustrazione per il medico e un preoccupante rischio per il malato, che potrebbe ritrovarsi catapultato in un passato senza antibiotici quando le infezioni batteriche erano una condanna a morte.

Ecco perchè S. lugdunensis con la sua arma letale microbicida, ribattezzata lugdunina, suscita l'entusiasmo di molti. La sua efficacia è tale che in una colonia di batteri composta per il 90% da S.aureus resistente agli antibiotici ordinari, e in un primo momento da un misero 10% di S. lugdunensis, dopo appena 72 ore S. aureus viene sbaragliato e non risulta più visibile nella coltura. Le meraviglie delle lugdunina vanno ben oltre: non solo basse somministrazioni dell'antibiotico uccidono miliardi di batteri in un topolino, ma la sostanza non risulta essere tossica per le cellule dell'immunità o per i globuli rossi e il suo assorbimento in vivo non richiede particolari accorgimenti. Testando la lugdunina con tamponi nasali contenenti S.aureus, gli studiosi tedeschi hanno potuto apprezzare come i batteri dimostrassero un'estrema difficoltà a sviluppare forme di resistenza. Una potenziale manna per tutti quei pazienti che vanno incontro ad operazioni chirurgiche e che rimangono in ospedale per lunghi ricoveri o per persone con difese immunitarie pesantemente abbassate in seguito a trapianti o a causa di malattie rare. La curiosità da parte della comunità scientifica è infine aumentata dal fatto che S. lugdunenisis fa parte del nostro microbiota, ovvero di quei microbi che convivono con il nostro organismo in simbiosi, e non da batteri o funghi del suolo, fino a questo momento la fonte principale di sostanze con azione antimicrobiche. 

Insomma, fino ad ora il naso dell'uomo ha dato prova di essere una caverna delle meraviglie scientifiche, ispirando ricerche che un giorno, forse, potranno salvare la vita a milioni di persone. La prossima volta che ci ricordiamo di lui con fastidio perché cola, pizzica, si arrossa o perché allo specchio proprio non ci piace, pensiamo al nostro naso anche con affetto: chissà quali tesori la ricerca tirerà fuori dalle nostre narici la prossima volta.

Tommaso Vezzaro

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