CULTURA

Il profilo della testimonianza diretta della Shoah dal punto di vista storico, linguistico e narratologico nell’opera di Primo Levi

Appuntamento per le scuole

La conferenza "Il profilo della testimonianza diretta della Shoah dal punto di vista storico, linguistico e narratologico nell’opera di Primo Levi",
a cura di Francesca Pangallo (Università Ca’ Foscari), rientra nel ciclo di eventi organizzati dal Comune di Padova per la Giornata della memoria.

Primo Levi rappresenta oggi uno degli autori italiani più famosi, apprezzati e quindi tradotti all’estero, sebbene nel nostro Paese la sua produzione letteraria sia stata a lungo studiata soprattutto attraverso la lente del superstite e testimone della Shoah. Eppure, come dimostra la densa e variegata forma della sua opera, se da una parte l’attività di scrittura nasce in Levi certamente dall’urgenza della testimonianza, dall’altra si evolve rapidamente in una pratica di narrazione continuativa e qualitativamente superiore: già fra il primo libro testimoniale “Se questo è un uomo” (1947/1958) e il secondo, “La tregua” (1963), sussistono molteplici differenze a livello di composizione e di scelte stilistiche. Questa evoluzione è ancora più chiara se consideriamo la struttura e l’organizzazione del materiale memoriale nelle forme del racconto breve, da “Storie Naturali“(1966) a “Il sistema periodico“ (1975) (per citare due delle molte raccolte di racconti pubblicate dall’autore in cui compare anche il tema del Lager), fino ovviamente all’ultima e più lucida analisi contenuta nel saggio “I sommersi e salvati” (1986).

Attraverso un’analisi in chiave comparata di quelle opere in cui l’autore descrive e problematizza più a fondo il nucleo tematico della persecuzione e dello sterminio nazisti, si intuisce quanto la necessità di render memoria di Auschwitz sia sempre stata accompagnata da una domanda fondamentale, di natura etica e metodologica, nello scrittore torinese: quale è infatti il medium linguistico e narrativo più efficace per tramandare ai posteri gli orrori della realtà concentrazionaria, e quale forma della narrazione dunque – tenendo conto delle sue componenti strutturali quali ad esempio i ruoli dei personaggi e la struttura l’intreccio – può esser la più appropriata per ritrarre in maniera autentica l’evento spartiacque nella storia dell’Occidente contemporaneo? Il rischio di cadere in considerazioni parziali o banali, o di ripiegare su toni emozionali e accattivanti per lo scrittore che si misura con una materia così problematica, è infatti molto elevato. L’intervento illustra come la testimonianza letteraria di Primo Levi sfrutti alcuni meccanismi della narrazione ripudiandone altri, ovvero come il suo ritratto dell’universo concentrazionario non sia riducibile allo schema “buoni contro cattivi”, né assimilabile al mito dell’eroe che supera molte e oscure peripezie per tornare a casa. Partendo dai suoi libri testimoniali più famosi, si toccheranno considerazioni di natura linguistica e narratologica rispetto alla tematica del Lager nell’opera di Levi, prendendo in considerazione il contesto storico in cui egli scrive e l’evoluzione dei toni e delle rappresentazioni relative alla Shoah dagli anni ’60 in poi.

Partecipazione libera su iscrizione.

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