UNIVERSITÀ E SCUOLA

Inglese a scuola? Non solo, il futuro parla cinese

Non è l’inglese la lingua più parlata al mondo, nonostante sia usata in più di 100 nazioni diverse da 335 milioni di persone. La diffusa percezione dell’inglese come idioma internazionale, centrata sull’Occidente, si rivela completamente sfasata di fronte ai dati reali: a dominare il panorama linguistico mondiale è invece il cinese, inteso come somma di dialetti in cui spicca per consistenza quello mandarino.

Eppure in Italia la consapevolezza della forza numerica ed economica della Cina non è ancora stata accompagnata da un pieno riconoscimento delle potenzialità della sua lingua, parlata da più di un miliardo di persone. Nel nostro Paese, fino agli anni Novanta esistevano solo quattro università che fornivano insegnamenti di cinese. Dai primi anni del 2000 è stata poi la scuola a sostenere l’introduzione dello studio di questa lingua, facendo propria una nuova idea di cittadinanza internazionale, ancora appena abbozzata nel sistema scolastico italiano.  Oggi in Italia sono circa 150 le scuole superiori dove è attivo l’insegnamento del cinese, curriculare od opzionale.

Acquisire la conoscenza  della lingua, ma anche della civiltà cinese, è stato l’obiettivo, fin dal 2006, delle esperienze didattiche curriculari nella scuola superiore italiana. Da ormai cinque anni l’istituto di istruzione superiore "Concetto Marchesi” di Padova registra un buon numero di iscritti nelle sezioni in cui è previsto lo studio del cinese come terza lingua. Quest’anno sono circa 50 ragazzi iscritti alle classi prime che affrontano da principianti assoluti lo studio degli ideogrammi. Alla fine dei cinque anni di studio ne dovranno conoscere almeno 1.500; dovranno inoltre saper leggere, scrivere, ascoltare e parlare al livello B1  del quadro di riferimento per la conoscenza delle lingue. Questo, almeno, prevede l’esame di Stato di fine anno scolatico per i ragazzi che si sono iscritti all’inizio del progetto, 5 anni fa.

A livello nazionale, pioniere dell’iniziativa è stato il liceo linguistico Pigafetta di Vicenza, nel 2006. “Agli inizi ci siamo mossi quasi sul filo dell’illegalità” spiega scherzando Chiara Simonato, docente incaricata di funzione strumentale nel liceo vicentino, “perché a quel tempo la normativa in vigore prevedeva per le scuole secondarie di secondo grado lo studio di lingue straniere esclusivamente comunitarie. Per assurdo era possibile studiare con pieno riconoscimento l’estone o il finlandese, ma non il cinese o l’arabo. Solo nel 2009 l’allora ministro dell’istruzione Mariastella Gelmini autorizzò il primo esame di stato, e nel 2010 la sua riforma cancellò l’aggettivo comunitario riferito allo studio della lingua, che divenne più genericamente straniera”. 

Un caso, questo, in cui “La scuola è stata protagonista rispetto all’istituzione” sottolineava Giorgio Corà all’alba della riforma, nel 2011, nel corso di un convegno sulla didattica del cinese: “L’istituzione ha seguito la sollecitazione della scuola e non l’ha disconosciuta. La richiesta imprenditoriale è giunta alla scuola che l’ha raccolta, l’istituzione le ha seguite”. L’appeal economico si è reso tale da rendere necessario lo studio del cinese non solo nei licei a specifica vocazione linguistica, ma anche in diversi istituti tecnici. A Padova il primo ad accogliere queste sollecitazioni, ancora prima del Marchesi, è stato infatti l’istituto Einaudi Gramsci, che prima della riforma Gelmini aveva già attivato l’insegnamento curriculare del cinese all’interno dell’indirizzo turistico. Da un paio d’anni a Padova, inoltre, la prima Scuola internazionale italo – cinese ha ottenuto l’abilitazione all’insegnamento: le lezioni, bilingue, sono conformi ai programmi scolastici italiani e cinesi.

Territorio in cui il tessuto economico e produttivo sembra rispondere più velocemente al processo di internazionalizzazione, il Veneto appare dunque in prima linea nella diffusione del cinese nelle scuole superiori. In parallelo alle scuole della nostra regione, se ne sono mosse molte lombarde e dell’Emilia Romagna. Ancora lento il processo, invece, nelle regioni meridionali.

“Dal punto di visto amministrativo e burocratico, la macchina è molto complessa”, spiega chiara Simonato, “e ancor più dal punto di vista formativo. Uno dei problemi più pressanti è il livello di preparazione linguistica dei giovani laureati in lingue orientali, che deve assolutamente essere più alto  dell’attuale. Basti considerare che  la scuola si propone di congedare studenti con livello B1, e che i loro insegnanti oggi sono dotati dall’università di un fragile B2”. La classe di concorso in lingua e civiltà cinese è stata istituita solo due anni fa, mentre il tirocinio formativo attivo (Tfa) per insegnanti di cinese è stato attivato per la prima volta nel 2012.

Visto il rallentamento della crescita economica della Cina, viene da chiedersi se faremo in tempo ad agganciarci almeno al treno culturale cinese prima che l’attenzione verso Oriente scemi. Nella convinzione che l’apertura al mondo globale non si limiti a calcoli finanziari.

Chiara Mezzalira

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