UNIVERSITÀ E SCUOLA

Kounellis a Padova: storia di un monumento incompreso

A poco più di un anno di distanza dalla scomparsa di Jannis Kounellis (1936-2017), esponente tra i più rappresentativi del movimento italiano dell’Arte povera, sono molti gli eventi nazionali che celebrano la storia dell’artista di origini greche, inclusa la mostra Jannis Kounellis in Statale, visitabile negli spazi dell’università di Milano fino a dicembre 2018.

Tali ricorrenze offrono l’occasione per ricordare e approfondire la storia di un monumento che Kounellis realizzò nel 1995 per l’università di Padova, in occasione della celebrazione del Cinquantenario della Resistenza e della Guerra di Liberazione in Italia.

L’opera, che rimane alla storia come una delle installazioni più controverse tra i monumenti pubblici italiani e che all’epoca provocò reazioni più che contrastanti, è tuttora portatrice di significati ideologici e civili profondi e custodisce, nella specificità della sua forma, uno dei più importanti tentativi di rinnovo scultoreo su scala monumentale.

Le circostanze che ne portarono all’esecuzione, testimoniate con precisione dai verbali del Senato accademico dell’epoca, attestano la volontà dell’Ateneo patavino di riportare alla memoria le vicende eroiche di tre professori universitari protagonisti della Resistenza partigiana – Ezio Franceschini, Concetto Marchesi e Egidio Meneghetti – le cui azioni valsero all’università il conseguimento di una medaglia d’oro al valor militare.

Secondo i documenti istituzionali venne istituito un comitato scientifico a guida del progetto, si concordò la costruzione di un monumento commemorativo e si decise di affidarne la commissione a Kounellis, il quale avrebbe dovuto concludere il lavoro entro il 25 aprile 1995, cinquantesimo anniversario della Liberazione.

L’opera Resistenza e Liberazione – questo il titolo scelto dall’artista – alla fine fu inaugurata nel cortile interno del Bo il 29 maggio dello stesso anno sollevando per lo più pareri ostili e critiche da parte dei cittadini e del retroscena accademico, tanto da indurre l’allora Rettore Prof. G. Muraro alla stesura di una lettera pubblica che specificava le ragioni più che autorevoli che avevano portato a una scelta del genere.

Senza dubbio, il forte disconoscimento pubblico che scaturì nei confronti del monumento fu causato da questioni di carattere eminentemente estetico. Venne presentata alla cittadinanza un’installazione molto imponente, a muro, realizzata con una serie di travi di legno consunte dal tempo, scheggiate, di tonalità differenti, assemblate secondo un metodo caro all’artista fin dalla seconda metà degli anni Sessanta e che privilegiava, nella presenza ‘nuda’ dell’elemento fisico, un principio di specificità storica fortemente evocativo.

Assistito dalla Galleria Fioretto, allora uno dei riferimenti più importanti per le ricerche contemporanee, Kounellis aveva infatti raccolto vecchie travi di legno nei pressi della periferia della città, con l’intenzione di conferire all’intero progetto installativo un valore originario legato al territorio. La scelta dell’elemento ligneo voleva inoltre caricarsi di un secondo scarto temporale nel rimando alla famosa cattedra di Galileo Galilei, esposta a pochi passi dal monumento commemorativo.

Tuttavia, nonostante queste premesse, alla collettività l’opera non piacque: essa negava, nella sua stessa forma, quella traccia narrativa quasi sempre indispensabile affinché si consolidi tra il pubblico e l’opera d’arte un rapporto di tipo compartecipativo o quantomeno una sorta di legittimazione sufficiente a stabilire, nell’immediato, un riconoscimento in termini generali. Non a caso l’opinione negativa andò cementandosi nel confronto con il famoso Palinuro (1947) di Arturo Martini, improntato allo stile classico novecentista ed esposto a pochi passi dall’installazione di Kounellis. Il monumento alla memoria del partigiano ‘Masaccio’ donato all’università di Padova dalla brigata partigiana “Martiri del Grappa”, costituiva infatti uno dei più solidi esempi della statuaria italiana del Novecento ed era chiaramente un’opera conforme alle istanze commemorative e ideologiche a cui era stata chiamata a rispondere. Contrariamente l’installazione di Kounellis echeggiava quel tentativo di rinnovo plastico su scala monumentale, genericamente classificabile in senso astratto, avviato fin dai tempi del Modernismo di fine Ottocento che inevitabilmente aveva portato alla progressiva scomparsa del monumento tradizionalmente inteso (si pensi, ad esempio, al Monumento al partigiano di Pietro Consagra, ai Cancelli delle Fosse Ardeatine di Mirko Basaldella e alla stele di Arnaldo Pomodoro a Gallarate). Eppure, all’epoca, Padova non era estranea a soluzioni estetiche lontane dalla figurazione: da decenni ricorrevano importanti manifestazioni pubbliche come la Biennale d’arte internazionale del Bronzetto e regolarmente venivano esposti negli spazi aperti della città artisti italiani e internazionali impegnati su fronti linguistici tra i più sperimentali. L’edizione del 1995, peraltro, fu dedicata allo stesso Kounellis, cosicché il monumento universitario fu fatto rientrare in un percorso di sculture urbane che metteva in mostra, accanto ai molti artisti del territorio, le opere di Mauro Staccioli, Giò Pomodoro e Toni Benetton.

Quel che è certo è che l’opera di Kounellis non è mai stata compresa nella sua espressione più profonda, né mai è stata divulgata fino in fondo la sua genesi, storicamente complessa e affascinante al tempo stesso. Negli anni 1969-86 Kounellis iniziò a realizzare opere incentrate sulla tematica della Storia – le cosiddette “blocked floors – o – doors” – con una modalità installativa che verrà poi riproposta per il monumento patavino del 1995: stratificazioni di materiale di vario tipo – per lo più travi e sassi recuperati da ambienti dismessi – venivano saldati su telai d’acciaio e interpretati dall’artista come ‘aperture’ e ‘chiusure’ metaforiche rispetto a parabole storiche che ciclicamente vivono condizioni di sbarramenti e ostracismi fisici e mentali. Nel cortile del Bo di Padova, come al Martin Gropius-Bau di Berlino (1982) o alla Jean Bernier Gallery di Atene (1985), le opere venivano dunque installate su finestre, porte o mura che significativamente mimavano quell’idea di isolamento tragico che Kounellis intendeva esprimere. Non solo: nella storia più recente l’opera dell’università di Padova si lega ad altri monumenti realizzati dall’artista in commemorazione di gravi episodi storici di violenze e soprusi: uno per tutti, l’installazione che l’autore esegue a Sarajevo nel 2004 in ricordo della tragica distruzione della Biblioteca Nazionale della città, bombardata e incendiata tra il 25 e il 26 agosto 1992. La familiarità di percorso con questo nucleo di lavori precedenti e successivi, per i quali è sempre la fisicità del materiale a connotare per prima l’idea della Storia, permette dunque la messa a fuoco di un monumento, quello padovano, ragionevolmente legato ai concetti di luogo, memoria e contestazione che dovrebbero indurre, nel pensiero di chi guarda, al riconoscimento dell’intima essenza dell’esistenza umana e quindi al riconoscimento di se stessi.

L’opera Resistenza e Liberazione di Kounellis ha superato negli anni le polemiche iniziali ma è necessario confermarne metodicamente il valore prezioso legato alla storia dell’università di Padova e non solo, affinché non scivoli in quella spiacevole condizione di invisibilità a cui è spesso destinato, per sua stessa natura, qualsiasi monumento storico su suolo pubblico.

Elisabetta Vanzelli

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