SOCIETÀ

Se l’Europa muore nei Balcani

Balcanizzazione <bal-ca-niẓ-ẓa-zió-ne> s. m.: riduzione in uno stato di cronico disordine civile o di frammentazione politica. Se la lingua non mente è davvero poco positiva, secondo un dizionario come il Devoto Oli, la nostra visione di una certa parte d’Europa, delle genti che la abitano, delle sue particolarità e dei suoi problemi. Un’immagina fatta di instabilità e sottosviluppo, caratterizzata dalla ferocia atavica degli infiniti conflitti etnici e religiosi, molto più confine – più o meno militarizzato – che ponte. In fondo è qui che è scoppiata la prima guerra mondiale ed è sempre qui che, 25 anni fa, la guerra è tornata dopo decenni nel cuore dell’Europa. E se oggi si torna a parlare dei Balcani è solo a causa dell’emergenza migranti, con interi popoli in fuga che ancora una volta cercano di risalire la penisola verso il sogno di un’Europa più ricca e civile.

Per questo la parola Balcani non piace nemmeno a quanti questa regione la abitano, che sempre più spesso oggi preferiscono il termine di “Europa sud-orientale”. Nel quale sta nascosta anche una diversa concezione geopolitica, dato che nel concetto in questo caso rientrerebbero – oltre alle repubbliche derivanti dallo smembramento della ex Jugoslavia, la Grecia, la Turchia e la Bulgaria – anche la Romania e la Croazia. Una regione da sempre periferica ma anche decisiva nella storia europea, quella descritta da Egidio Ivetic nell’agile I Balcani dopo i Balcani. Eredità e identità, recentemente edito da Salerno. Titolo ispirato alla formula Byzance après Byzance dello storico Nicolae Iorga (creatore tra l’altro dell’istituto rumeno di cultura di Venezia), convinto assertore dell’unità della sfera culturale e religiosa di questi popoli, nel segno soprattutto di quella che lui definiva come l’immutabile perennità bizantina. Un orizzonte comunque intaccato e profondamente trasformato da secoli di dominio turco.

Balcani ed Europa sud-orientale, ma anche “Turchia d’Europa” per gli occidentali e Rumelia, “terra dei romani”, secondo i conquistatori ottomani. Tanti nomi per definire una terra di confine e di passaggio: tra Europa e Asia, Cristianesimo e Islam, ortodossia e cattolicesimo, cultura slava, greca, turca, latina, e in anni più recenti tra socialismo e capitalismo, legalità e criminalità internazionale. Una complessità confermata dallo stesso Ivetic: “Oggi i Balcani, o Europa sud-orientale, sono la zona più complessa ma anche ricca culturalmente d’Europa – spiega lo storico al Bo –. Un incrocio di almeno tre civiltà e al tempo stesso un pezzo d’Europa, un posto estremamente interessante anche per ripensare la nostra stessa identità”. 

Un luogo dove la storia è già passata prepotentemente (la vera capitale dei Balcani, scrive Ivetic, in fondo è Costantinopoli-Istanbul), che oggi sta tornando di nuovo al centro dei giochi internazionali: “Attualmente nella zona sono presenti gli Stati Uniti attraverso la Nato ma anche l’Unione Europea, sia direttamente che attraverso gli stati candidati all’ingresso. Senza dimenticare la Russia, che esercita la sua influenza anche tramite il passaggio degli oleodotti e dei gasdotti, e la Turchia, che economicamente è in ascesa. E che sta anche elaborando una nuova visione di se stessa: non a caso si parla di neo-ottomanismo, che si estrinseca anche in un nuovo approccio rispetto ai Balcani”.

Un’eredità, quella ottomana, che torna a farsi sentire soprattutto negli unici stati europei a maggioranza musulmana come l’Albania, la Bosnia Erzegovina e il Kosovo. Società che in questo momento, secondo Ivetic, “stanno vivendo una trasformazione profonda del loro modo di intendere e di vivere l’Islam, con il passaggio da una tradizione laica a una visione molto più religiosa e oltranzista, fortemente collegata alla Turchia e ai paesi del Golfo. Si sta insomma imponendo un Islam più conservatore e religioso, con una componente wahabita che prima non era presente, in linea con le tendenze internazionali ma profondamente diverso da un Islam balcanico che oggi si va perdendo”.

Un groviglio inestricabile di popoli e di lingue, diversi ma caratterizzati anche da tratti comuni, oggi come sempre condannati ineluttabilmente a un destino comune. E non è forse casuale come negli ultimi anni ci sia stato un grande revival delle tradizioni culturali (dalla musica alla cucina passando per il successo, pressoché in tutta la penisola, delle serie televisive turche). Soprattutto oggi, dopo che la fine delle speranze legate a un’integrazione nell’UE stanno lasciando sempre più spazio alla disillusione verso l’Europa, troppo spesso vista come senz’anima e incapace di apportare questa volta pace, democrazia e sviluppo.

Daniele Mont D’Arpizio

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