“Pianta un albero e aspetta cinque anni”, recita un antico precetto del Gautama Buddha. Ma se di alberi ne piantiamo mille miliardi su una superficie di 8 o 9 milioni di chilometri quadrati, sostiene un gruppo di ricercatori svizzeri in un articolo pubblicato a inizio dello scorso luglio su Science, e aspettiamo un po’ più di cinque anni potremo sottrarre all’atmosfera 750 miliardi di tonnellate di anidride carbonica, più o meno quanto l’umanità vi ha conferito negli ultimi 25 anni e i due terzi di quanta vi ha immesso dalla rivoluzione industriale ai nostri giorni.
Pianta mille miliardi di alberi e risolverai, almeno in parte, il problema dei cambiamenti climatici, sembra dire il team svizzero. D’altra parte il progetto è diventato oggetto della The Trillion Tree Campaign (campagna per mille miliardi di alberi) sotto l’egida delle Tree Planting Organizations, che vanta di averne già piantato 13,6 miliardi.
Non è l’unica iniziativa nel settore. In Africa, per esempio, molti governi si sono organizzati per creare un unico Great Green Wall, un grande muro verde, lungo 7.600 chilometri da ovest a est sotto il Sahara, in pratica dal Senegal e dalla Mauritania all’Etiopia e all’Eritrea. Lo scopo è triplice: 1) contribuire a prevenire i cambiamenti climatici; creare un santuario unico della biodiversità, senza interruzioni; ribaltare la tendenza del deserto ad avanzare.
Proprio nei mesi scorsi l’Etiopia ha battuto un autentico record: ha piantato in un solo giorno 350 milioni di alberi, con l’obiettivo di raggiungere il miliardo a breve. Operazioni di forestazione (piantare alberi dove non c’erano), riforestazione (piantare alberi dove prima, non più di 50 anni fa, c’erano e ora no), e afforestazione (piantare alberi in zone dove gli alberi c’erano, ma prima di 50 anni fa) si stanno realizzando in tutto il mondo.
Sia bene inteso, è una buona pratica. Anzi, ottima. Perché va incontro sia all’esigenza di tutela della biodiversità che a quella di prevenzione del clima.
Tuttavia non esistono pasti gratis in natura. Ogni azione umana ha (può avere) degli effetti indesiderati. Prendiamo la Cina, che in fatto di “piantare alberi” ha fatto passi importanti in anni recenti. Come dimostra un articolo comparso su Nature lo scorso 26 settembre. Dal 1978 a oggi, secondo il governo di Pechino, in Cina sono stati piantati 66 miliardi di alberi in zone che ne erano prive, nel tentativo di fermare l’avanzata dei deserti. Il programma ha avuto successo, come confermato da analisi via satellite della americana NASA: nell’anno 2000 l’avanzata dei deserti sembrava inarrestabile, ogni anno occupavano una nuova superficie dell’ordine dei 10.000 chilometri quadrati. Nel 2017 la situazione è stata ribaltata, grazie alla piantumazione programmata: quell’anno il deserto è arretrato di 2.400 chilometri quadrati.
Indubbiamente, un gran successo!
Ma lo stesso articolo ci informa che non tutto va benissimo. Non sempre gli alberi piantati sono stati quelli giusti, ovvero non sono capaci di adattarsi alle condizioni climatiche incontrate. Ciò sta determinando una richiesta di acqua per non farli morire che incide sulla disponibilità della risorsa. E ancor più potrebbero farlo in futuro, quando si prevede la scarsità di acqua aumenterà mentre nuovi alberi saranno piantati in zone aride. Il governo cinese pensa di coprire ad albero il 30% della superficie del paese (ovvero quasi 3,5 milioni di chilometri quadrati). Oggi la copertura forestale riguarda il 22% della superficie cinese. Il programma è, dunque, di piantare alberi su quasi un milione di chilometri quadrati (800.000 chilometri quadrati, per la precisione; più o meno quanto la Sagna e l’Italia messe insieme). Se la riforestazione non sarà realizzata secondo le migliori conoscenze scientifiche, potrebbe produrre come effetto indesiderato non pochi problemi.
Un altro problema riguarda la gestione delle foreste. Proprio su Nature alcuni ecologi ricordano che la rimozione degli alberi morti a opera dell’uomo sta causando una diminuzione della biodiversità (soprattutto di insetti e funghi) nelle foreste dell’Europa centrale.
Ma cosa si può dire nel settore specifico dei cambiamenti del clima? Gli effetti da tenere in conto sono quattro.
Primo: non tutti gli alberi sono uguali. Occorre scegliere gli alberi giusti da piantare luogo per luogo, ascoltando con attenzione i consigli degli scienziati.
Secondo: la forestazione, riforestazione, afforestazione sono un’azione a termine. Mentre crescono gli alberi assorbono anidride carbonica, sottraendola all’atmosfera. Ma una volta che sono diventati “adulti” e la crescita cessa, viene raggiunto un sostanziale equilibrio tra sottrazione e addizione. Gli alberi restano una fonte congelata di anidride carbonica, ma non riescono più a fungere da pozzo.
Terzo: anche se piantassimo mille miliardi di alberi coprendo una superficie superiore a 8 o 9 milioni di chilometri quadrati, avremmo – pro tempore – attenuato il problema, ma non lo avremmo risolto del tutto.
Quarto: gli alberi crescono troppo lentamente rispetto alle nostre esigenze, che sono quelle indicate dall’IPCC: evitare che l’aumento della temperatura media del pianeta superi gli 1,5 °C rispetto all’epoca preindustriale. E per fare questo abbiamo solo dieci anni di tempo. Non possiamo aspettare i tre, quattro, cinque decenni che impiegano i giovani alberi a diventare adulti e a esplicare la funzione che assegna loro il team di ricerca svizzero.
Morale: se vogliamo combattere fino in fondo i cambiamenti climatici e tentare di rispettare le indicazioni della comunità scientifica, dobbiamo utilizzare anche lo strumento albero, ma non possiamo utilizzare solo quello strumento. Non c’è, dunque, alternativa a una radicale trasformazione del nostro paradigma energetico e al sostanziale phase outdei combustibili fossili (carbone, petrolio, gas naturale) e vantaggio delle fonti rinnovabili e carbon free, come l’eolico e soprattutto il solare.