Quest’anno ricorre il centenario della nascita di Henrietta Lacks, donna afroamericana deceduta a 31 anni, il 4 ottobre del 1951, a causa di un adenocarcinoma della cervice uterina. Il cancro le fu diagnosticato presso il John Hopkins Hospital di Baltimora, che all’epoca era uno dei non molti ospedali negli Stati Uniti che forniva cure agli afroamericani. La diagnosi fu eseguita tramite biopsia e le cellule cancerogene prelevate dal corpo di Henrietta rivelarono avere una straordinaria capacità di sopravvivere e riprodursi, dando vita a una prima linea cellulare umana che si può definire immortale: in sostanza, a differenza delle colture precedenti, le cellule di Henrietta non invecchiavano mai e continuavano, perciò, a dar vita a nuove generazioni cellulari. Tali cellule si diffusero in tutti i laboratori del mondo, permettendo una straordinaria serie di scoperte in diversi ambiti medici. Queste cellule vengono ancora oggi definite cellule HeLa, dal nome della paziente, sebbene la sua identità sia stata rivelata solo decenni dopo l’inizio del loro utilizzo. Inoltre, sia le modalità di prelievo, sia quelle – appunto – di utilizzo, sia quelle legate alla diffusione dei dati biologici hanno sollevato e stanno sollevando tutt’oggi diversi quesiti bioetici a cui si sta ancora tentando di dare una risposta.
La vicenda delle cellule HeLa implica infatti diverse questioni, sia strettamente scientifiche, sia, appunto, di natura più specificatamente etica.
Da un punto di vista scientifico, la particolarità di tali cellule, come già accennato, consiste nella loro capacità di riprodursi in vitro in modo pressoché indefinito. Dopo essere state prelevate dalla paziente tramite biopsia, parte del tessuto tumorale fu acquisito dal laboratorio di coltura di tessuti presso lo stesso Johns Hopkins Hospital diretto dal dr. George Otto Gey (1899-1970), noto per diverse scoperte e innovazioni in quest’ambito. Proprio in quegli anni, Gey stava lavorando all’isolamento e al mantenimento di tessuti normali o patologici di modo che potessero fornire linee cellulari stabili da utilizzare per fini di ricerca. Le cellule cancerogene di Hernietta si dimostrarono le prime in grado di continuare a crescere e riprodursi, contrariamente a diversi tentativi precedenti. Nel 1999, si è scoperto che il genoma di tali cellule era mutato per la presenza del virus del papilloma umano e che tale mutazione aveva determinato la loro capacità di non invecchiare.
Come già accennato, le cellule HeLa furono cruciali per molte scoperte scientifiche e continuano ad essere utilizzate ancora oggi. Dopo la pubblicazione dei primi dati nel 1952, il dr. Gey accolse le richieste di diversi ricercatori sia negli Stati Uniti sia in altri paesi per ottenere le cellule HeLa, che in questo modo, come già accennato, si propagarono, nel corso degli anni, in un numero enorme di laboratori in tutto il mondo. Furono impiegate, per esempio, per le ricerche sul vaccino contro la poliomielite, per sviluppare le tecniche di mappatura genetica, per quelle di fertilizzazione in vitro, e sono ancora oggi utilizzate, per esempio, per la realizzazione di un vaccino contro il ben noto Covid-19.
Un’ulteriore questione scientifica legata alle cellule HeLa è quella della contaminazione. Proprio a causa della loro straordinaria capacità di crescita, sin dal 1966 si è scoperto che avevano contaminato diverse altre colture cellulare in laboratori di tutto il mondo. Esse infatti possono essere inavvertitamente trasferite ad altre colture attraverso particelle di polvere, goccioline respiratorie (meglio note col nome inglese di “air droplets”), o a causa di una non perfetta sterilizzazione delle mani degli operatori o dei loro strumenti.
Servizio di Elisa Speronello
Da un punto di vista etico, la questione principale risiede nel fatto che le cellule di Henrietta furono utilizzate a scopo di ricerca senza che lei lo sapesse, né tantomeno ne diede esplicito consenso. Sebbene all’epoca ciò fosse del tutto legale, la questione ha generato, negli anni successi e ancora oggi, diverse dispute di natura bioetica.
La prima è quella, appunto, del consenso. Henrietta, come già detto, non diede alcun consenso all’utilizzo sperimentale dei suoi propri tessuti. Questa mancanza di comunicazione fra medico e paziente ha suscitato critiche nei confronti di una medicina che, in certi casi, sembra vedere il paziente come un “oggetto” da utilizzare a proprio piacimento per possibili nuove scoperte scientifiche. Naturalmente, si può trattare di casi limite e nel corso degli ultimi anni la consapevolezza dell’importanza di concepire il paziente come “persona” – come soggetto, quindi, con pieno diritto di conoscere e scegliere autonomamente ogni dettaglio del proprio percorso terapeutico – si è profondamente sviluppata ed è ormai ampiamente condivisa dalla comunità medico-scientifica. La famiglia di Hernietta, inoltre, restò all’oscuro dell’utilizzo e della diffusione delle cellule HeLa fino al 1973, cioè qualche anno dopo la morte del dr. Gey, che si era ben guardato dal rivelare il nome della paziente. La situazione si è ulteriormente complicata solo pochi anni fa, cioè nel 2013, quando il genoma delle cellule è stato divulgato in una banca dati pubblica, comportando, con ciò, una violazione della privacy dei familiari ancora viventi che, ovviamente, in parte condividono quello stesso genoma. È stato quindi raggiunto un accordo con i familiari che ha permesso il mantenimento della conoscenza pubblica dei dati. Naturalmente, la raccolta di informazioni personali, biologiche e molecolari dei pazienti è un elemento imprescindibile verso lo sviluppo di una medicina sempre più di precisione e personalizzata. Ma il consenso alla raccolta di questi dati da parte dei pazienti, le modalità della loro archiviazione ed eventuale diffusione resta una questione complessa ancora ampiamente dibattuta.
Ancora in questo stesso 2020 si è discusso dell’uso delle cellule HeLa. Alcuni membri del movimento “Black Lives Matter” hanno proposto di ridurre o persino interrompere l’utilizzo delle cellule HeLa, in quanto ricavate da una donna afroamericana senza il suo consenso. Tuttavia, non è quello che i discendenti stessi di Henrietta vogliono, che anzi hanno lanciato l’iniziativa HELA100 per celebrare la vita e l’eredità della loro antenata. Il nipote di Henrietta, Jeri Lacks-White, per esempio, ha dichiarato alla rivista Nature: “Voglio che gli scienziati riconoscano che le cellule HeLa derivano da una donna Afroamericana che era fatta di carne e sangue, che aveva una famiglia e una storia”. In ogni caso, il direttore del National Institutes of Health Francis Collins ritiene che si debbano cambiare i criteri che proteggono i partecipanti umani alle ricerche finanziate dal governo USA. La revisione implicherebbe che si debba richiedere il consenso a chiunque vengano estratti tessuti biologici, anche qualora tali tessuti vengano resi del tutto anonimi. Tra l’altro, un simile tentativo di revisione, proposto nel 2017, fallì per l’opposizione della comunità scientifica che riteneva che ciò avrebbe comportato un ulteriore limite alla ricerca biomedica.
Un’ulteriore questione è quella di un eventuale riconoscimento finanziario dei “proprietari” dei tessuti che vengono utilizzati a scopo di ricerca. Diversi scienziati ritengono sia giusto pagare i donatori consenzienti e alcuni istituti di ricerca stanno riflettendo se e come riparare a simili errori nel passato.