SOCIETÀ

La 194: una legge per una maternità consapevole

A quarant'anni dall'approvazione in Italia della legge 22 maggio 1978 n. 194 per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza, l'Irlanda, lo scorso 25 maggio, si è espressa con un referendum a favore dell'aborto e quindi dell'abrogazione dell'articolo della costituzione che ne proibiva la pratica in qualsiasi circostanza. 

Intanto Lorenzo Fontana, il nuovo ministro della Famiglia e disabilità dichiaratamente contrario all'aborto, ha espresso la sua volontà di potenziare i consultori così da dissuadere le donne dall'abortire e di elaborare politiche a favore della natalità che aiutino le donne nella decisione di portare avanti una gravidanza. 

Il dibattito politico che precedette l'approvazione della 194 fu molto lungo e combattuto, a questo fece seguito il 17 maggio 1981 un referendum che vide il 68% del popolo italiano schierarsi in favore della legge. Alla fine prevalse il riconoscimento di un diritto che avrebbe segnato la vita di tante donne: non quello di abortire, ma quello di avere la dignità di poterlo fare in sicurezza, alla luce del sole, senza sentirsi abbandonate dallo Stato.

Soprattutto sancì la riappropriazione del ruolo di madre come scelta consapevole e responsabile, piuttosto che come destino ineluttabile. "La maternità è un valore, ma deve essere scelta" come spiega Lorenza Perini, docente di Gender policies all'università di Padova. Il fatto che le donne possano essere madri, portando in grembo il proprio figlio, fa sì che a livello culturale e sociale ci sia l'idea inconscia che prima o poi la realizzazione femminile debba passare per la maternità.  

Noi nasciamo dentro una cultura che ci dice questo: le donne sono sempre con un bambino in braccio Lorenza Perini, docente di Gender policies all'università di Padova

Ed è forse questa concezione culturale che ha spesso fatto passare in secondo piano i diritti e la salute della donna, lodata e sacralizzata nella sua figura di madre, ma contrapposta, nel suo essere persona, al concepito. "È difficile parlare di cittadino finché il feto resta in grembo alla madre, il cittadino è colui che è nato - prosegue Lorenza Perini - si tratta di superare questa idea: la sociologa Tamar Pitch ha scritto Un diritto per due. Il diritto è uno solo, cioè quello della donna di scegliere quando diventare madre, quando compie questa scelta allora entra in gioco il concepito, non prima".   

Su queste tematiche venne portato avanti il contenzioso tra i partiti politici negli anni '70 che cercavano di stabilire quando fosse il preciso momento in cui l'agglomerato di cellule nel grembo materno potesse essere definito "persona"

Carlo Flamigni, medico, accademico e scrittore italiano, studioso della bioetica, si esprime così sull'argomento: "Le definizioni sono molto più numerose di quanto si pensi. Nella primissima fase per i biologi è praticamente impossibile stabilire quando inizi la vita personale, è più un problema di tipo filosofico. Alcuni ritengono che la vita inizi a 5 giorni dal concepimento, con l'impianto embrionale, per altri è necessario aspettare due settimane, quando si delinea la linea embrionale. Un prete australiano ha teorizzato che l'inizio della vita coincida col momento in cui l'embrione non si può più dividere in gemelli, esiste poi l'ilomorfismo secondo il quale l'anima non può entrare in un embrione che non abbia ancora una forma umana. Credo che sia un problema sul quale bisogna arrivare a compromessi".

Fino ad oggi è impossibile far sopravvivere un feto, al di fuori dell'utero materno, che non abbia raggiunto la ventiduesima settimana, ovvero quella in cui si formano gli alveoli polmonari, molti istituti di ricerca stanno però lavorando alla costruzione di un utero artificiale, spiega Carlo Flamigni.   

Ci sono molte posizioni, ma conta quella legale: abbiamo una legge che autorizza le donne a decidere nei primi 90 giorni e poi dà la parola al medico nel semestre successivo Carlo Flamigni, medico, accademico e scrittore italiano

Le modalità in cui può essere eseguita l'interruzione di gravidanza variano dal ricovero all'utilizzo di farmaci, promosso formalmente dalla legge che incoraggia l'utilizzo delle tecniche innovative che la scienza mette a disposizione. "La pillola del giorno dopo non sarebbe classificabile come abortiva, esistono ricerche scientifiche che lo confermano, perché impedisce unicamente la fecondazione, anche se questo per alcuni potrebbe essere eticamente non accettabile. La pillola dei 5 giorni dopo potrebbe essere considerata abortiva perché agisce proprio nel momento dell'impianto dell'embrione, tuttavia è molto facile da assumere, non dà complicazioni particolari e se ne fa un uso straordinario in questo momento" come dichiarato dal professor Flamigni. 

La RU486 è il farmaco abortivo che viene utilizzato in periodi successivi. A questo trattamento fa seguito l'utilizzo di una sostanza che viene utilizzata anche per altri ragioni, come il mal di stomaco, si tratta delle prostaglandine. Queste servono a far espellere l'embrione che si è ormai distaccato dal suo impianto, ma l'utilizzo elevato può costituire un rischio per la salute della donna. Le interruzioni di gravidanza fatte con un sistema chimico, piuttosto che con un intervento chirurgico, non prevedono il ricovero della paziente e sono quindi preferibili, purché eseguite tempestivamente.   

La legge 194 è secondo Lorenza Perini "una delle migliori leggi presenti sull'aborto in questo momento", ma presenta un punto critico: l'obiezione di coscienza, ovvero la possibilità per i medici di non attuare l'interruzione di gravidanza in conformità coi propri principi religiosi o morali, salvo nel caso di pericolo di vita per la gestante. Questa clausola era necessaria per avere l'apporto della Democrazia cristiana al momento delle votazioni, col tempo si è pensato di cambiare questo punto per rendere la legge più solida, ma "correggere questo punto significherebbe mettere in pericolo tutto l'impianto della legge".  

Il numero di medici obiettori in Italia è talmente alto che in alcune regioni è quasi impossibile garantire questo diritto. All'interno del gruppo di ricerca del dipartimento di Scienze politiche, di cui fa parte la professoressa Perini, che lavora coi consultori, si ritiene che un punto fondamentale per arginare questo fenomeno sia la formazione dei medici: "Queste percentuali non giustificano assolutamente il fatto che ci sia un problema di coscienza religiosa, c'è una problematica di carriera, di stigma: i medici che fanno aborti sono etichettati come tali e non fanno carriera. Ciò spinge i giovani medici a non dare la propria disponibilità".

Non sono mai stati messi in pratica tutti gli articoli, come quelli sulla prevenzione. L'educazione sessuale, i consultori che funzionano, tutto questo non è mai stato fatto, ciò ha portato a una legge non del tutto attuata che presenta delle criticità Lorenza Perini, docente di Gender policies all'università di Padova

Carlo Flamigni, che è stato direttore della clinica ostetrica e ginecologica dell’università degli studi di Bologna dal novembre 1994 al dicembre 2001, ritiene che "un medico che lavora nell'ospedale in cui c'è un presidente cattolico sa che (se non si dichiara obiettore) non diventerà mai aiuto, non diventerà mai pimario, perché esiste una specie di condanna sociale".

Quindi, come si potrebbe risolvere questo problema nella pratica? "È un problema di creare delle istituzioni apposite. Provi a immaginare dei servizi in cui si fanno sia le interruzioni di gravidanza che le fecondazioni assistite, due tecniche per le quali esiste la possibilità di obiezione, se uno decide di fare obiezione di coscienza non può fare carriera in quelle strutture, altrimenti non lavorerebbe mai".

Bisognerebbe stabilire l'esistenza di servizi nei quali si assumono solo persone che non saranno obiettori Carlo Flamigni, medico, accademico e scrittore italiano

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