SCIENZA E RICERCA

Il 31 maggio: l'atomo come arma di guerra e la responsabilità scientifica

Era il 31 maggio 1945 quando Robert Oppenheimer, Enrico Fermi, Ernest Lawrence e Arthur Compton, in qualità di “Invited scientists” si riunirono insieme all’Interim Committee, un gruppo ad alto livello di segretezza messo in piedi dal Segretario della Guerra degli Stati Uniti Henry Lewis Stimson. Tra i membri del comitato c'erano anche gli statunitensi Vannevar Bush, ingegnere e tecnologo, e James Conant, chimico. 

Di lì a pochi mesi il mondo intero avrebbe conosciuto la prima arma nucleare della storia: la bomba atomica, obiettivo del progetto Manhattan iniziato nel 1942. Mancava davvero poco allo sgancio di Little Boy e Fat Man, rispettivamente su Hiroshima e Nagasaki. I risultati di quel progetto erano ormai chiari a chi ci lavorava, a chi più e a chi meno, e non mancava una sorta di preoccupazione. Tant'è che il compito dell'Interim Committee era, riferendosi alla bomba, “proporre una linea di condotta al ramo esecutivo e a quello legislativo, da realizzare una volta tolto il segreto”.

Ma quel 31 maggio si iniziò ad andare oltre i rami esecutivo e legislativo. Stimson aprì la seduta sostenendo come, né lui né il generale e Capo di Stato Maggiore Marshall, cui spettavano gli aspetti militari del progetto nucleare, consideravano la bomba un affare solamente militare. Anzi, in quell'occasione riconobbero come con il progetto Manhattan si fosse instaurata una relazione nuova tra l'uomo e l'universo. Era necessario, quindi, fare ogni sforzo per controllare l'energia atomica, per renderla strumento di pace e non una minaccia per la civiltà.
E per questo gli scienziati protagonisti del progetto veniva affidato un nuovo compito: fornire valutazioni politiche e militari sull'uso dell'ordigno atomico appena realizzato.

Dovevano quindi assumersi le loro responsabilità. Responsabilità, una parola che in quegli anni  e in quel contesto cominciò ad acquisire significati più ampi. Da un lato era già chiara la responsabilità sociale dei singoli poiché gli scienziati erano già costretti a uscire dai loro laboratori e a compiere delle scelte sia scientifiche, che politiche ed etiche. A queste scelte ciascuno era chiamato a rispondere seguendo propria indole e la propria coscienza: la scelta era individuale, come per qualsiasi uomo. Dall’altro lato, però, dopo la nascita della nuova fisica, quella fisica a cui, tra gli altri, hanno partecipato anche Albert Einstein, Max Planck, Niels Bohr e Otto Hahn (le cui storie sono tutte raccontate in Hiroshima. la fisica conosce il peccato di Pietro Greco), presto sarebbe stata chiamata in causa la responsabilità sociale di un’intera comunità scientifica, non più di un individuo

In quegli anni, infatti, fisici di tutto il mondo si trovarono, con scelte, storie e consapevolezze diverse, ad essere protagonisti della costruzione del primo ordigno atomico della storia. I laboratori per i test e la costruzione della bomba si trovavano a Los Alamos, una cittadina del Nuovo Messico, negli Stati Uniti. C’erano tanti altri laboratori che collaboravano alla ricerca nucleare ma lì, al Los Alamos National Laboratory, dal 1943, nel pieno della Seconda Guerra Mondiale, si trasferirono scienziati, tecnici, impiegati e militari che insieme alle loro famiglie iniziarono una nuova vita che ruotava tutta attorno alla realizzazione della bomba atomica. Era un “villaggio fantasma”, i cui laboratori non erano segnati sulle mappe. Un villaggio dove case e laboratori vennero costruiti appositamente per il progetto Manhattan a partire dal 1942. Un villaggio così fantasma che sulla corrispondenza non ne compariva nemmeno il nome. Compariva invece la casella postale: il numero 1663. Poco distante poi, nel deserto di Jornada del Muerto, alle 5:29:45 del 16 luglio 1945, ci fu Trinity, il primo test di esplosione della bomba atomica, una sorta di "prova generale". Dopo Trinity molti decisero di abbandonare Los Alamos, come racconta anche Tarashea Nesbit, dal punto di vista delle mogli, nel romanzo Le mogli di Los Alamos. Il risultato del lavoro di anni era stato reso evidente. 

Quindi forse, parlare di responsabilità scientifica neanche due mesi prima era troppo tardi: la fisica ormai aveva conosciuto il peccato. 

Proprio quel peccato, però, generò anche una volontà di impegnarsi per la pace. Ne parla sempre Pietro Greco in Fisica per la pace, libro finalista al Premio Galileo per la Divulgazione Scientifica 2019. Nel 1955 c’è stato il Manifesto di Bertrand Russell ed Albert Einstein in cui i due, insieme ad altri 11 firmatari tra cui scienziati e intellettuali di rilievo, invitavano alla discussione sui rischi per l'umanità prodotti dalle armi nucleari. Come risposta al manifesto ci fu nel 1957 una conferenza a Pugwash in Canada, a cui parteciparono 22 scienziati tra cui statunitensi, giapponesi, inglese, canadesi, austriaci, australiani, cinesi, francesi e polacchi. Dalla conferenza nacque una vera e propria organizzazione che l’ultima volta si è riunita a Nagasaki nel 2015, per la sua sessantunesima edizione. Ci sono poi le Conferenze del gruppo di lavoro permanente per la Sicurezza internazionale ed il controllo degli armamenti di Edoardo Amaldi, e il CERN di Ginevra, l'Organizzazione europea per la ricerca nucleare, la prima “casa comune europea”, la cui convenzione per l'istituzione fu firmata il 29 settembre 1954 (inizialmente con 12 firmatari, oggi divenuti 22 più alcuni osservatori anche extraeuropei). C'è poi l’acceleratore SESAME in Giordania, un laboratorio inaugurato il 16 maggio 2017, un progetto a cui lavorano insieme israeliani, palestinesi, iraniani e tanti altri ancora.

Ecco che in un periodo storico come questo in cui, a dibattiti sulla necessità di possedere una bomba atomica, come emerge periodicamente in Germania dall'estate 2018, si aggiunge un continuo export di armi, è importante ricordare quella responsabilità politica, etica e scientifica tirata in ballo il 31 maggio 1945. Proprio perché allora era già troppo tardi.

La coscienza è al di sopra dell'autorità, della legge, dello Stato. (Albert Einstein, citazione nel prologo di "Hiroshima. La fisica conosce il peccato" di Pietro Greco)

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