CULTURA

Non è solo questione di misure

Attribuire un valore a una grandezza rapportandola a un’altra presa a modello: misurare significa confrontare il reale con l’ideale, universalizzando il particolare. Un concetto che trova applicazione in innumerevoli campi, dall’etica (la giusta misura) all’estetica (le giuste proporzioni); misurare però vuol dire soprattutto numero, quindi scienza e tutto ciò che ne deriva: computer e big data, codici crittografici e reti. L’ossessione di “dare i numeri” è in qualche modo segno e simbolo del dominio dell’uomo sulla natura, ma oggi rischia di trasformarsi in un alienante processo di standardizzazione che coinvolge il suo stesso artefice. È un percorso che è storico ma anche scientifico e filosofico, quello raccontato con dovizia di particolari dal fisico Piero Martin nel libro Le 7 misure del mondo, recentemente pubblicato da Laterza.

Cosa c’è da dire sulla nostra mania di misurare, facendo nostro il mondo intorno a noi? Be’, innanzitutto che non si tratta di un’operazione così banale come potrebbe sembrare. I primi sistemi di misurazione nascono da esigenze pratiche e prendono a modello la natura, alcuni oggetti del vivere quotidiano, il corpo umano. Per la lunghezza ci sono ad esempio il passo o il cubito, quest’ultimo corrispondente alla distanza di circa mezzo metro tra il gomito (in latino cubitus) e la punta delle dita, mentre per il peso si prendono il seme di carrubo o il talento, ovvero il peso della quantità d’acqua necessaria a riempire una particolare anfora (più o meno 26 chilogrammi). Per il tempo poi ci si affida a meridiane e clessidre: i primi orologi meccanici appariranno sulle torri delle città solo alla fine del medioevo.

Intervista di Daniele Mont D'Arpizio, montaggio di Elisa Speronello

Si tratta di sistemi empirici, relativamente precisi ma comunque perfettamente funzionali, che per secoli accompagnano il cammino dell’umanità permettendo di cogliere traguardi decisivi come lo sviluppo dei primi commerci, della geometria e del pensiero scientifico. Con l’avvento della modernità serve però qualcos’altro. “Per arrivare a un sistema razionale e condiviso ci vogliono due grandi rivoluzioni – spiega nell’intervista a Il Bo Live Piero Martin, che insegna fisica sperimentale a Padova ed è attualmente Chief Physicist del DTT, il nuovo grande esperimento italiano sulla fusione nucleare –. Innanzitutto c’è la rivoluzione scientifica, che è basata sulla riproducibilità degli esperimenti e quindi per definizione richiede un sistema di misura unitario, che permetta agli scienziati di comparare i loro risultati. La rivoluzione francese invece, quasi due secoli dopo, parte da esigenze sociali e politiche: nel 1789 si calcola che solo in Francia ci siano ben 250 mila differenti unità di misura! Ci si rende conto allora che per implementare parole d’ordine come libertà, uguaglianza e fraternità ci vuole anche un sistema di misurazione equo e approvato da tutti”.

Con l’abbattimento della Bastiglia si gettano così le fondamenta del sistema metrico decimale, oggi diffuso in quasi tutto il mondo (con l’eccezione rilevante degli Stati Uniti). Nel 1875 i rappresentanti di 17 nazioni, tra cui l’Italia, firmano la Convenzione del Metro, che sancisce l'adozione da parte di tutti i contraenti di tre unità fondamentali: metro, chilogrammo e secondo. È la nascita del cosiddetto Sistema MKS, con i suoi famosi modelli campione realizzati in platino iridio e conservati presso il Bureau international des poids et mesures di Sèvres, a due passi da Parigi, per essere poi replicati e distribuiti agli istituti metrici di tutto il mondo. Nel 1960 a Parigi viene poi ufficializzato il Sistema internazionale delle unità di misura (SI), composto da metro, secondo, chilogrammo, ampere per la corrente elettrica, kelvin per la temperatura e candela per la luminosità, a cui nel 1971 si aggiunge la mole per la quantità di sostanza (essenziale per la chimica). Sette misure con le quali oggi può essere descritta ogni cosa, dal microcosmo delle particelle elementari ai confini dell’universo.

Per arrivare a un sistema razionale e condiviso ci vogliono due grandi rivoluzioni: quella scientifica e quella francese

Un modello che si è sviluppato e si è precisato progressivamente, risultando essenziale per lo sviluppo scientifico, tecnologico e commerciale sempre più impetuoso degli ultimi due secoli, ma che negli ultimi tempi aveva anche mostrato limiti difficili da superare.  “Ad esempio abbiamo scoperto che anche i nostri manufatti sono deperibili, esattamente come noi – continua Martin –: ci si è accorti che il chilogrammo campione ‘dimagriva’, ovvero aveva perso qualche decina di microgrammi di peso”. Quantità apparentemente minime ma non più accettabili in un mondo dove scienza e tecnologia sono sempre più miniaturizzate. E che dire del secondo? Era stato definito come una frazione del giorno solare medio, salvo poi scoprire che anche la lunghezza dei giorni e degli anni è soggetta a pur minime variazioni nel corso del tempo.

Tutte questioni che hanno fatto perdere il sonno agli scienziati per qualche decennio, prima di essere risolte definitivamente nel 2018. Il 16 novembre di quell’anno infatti, nel corso della Conferenza generale su pesi e misure (Cgpm), i rappresentati di 62 Paesi hanno approvato a Versailles una riforma del sistema. Le unità di misura sono rimaste le stesse nei nomi e nelle caratteristiche, ma non sono più definite sulla base di oggetti o eventi materiali, bensì a partire da costanti fisiche universali, come la velocità della luce, la costante di Planck e il numero di Avogadro.

Oggi quindi il metro non è più la decimilionesima parte del percorso tra l’equatore e il polo nord, né lo spazio tra due tacche su una barra presa a modello, ma la distanza percorsa nel vuoto dalla luce in un tempo pari a 1/299.792.458 di secondo. Secondo che a sua volta viene definito sulla base del periodo necessario per una data transizione energetica dell’atomo di cesio 133, (ovvero 9.192.631.770 volte il tempo necessario per veder ‘saltare’ un suo elettrone tra due livelli iperfini definiti).

Le nuove formulazioni permettono di realizzare campioni più precisi e stabili, oltre che riproducibili ovunque, realizzando al contempo una nuova “rivoluzione copernicana”: anche in questo campo ormai è la natura con le sue leggi e non più l’essere umano ad essere il punto di riferimento. Allo stesso tempo le crescenti precisione e pervasività dei sistemi di identificazione e di controllo – dal gps alla biometrica – rischiano di trasformare sempre più la persona da soggetto ad oggetto: per questo il libro di Piero Martin si chiude con un sorprendente appello a non misurare. I numeri, argomenta l’autore, dicono molto ma non tutto: le qualità e le caratteristiche non solo di una persona, ma anche di un sistema scolastico o sanitario, non possono mai essere completamente definite da un sistema di parametri quantitativi, i quali hanno sempre bisogno di un’interpretazione. Perché alla fine, come dice Protagora nel Teeteto di Platone, è sempre l’uomo il mètron, la misura di tutte le cose.

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