SCIENZA E RICERCA

Addio Giorgio Nebbia


In un Paese, l’Italia, nel quale ogni giorno, da fatti e persone,  viene offerta l’occasione di giudicare gli interventi di non pochi esseri parlanti ma non si sa quanto pensanti;  in un Paese come questo, il progressivo allungamento della durata della vita ha consentito di costituire un tesoro di teste pensanti, parlanti, scriventi. Un tesoro del quale si vorrebbe non dover fare mai a meno.
Perciò quando qualcuno viene meno perché la morte se lo porta via il dolore è doppio. Perché non è solo quello per un amico e per una persona amata e stimata che non c’è più, ma è anche la consapevolezza di poter difficilmente riuscire a riempire il vuoto che lascia.
È il caso di Giorgio Nebbia. Ormai avevo capito che qualche cosa nella sua salute non funzionava perché da qualche mese le cose che gli mandavo non avevano il consueto riscontro che affettuosamente le accompagnava come risposta a commento. Quando per un po’ non  mi sono arrivate le cose del nostro lungo epistolario come questa, per esempio,
“Caro Ugo, grazie per questo nuovo intervento. La cosa più buffa - si fa per dire - è che le stesse cose sono ripetute da mezzo secolo. Ricordo le campagne di Italia Nostra sull'aria delle città. Come risultato il parco automobilistico è aumentato di quattro volte. I governanti, nazionali e locali, leggono (forse) articoli come i tuoi ma al più inaugurano una pista ciclabile dove non passa nessuno. Sono così vecchio che non credo in nessun miglioramento a meno di una profonda e dolorosa crisi che colpirebbe le persone più deboli. Un abbraccio Giorgio”

quando non arrivavano mi sono preoccupato e ieri la preoccupazione si è trasformata in dolore e sono tornato indietro di 50 anni tanti da quando è nata la nostra amicizia.

Ci conoscemmo a Napoli alla fine degli anni Sessanta negli studi RAI per partecipare ad un programma televisivo sull’acqua condotto da Aldo Falivena. In quell’occasione mi sembrò perfino timido. Infatti per me la cosa sorprendente fu, tra l’altro, che Giorgio se ne stava come me tra il pubblico, non fu invitato ad intervenire e nulla disse, pur avendo molto da dire sull’acqua (e non solo).
Poi, da quando nel 1971 andai ad insegnare Geografia  all’Università di Lecce, ebbi più volte l’occasione di approfittare di quella amicizia: prima con qualche conferenza nell’Università di Lecce, poi per la partecipazione, nel 1973, al primo dei tre convegni sulla “salvaguardia dell’ambiente nel Mezzogiorno” che negli anni Settanta organizzai presso quella Università. Con Nebbia c’erano, Lucio Gambi, Pietro Dohrn, Marcello Vittorini, Francesco Compagna. Insomma un bel parterre…
La relazione di Giorgio era su “Compatibilità fra ambiente e sviluppo con speciale riguardo ai problemi del Mezzogiorno”. Cominciò spiegando perché il PIL fosse da intendere come “indicatore positivo di un certo tipo di sviluppo economico, ma un indicatore negativo della qualità ambientale”. E per farlo raccontò, tra l’altro, il paradosso dell’isola di Nauru, in Oceania, dove una piccola comunità di seimila abitanti godeva di un reddito pro-capite superiore a quello degli statunitensi. Ciò perché l’isola di Nauru era un enorme giacimento di minerali fosfatici che i Nauriani esportavano ricavando lauti guadagni. Così facendo, però, i Nauriani vendevano pezzo pezzo il loro territorio, cioè il loro capitale, col risultato, una volta venduta tutta l’isola, di doversi trasferire altrove dal momento che il loro reddito era stato ottenuto “a spese della loro stessa casa, del loro stesso territorio”.
Da questo paradosso Nebbia ricavava che se il PIL è un indice di progresso tale che il suo aumento è accompagnato da una degradazione del territorio, da un inquinamento dell’ambiente, da un impoverimento e peggioramento delle risorse che dobbiamo gestire per conto anche delle generazioni future, “è un indice sbagliato”.


Quando la Fondazione Micheletti curò la pubblicazione di una raccolta di suoi saggi dal titolo Scritti di storia dell’ambiente e dell’ambientalismo 1970-2013. Giorgio aveva 88 anni. E nel presentarla e metterla a disposizione degli interessati descriveva sinteticamente il suo profilo: “Nebbia (Bologna 1926), chimico, merceologo, professore emerito dell’Università di Bari, parlamentare della Sinistra Indipendente per due mandati, è una delle firme più antiche del giornalismo ambientale.”
A partire dai primi anni Sessanta Nebbia ha pubblicato infatti oltre duemila articoli sulla stampa quotidiana (“Il giorno”, “Il messaggero”, “l’Unità”, “il manifesto”, “La Gazzetta del Mezzogiorno”, “liberazione”) e oltre 1.260 articoli su molte decine di periodici divenendo così, accanto ad Antonio Cederna, a Mario Fazio, ad Alfredo Todisco, a Fulco Pratesi, a Virginio Bettini,  uno dei pionieri della divulgazione delle tematiche ecologiche. Un’attività proseguita  con periodicità regolare su “La Gazzetta del Mezzogiorno” e in diverse testate on line.”
L’antologia riguarda essenzialmente articoli e saggi di storia dell’ambiente e dell’ambientalismo: 54 testi scelti tra i circa 350 pubblicati da Nebbia sull’argomento a partire dai primi anni Settanta. Si tratta di una raccolta –notano i curatori- di notevole valore giornalistico e scientifico in quanto affronta in modo competente ed estremamente accessibile una vasta gamma di argomenti, dalla storia dell’ambientalismo e dei suoi protagonisti alla storia delle tecnologie che oggi chiamiamo sostenibili, dalla storia dell’impatto delle merci e delle loro contraffazioni e adulterazioni, dalla storia delle grandi vicende novecentesche rilette in chiave ambientale ai problemi della memoria e della ricerca storica.
Una raccolta che finisce col costituire una sorta di affascinante viaggio nella storia otto e novecentesca vista sotto la specifica angolatura dell’ambiente e della cultura ecologista.
L’opera costituisce il quaderno n. 4 della rivista on line “altronovecento” promossa dalla Fondazione Luigi Micheletti: http://www.fondazionemicheletti.it/altronovecento/articolo.aspx?id_arti… ed è liberamente accessibile nei formati pdf e epub. Al compimento dei novant’anni la Fondazione Micheletti organizzò un convegno in onore di quello splendido novantenne. Lo fece a Roma presso la Biblioteca “Giovanni Spadolini” del Senato della Repubblica il 10 maggio. Con interventi di Alfonso Andria, Giorgio Assennato, Daniele Balico, Alberto Berton, Valerio Calzolaio, Gianni Cannata, Nicola Capone, Marica Di Pierri, Grazia Francescato, Walter Ganapini, Salvatore Giannella, Gianni Mattioli, Edgar Meyer, Roberto Musacchio, Fulco Pratesi, Ermete Realacci, Giovanna Ricoveri, Patrizia Sentinelli, Gianni Tamino, Barbara Tartaglione. Come dicevo Anch’io mi vanto di questa antica amicizia cominciata quando eravamo entrambi più  “ragazzini”.

Gli interessi scientifici di Nebbia sono stati molti e in molti ci hanno accomunato: i problemi dell’ambiente e l’importanza che Giorgio ha sempre riconosciuto, lamentandone la generale indifferenza e ignoranza, per la Geografia.
Ma l’impegno universitario (a Bari) e parlamentare (1983-87 alla Camera e 1987-92 al Senato); i contenuti delle lezioni, degli scritti, degli interventi parlamentari lo hanno fatto soprattutto definire un ambientalista, un ecologo.
E proprio l’approfondimento della riflessione sui ritardi nelle scelte alternative del modo di crescere senza compromettere la qualità e l’integrità dell’ambiente lo indussero anche a chiedersi (La Gazzetta del Mezzogiorno, martedì 19 gennaio 2016) “Che fine ha fatto l’ecologia?”. Fu solo con la “generazione del Sessantotto” che fu individuata nell’ecologia la bandiera di una contestazione della società dei consumi e del relativo inquinamento, della congestione delle megalopoli, dei nuovi veleni. L’apice dell’attenzione per l’ecologia si ebbe nel 1970 e la nuova parola significò aspirazione a “cose buone”, pulite.
I venditori – osservò Nebbia- non persero tempo ad appiccicare il nome “ecologia”, ai detersivi, alla benzina, ai tessuti. Diecine di cattedre universitarie cambiarono nome e presero il nome di “ecologia”. L’ecologia entrò in Parlamento e ci fu perfino un breve “Ministero dell’ecologia”, ben presto soppresso; solo dopo vari anni sarebbe stato istituito un ministero ma questa volta “dell’ambiente”.
Ben presto il potere economico riconobbe che questa gran passione per l’ecologia li costringeva a cambiare i cicli produttivi, a depurare i rifiuti, e a guadagnare di meno e l’attenzione per l’ecologia declinò presto e comparvero nuovi aggettivi più accattivanti come “verde”, “sostenibile” e, più recentemente “biologico”, da associare al nome di prodotti commerciali da indicare come “buoni”.
E, come dicevo, Nebbia si chiedeva che fine avesse fatto la povera ecologia, in questi anni in cui proprio le conoscenze ecologiche sarebbero in grado di suggerire azioni per contrastare l’erosione del suolo e i danni degli inquinamenti, per il corretto smaltimento dei rifiuti, nell’interesse del principale animale della Terra, l’”uomo”. Ci voleva Papa Francesco per ricordare l’importanza dell’ecologia, come “ecologia umana”, nella sua enciclica “Laudato si’”.

 “Io spero –concludeva Nebbia in una sorta di messaggio ai suoi eredi- che gli ecologi, quelli veri, ritrovino la passione di far conoscere ad alta voce il contenuto e gli avvertimenti della loro disciplina la cui conoscenza, soltanto, offre le ricette per rallentare i guasti ambientali, a cominciare dagli inarrestabili mutamenti climatici. Dalla cultura ecologica trarrebbero stimolo e beneficio i legislatori, i governanti e anche gli economisti dal momento che i soldi si muovono soltanto accompagnando il flusso, ecologico, appunto, di materie prime, di merci e di rifiuti, attraverso l’ambiente naturale abitato dall’uomo.”

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