SCIENZA E RICERCA

Aiuto, negli USA e non solo diminuisce la spesa pubblica in ricerca

L’American Association for the Advancement of Science (AAAS), la più grande associazione scientifica americana e (quindi) del mondo è preoccupata: il governo federale sembra non credere più tanto nella scienza. Non nella scienza finanziata con fondi pubblici, almeno. Ormai l’Amministrazione di Washington investe in ricerca lo 0,65% del PIL (Prodotto interno lordo). Un terzo rispetto al picco del 1964, quando la spesa federale per la scienza arrivo all’1,90% del PIL.

In meno di 25 anni – dal 1995 al 2018, per la precisione – gli Stati Uniti sono scivolati dal quarto al decimo posto al mondo per spesa pubblica in R&S (ricerca e sviluppo). Prima di loro ci sono paesi come la Germania in Europa o le tre tigri asiatiche (Corea del Sud, Taiwan e il tradizionale Giappone) e si affaccia non troppo da lontano il Dragone, la Cina. 

Vero è che gli Stati Uniti restano il paese che investe di più al mondo in R&S, ma a comporre la spesa complessiva è ormai, per due terzi e più, l’impresa privata. Ma, come sostiene Sudip Parikh, leader di AAAS ed editore della rivista Science, il declino nella spesa rischia di trasformarsi nel crepuscolo della capacità di innovazione del “sistema America”. E già indica cinque paesi che precedono gli Stati Uniti per spesa pubblica in ricerca: Sudip Parikh spiega anche il perché. Ma forse, per comprendere fino in fono il suo pensiero, occorre fare riferimento a Vannevar Bush, il consigliere scientifico di Franklin Delano Roosevelt che, pochi mesi dopo la morte del suo presidente rese pubblico quello che può essere considerato il manifesto della politica della ricerca e, di conseguenza, della moderna economia tout court.

Di Vannevar Bush Il Bo Live ha già parlato. Ma conviene riassumere per slogan il pensiero. Il motore dell’innovazione è la scienza. Anzi, la scienza di base. Una scienza spesso costosa e che non ha obiettivi pratici immediati. Le aziende private non ce la fanno a sostenere investimenti di così grande portata e di così incerto ritorno. Dunque a investire deve essere lo Stato.

Con questa filosofia, gli USA hanno fondato il loro sviluppo tecnologico ed economico nel dopoguerra. Soprattutto dopo il 1957 e lo “schiaffo dello Sputnik”. Ecco perché nel 1964 raggiunsero quel picco di spesa: dovevano dimostrare, a sé stessi in primis, di essere leader al mondo in fatto di scienza e tecnologie (e, quindi, di economia fondata sulla conoscenza e ahimè di potenza militare). 

Certo, allora, il budget degli investimenti era capovolto rispetto a oggi. All’inizio degli anni ’60 per ogni due dollari investiti in R&S dal governo federale ce n’era solo uno investito dalle imprese private: il rapporto era di 2:1. Oggi tutto è cambiato, oggi per ogni dollaro pubblico ce ne sono due di privati. Il rapporto è di 1:2.

Ma, proprio come sosteneva Bush, per quanto ingentissimi, gli investimenti privati non possono sostituire quelli pubblici, perché le imprese hanno bisogno di “realizzare” in pochissimo tempo, qualche mese. Dunque non investono, o investono pochissimo, nel vero motore dell’innovazione, che è la ricerca di base. Non lo diciamo noi: lo hanno dimostrato negli ultimi lustri i lavori di Marcia Angell nel settore dell’industria biomedica e Mariana Mazzucato in tutto il comparto economico.

Solo lo stato offre ai ricercatori la possibilità di soddisfare la propria curiosità. E sola questa ricerca libera che insegue la curiosità produce reale innovazione.  Ecco perché Sudip Parikh è preoccupato: ha paura che gli Stati Uniti lascino ad altri il motore dell’innovazione.

Noi ce ne interessiamo non solo perché gli Stati Uniti sono un paese importante e ciò che accade sull’altra sponda dell’Atlantico coinvolge immediatamente l’Europa e l’Italia. Ma anche perché preoccupazione analoga dovrebbe muovere anche noi italiani ed europei. Molti segnali sembrano analoghi a quelli provenienti da Washington: la spesa pubblica europea in ricerca (e, in particolare in ricerca di base) viene messa in discussione. L'Italia, poi soffre di un tradizionale ritardo. Per noi, dunque, vale quando dice il leader dell’AAAS: il declino della spesa pubblica in R&S può trasformarsi (forse si sta già trasformando) nel declino dell’Unione e del paese.

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