SCIENZA E RICERCA

Gli ambienti "a mosaico" hanno allenato la resilienza di Homo sapiens

Le oscillazioni del clima e le conseguenti trasformazioni ambientali che hanno investito il pianeta durante l’ultima glaciazione hanno avuto un forte impatto sull’evoluzione e le dinamiche demografiche degli esseri umani antichi. Homo sapiens, al contrario di altre specie, è riuscito ad adattarsi e sopravvivere alle difficili sfide imposte da queste variazioni climatiche, che hanno modificato drasticamente gli ecosistemi e i paesaggi naturali in ogni area del pianeta. Qual è stato, quindi, il segreto del suo successo?

In un nuovo studio pubblicato su Science, un gruppo internazionale di ricercatori ha confrontato i risultati di una simulazione paleoclimatica su scala globale con l’analisi dei resti fossili provenienti da più di 3000 siti archeologici associabili a sei diverse specie di Homo (H. habilis, H. ergaster, H. erectus, H. heidelbergensis, H. neanderthalensis e H. sapiens). Gli studiosi hanno così ricostruito su scala continentale le condizioni ambientali ottimali per ognuna delle specie in questione negli ultimi tre milioni di anni.

I risultati dello studio suggeriscono che i sapiens, a differenza delle altre specie di ominidi, prediligessero gli habitat ad alto contenuto di biodiversità e che proprio questa tendenza abbia rappresentato un vantaggio evolutivo. La capacità di sopravvivere in ambienti ricchi di specie animali e vegetali diverse avrebbe infatti abituato gli esseri umani antichi a servirsi di ogni genere di risorsa disponibile, un’abilità che torna molto utile in momenti di crisi climatica, in cui la possibilità di scelta si riduce, e che richiede un buon livello di plasticità comportamentale.

Tra gli autori dello studio troviamo anche Pasquale Raia, professore di paleontologia e paleoecologia all’università Federico II di Napoli, che ci ha raccontato i dettagli di questa ricerca, a cominciare dalla decisione di basare l’indagine sulla ricostruzione dei biomi antichi.

“I paesaggi naturali vengono plasmati dalle oscillazioni di temperatura, dalla frequenza delle precipitazioni e dalle concentrazioni atmosferiche di CO2 che caratterizzano i diversi luoghi del pianeta”, spiega Raia. “Le specifiche combinazioni di queste variabili influenzano la composizione vegetazionale dominante di un ecosistema, ovvero il bioma. I biomi sono quindi determinati “tipi vegetazionali”, come ad esempio la tundra, la savana, o le foreste boreali, che caratterizzano l’ambiente di una determinata zona”.

Gli autori hanno incrociato i dati delle simulazioni paleoclimatiche – che mostravano quali fossero i biomi dominanti in ogni area del pianeta nel corso degli ultimi tre milioni di anni – con quelli tratti da 3232 siti archeologici associati alle sei diverse specie umane considerate per scoprire quali fossero i biomi preferiti da ognuna di esse e quanto si siano dimostrate resilienti ai cambiamenti climatici.

“I nostri risultati – prosegue Raia – hanno confermato, innanzitutto, quanto emerso in alcune ricerche precedenti: le specie umane più antiche, ovvero Homo habilis e Homo ergaster, vissute in un periodo compreso tra i 2,5 e un milione di anni fa, hanno trascorso la loro esistenza all’interno dei confini del continente africano, abitando esclusivamente gli habitat delle savane e delle praterie”. Specie più recenti, invece, si spinsero fuori dall’Africa ed esplorarono e abitarono altri tipi di biomi, a cominciare dall’Homo erectus, che emigrò dal continente africano circa 1,8 milioni di anni fa: il 58% dei siti associati a questa specie si trovavano in foreste temperate e tropicali e il 38% in praterie e savane.

Homo heidelbergensis e Homo neanderthalensis si dimostrarono ancora più propensi all’esplorazione di nuovi biomi. Rispettivamente l’8% e l’11% dei loro siti archeologici si trovavano nelle foreste boreali.

 “Sappiamo, in particolare, che Homo Heidelbergensis fu probabilmente la prima specie che si adattò a vivere al freddo”, puntualizza Raia. “Colonizzò habitat caratterizzati da climi anche molto rigidi, come l’attuale Inghilterra: doveva essere quindi equipaggiato con un abbigliamento “tecnico” ben assemblato e aver imparato molto bene a servirsi del fuoco”. Eppure, lo spirito di adattamento più spiccato è stato quello dimostrato da Homo sapiens, il quale è riuscito, dopo l’uscita dall’Africa, a colonizzare tutti i tipi di biomi considerati dagli autori, anche quelli più estremi come la tundra e i deserti.

Ma non è tutto qui. Come anticipato, il risultato più notevole dello studio pubblicato su Science riguarda la scoperta di una preferenza non casuale di Homo sapiens per gli habitat ricchi di biodiversità.

“La posizione dei reperti fossili appartenenti alle diverse specie di Homo non è mai casuale”, afferma il professore. “I siti dei sapiens, in particolare, tendono a trovarsi in luoghi che all’epoca erano caratterizzati da un ambiente “a mosaico”, e contenevano cioè numerose conformazioni differenti del paesaggio e un’ampia varietà di specie vegetali e animali. I nostri risultati, quindi, non solo confermano la capacità dei nostri antenati di adattarsi a ogni habitat terrestre – abbiamo infatti appurato la presenza di prove archeologiche associabili ai sapiens in ognuno degli undici tipi di biomi considerati –, ma dimostrano anche il loro attivo impegno per la selezione di quelli più variegati”.

Proprio questa preferenza per i paesaggi “a mosaico” potrebbe aver permesso a Homo sapiens di sviluppare una straordinaria resilienza, grazie alla quale sarebbe riuscito a sopravvivere ai mutamenti climatici avvenuti durante il pleistocene su scala globale.

Come sottolinea il professor Raia: “non è affatto scontato che una specie riesca ad adattarsi a questi ambienti a mosaico dove si trova “di tutto un po’. Solitamente, infatti, a causa della selezione naturale, le specie animali tendono a “specializzarsi” a sopravvivere in biomi più omogenei, dove le risorse disponibili sono poco diversificate, ma quantitativamente numerose. Al contrario, per adattarsi a vivere in un ambiente a mosaico occorre investire le proprie energie per imparare a utilizzare molte risorse diverse. Il fatto che i sapiens ci siano riusciti è il risultato di un insieme di capacità cognitive, culturali e comportamentali senza precedenti. Questi risultati sono in linea con quelli di uno studio precedente in cui avevamo dimostrato che, a seconda di come cambiasse il clima durante l’era glaciale, i sapiens erano stati in grado di sfruttare le risorse disponibili in ogni periodo. I nostri antenati sono diventati infatti esperti nella caccia alla renna durante il picco glaciale, quando l’habitat di questo animale si è espanso particolarmente ed esso è diventato la principale preda a disposizione; viceversa, quando le temperature si sono fatte più miti, i sapiens sono diventati abili cacciatori di cinghiali. L’adattamento ai paesaggi a mosaico richiede, insomma, una plasticità comportamentale – che nel caso specifico potremmo definire come una “plasticità ecologica” – particolarmente evoluta e un buon livello di sviluppo culturale”.

Questo risultato non può non lasciarci, almeno in parte, con l’amaro in bocca, considerando quanto invece tendiamo oggi a sottostimare il valore della biodiversità, contribuendo di giorno in giorno a minare l’equilibrio di tutti gli ecosistemi terrestri e marini del nostro pianeta.

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