SCIENZA E RICERCA
Anticorpi monoclonali e Covid-19: pressing degli scienziati per l'approvazione in UE
L’arrivo dei primi vaccini contro il virus SARS-CoV-2 rappresenta una svolta fondamentale nella lotta alla pandemia: la scienza ha battuto ogni record ed è riuscita a raggiungere questo traguardo con una velocità su cui forse nemmeno i più ottimisti avrebbero scommesso.
Tuttavia i prossimi mesi continueranno ad essere difficili perché al momento i vaccini approvati in Europa e negli Stati Uniti sono soltanto due, quello di Pfizer/BioNTech e quello di Moderna, e occorrerà del tempo prima che le dosi siano prodotte in una quantità necessaria a soddisfare tutte le esigenze. A complicare la situazione c’è il fatto che la strada del vaccino sviluppato da AstraZeneca in collaborazione con l'università di Oxford, su cui l’Italia aveva puntato molto, è stata più tortuosa del previsto a causa di alcuni errori metodologici nella sperimentazione. Astrazeneca proprio in queste ore ha presentato la richiesta di autorizzazione all'Ema e l'Agenzia europea per i medicinali ha fatto sapere che potrebbe esprimersi il 29 gennaio, giorno in cui è in programma la riunione del comitato scientifico per i medicinali per uso umano.
Ma il contrasto a Covid-19 potrebbe avvalersi anche dell'aiuto degli anticorpi monoclonali, molecole create in laboratorio e capaci di ricoprire sia una funzione protettiva temporanea (sotto questo aspetto agiscono in maniera simile ai vaccini, sebbene con un’immunizzazione di minore durata), sia un ruolo terapeutico, come farmaco per trattare in modo tempestivo i pazienti sintomatici e limitare la gravità del decorso dell’infezione.
Si parte selezionando gli anticorpi più potenti sviluppati da chi ha sconfitto il virus SARS-CoV-2, si prosegue testandone la capacità neutralizzante - prima in vitro, poi nei modelli animali e infine nelle diverse fasi di sperimentazioni sui volontari - e poi, se al termine di questo percorso l’esito è positivo, si arriva a moltiplicarli artificialmente su scala industriale con l’obiettivo di ottenere dei farmaci. Il loro utilizzo non è una novità per la medicina in quanto sono già stati impiegati nell'ambito di alcune patologie oncologiche, infiammatorie e autoimmuni. Al momento sono almeno una decina i gruppi scientifici che stanno lavorando sugli anticorpi monoclonali contro Covid-19 e due prodotti hanno già ottenuto la concessione per l'uso in emergenza da parte dall'ente americano per il controllo sui farmaci, la Food and Drug Administration (FDA).
Tra questi c’è quello sviluppato dalla società americana Regeneron, un cocktail costituito da due diversi anticorpi monoclonali (casirivimab e imdevimab) con cui è stato trattato il presidente uscente degli Stati Uniti, Donald Trump, quando agli inizi di ottobre si ammalò di Covid-19 e fu ricoverato per qualche giorno all’ospedale militare Walter Reed. L’altro prodotto ad aver ottenuto il via libera dell’Fda è il Bamlanivimab, realizzato dall’azienda biotech canadese Ab Cellera in collaborazione col gruppo americano Eli Lilly e già utilizzato negli Stati Uniti, in Canada, Israele, Ungheria e Germania. I risultati di uno studio, pubblicato sul New England Journal of Medicine e relativo a un trial clinico denominato Blaze-1, dimostrano che l’uso dell’anticorpo monoclonale Bamlanivimab (LY-CoV-555) è efficace nel diminuire la carica virale dei pazienti e soprattutto riduce del 72% il rischio di ricoveri ospedalieri. E' però opportuno ricordare che un altro trial clinico, dal nome Active-3 e incentrato in questo caso su soggetti che avevano già sviluppato sintomi più severi, non ha riscontrato alcun beneficio clinico del farmaco rispetto al placebo. I due risultati possono sembrare in contraddizione tra loro ma, in realtà, l'esito del secondo trial conferma che nell'impiego degli anticorpi monoclonali la tempestività è fondamentale.
"L'efficacia dei monoclonali, come pure quella di altri antivirali, è naturalmente limitata alle fasi precoci dell'infezione, come ovvio in base al meccanismo d'azione (ed infatti lo stesso avviene per Tamiflu ed influenza, per fare un esempio) e come mostrato nei trial clinici già pubblicati. Il fatto che gli anticorpi non funzionino nei pazienti gravi ospedalizzati era prevedibile e non inficia minimamente il loro uso nei pazienti ad inizio malattia", ha scritto il virologo Guido Silvestri, professore ordinario di Patologia generale alla Emory University di Atlanta, sulla pagina Facebook "Pillole di Ottimismo" in cui si dedica alla divulgazione scientifica insieme ad altri colleghi.
Nel post Guido Silvestri spiega che "da diverse settimane pazienti con Covid-19 sono trattati con anticorpi monoclonali in tutti i maggiori centri ospedalieri di tutti e 50 gli Stati del Governo Federale" e aggiunge che "naturalmente gli studi clinici vanno continuati, vi sono alcune difficoltà logistiche da risolvere per la somministrazione e non si tratta di una terapia 'miracolosa': ma queste ovvie considerazioni non fanno venir meno l'evidente opportunità dell'uso".
L'anticorpo monoclonale Bamlanivimab è stato anche al centro di un'inchiesta giornalistica de Il Fatto Quotidiano secondo la quale il nostro paese avrebbe lasciato sfumare la possibilità di sperimentarlo in uno studio clinico su dieci mila pazienti, salvo poi esprimere una manifestazione ufficiale di interesse all’acquisto, conclusasi con un nulla di fatto, quando il farmaco era già stato autorizzato dall'Fda e quindi l'azienda produttrice non poteva più renderlo disponibile per un trial gratuito. E in linea generale proprio il costo, almeno finora, è una nota dolente visto che si parla di diverse migliaia di euro per una dose.
Intervenendo sulla vicenda l'Agenzia italiana del farmaco ha ricordato che gli anticorpi monoclonali non sono ancora autorizzati in Europa e che "l'autorizzazione emergenziale concessa negli Usa dalla Fda prevede un livello di evidenze scientifiche inferiore rispetto all’approvazione (completa o condizionata) effettuata da Ema". Quanto alla possibilità dei singoli stati di derogare alle maglie strette dell'ente regolatorio comunitario - come ha scelto di fare la Germania attraverso la direttiva 83/2001 che consente l'approvazione di un farmaco ai sensi di una disposizione speciale della disciplina farmaceutica - l'Aifa ha sostenuto che tale procedura "non risulta accettabile a fronte di un’epidemia in cui tutti gli Stati dell’Ue condividono il medesimo problema e in cui ci aspetta pertanto uno sforzo comune europeo per superarlo, come ben mostrato dalla recente approvazione Ema dei vaccini anti Covid-19".
Tuttavia adesso sembra che qualcosa si stia muovendo e il neo presidente di Aifa, il professor Giorgio Palù, ha dichiarato che l'Agenzia "ha interesse a valutare gli anticorpi monoclonali" e ha aggiunto che "nei prossimi giorni sicuramente valuteremo se c'è un'opportunità di fare una sperimentazione che sia in grado di confermare anche i dati già prodotti sulla letteratura scientifica".
Presidente #AIFA Palù su anticorpi monoclonali: c'è interesse a valutare questi farmaci, sono #antivirali che possono essere efficaci in pazienti già infettati ma se somministrati nelle fasi iniziali della malattia #COVID19 pic.twitter.com/NjVlcwUZcU
— AIFA (@Aifa_ufficiale) December 22, 2020
Nelle ultime settimane molti voci autorevoli del mondo scientifico si sono espresse a favore dell'introduzione degli anticorpi monoclonali. Oltre al già citato Guido Silvetri, che ha avuto modo di seguire il loro utilizzo negli Stati Uniti, sono recentemente intervenuti sull'argomento il farmacologo Carlo Centemeri, della Giovanni Lorenzini Medical Foundation MI-NY, e il virologo Francesco Broccolo, dell'università di Milano Bicocca dichiarando all'Ansa che "gli anticorpi monoclonali sono oggi una potentissima componente dell'arsenale per trattare i pazienti infetti e sintomatici, subito dopo aver contratto il virus, riducendo in modo importante il rischio di ospedalizzazione o, laddove invece il paziente si trovasse già ricoverato, di stabilizzarne la condizione, intervenendo sulla sindrome indotta da coronavirus". Ancora più esplicite le parole di Massimo Clementi, direttore del Laboratorio di microbiologia e virologia dell'ospedale San Raffaele di Milano e docente dell'università Vita-Salute, secondo il quale "non possiamo non avere a disposizione quest'arma che ha una duplice valenza di farmaco e di presidio per la profilassi e che potrebbe aiutarci sia prima che durante l'opera d'immunizzazione con i vaccini". Clementi ha inoltre sottolineato che a giovare degli anticorpi monoclonali potrebbero essere anche le persone a cui la vaccinazione è sconsigliata perché hanno manifestato in passato gravi reazioni allergiche.
Sul tema si è espressa anche l'immunologa Antonella Viola, docente del dipartimento di Scienze biomediche dell'università di Padova e direttrice dell'istituto di ricerca pediatrica Fondazione Città della speranza, condividendo su Facebook un post del Patto trasversale per la scienza in cui si sostiene che "non è stata ancora fornita una spiegazione soddisfacente delle scelte italiane in questa materia" davanti a farmaci che "se somministrati nelle prime fasi della malattia a soggetti anziani e/o a grave rischio potrebbero essere molto efficaci". "Vi sono, certo, problematiche logistiche, dovute in particolare alla necessità di somministrazione endovenosa sotto stretto controllo medico. Nulla, tuttavia, che non possa essere affrontato e risolto, soprattutto a fronte della buona efficacia sin qui dimostrata nei test clinici (per quanto ancora con risultati non definitivi)", scrivono gli esperti dell'associazione scientifica.
A sostenere la validità di questa strada parallela ai vaccini è anche il genetista Giuseppe Novelli dell'università di Roma Tor Vergata che ne evidenzia l'efficacia, se impiegati nelle prime fasi dell'infezione, e spiega anche il loro possibile utilizzo come profilassi. Secondo Novelli è inoltre un aspetto molto positivo il fatto che a lavorare gli anticorpi monoclonali siano diversi gruppi di ricerca in tutto il mondo: "è ormai dimostrato in vitro che alcuni anticorpi, se il virus muta, non funzionano più perché sono molto precisi. Dobbiamo averne tanti a disposizione", ha dichiarato a Il Bo Live.
Il genetista Giuseppe Novelli approfondisce il ruolo degli anticorpi monoclonali contro Covid-19. Servizio e montaggio di Barbara Paknazar
Soffermandosi sugli anticorpi monoclonali prodotti da Regeneron ed Eli Lilly "abbiamo visto che hanno una grande utilità se impiegati nella fase iniziale dell'infezione, all'esordio dei primi sintomi, in quanto la loro azione è quella di bloccare l'ingresso del virus nelle cellule", spiega il professor Giuseppe Novelli, ricordando che sui malati già gravi non hanno invece effetto.
"Potrebbero però essere usati anche nelle persone sane - prosegue Novelli - perché proteggono dall'infezione per un periodo di due o tre mesi ed è una protezione che per svilupparsi non richiede quei 10 o 12 giorni che sono invece necessari alle nostre cellule quando incontrano un virus".
Secondo il direttore del laboratorio di Genetica medica dell'università di Roma Tor Vergata è un aspetto positivo che molti gruppi al mondo stiano lavorando su questa linea di ricerca perché "gli anticorpi monoclonali non sono uguali e non sono ancora stati effettuati confronti di efficacia tra i prodotti sviluppati". Inoltre "sono molto precisi e sono diretti a un target particolare del virus: se questo cambia non lo colpiscono più". Avere a disposizione diversi anticorpi monoclonali è quindi una garanzia in più davanti alle mutazioni di SARS-CoV-2.
"E' questo il motivo per il quale a Donald Trump è stato dato un cocktail di monoclonali. L'obiettivo era avere più armi che contemporaneamente fossero in grado di colpire il virus", sottolinea Novelli, aggiungendo che "siccome il virus sta cambiando, e si modificherà ancora, dobbiamo avere più anticorpi monoclonali possibili perché alcuni potrebbero essere più efficaci di altri a seconda delle varianti virali in circolazione". Anche il team del professor Novelli è al lavoro in questo ambito e sta portando avanti una ricerca insieme all'università di Toronto che si avvale di una delle più complete banche dati di anticorpi del mondo. "A partire da maggio ne abbiamo individuati diversi - entra nel merito il genetista - e ne abbiamo trovati altri anche in questi giorni. Li stiamo sperimentando in provetta e su animali. Il passaggio successivo sarà produrli e stiamo contattando un'industria che voglia prendersi le nostre molecole e sia disposta ad investire. Intanto prosegue anche la ricerca di sostegni pubblici e abbiamo ottenuto un finanziamento dalla Regione Lazio e dalla Fondazione Roma per portare avanti la produzione. Appena ne avremo a disposizione una quantità sufficiente inizieremo la sperimentazione sulle persone".
Quello delle risorse non è certo un dettaglio, come ha approfondito lo stesso Novelli in un'intervista all'agenzia Agi. "Si tende a non considerare la quantità di risorse finanziarie necessarie a sviluppare una ricerca del genere, ma è davvero una spesa ingente, tra macchinari, produzione dei medicinali, assicurazioni per i partecipanti, aspetti legislativi, analisi di follow up e indagini per ogni singolo caso avverso. A titolo comparativo, per la Fase 1 della sperimentazione il nostro studio prevede un centinaio di partecipanti, mentre le aziende americane che sono già in fase avanzata di produzione, come Regeneron Pharmaceuticals, prevedevano un trial con duemila persone".
Intanto per l'inizio di quest'anno è previsto anche l'avvio delle prove cliniche sugli anticorpi monoclonali selezionati grazie alla collaborazione tra la Fondazione Toscana Life Sciences, guidata dal professor Rino Rappuoli, e l'istituto Spallanzani. La previsione dello scienziato italiano è che si possa arrivare a renderli disponibili per l'uso entro marzo con una capacità produttiva di milioni di dosi l'anno, prezzi calmierati e una filiera distributiva che sarà affidata al sistema sanitario nazionale.